« ’In verità tutti dovranno ascoltare il Maestro’ » La voce era profonda, le parole pronunciate senza inflessioni dialettali.
F’lar, che stava per riprendere a parlare, lanciò un’occhiata a Robinton: aveva compreso il doppio taglio di quel verso. Anche Larad si girò in fretta verso il Maestro Arpista e si schiarì la gola.
«Avremo le carte,» disse, precedendo Meron, che aveva aperto la bocca per parlare. «Avremo i dragonieri quando cadranno i Fili. Quali sono gli altri provvedimenti? E perché sono necessari?»
Tutti gli sguardi si appuntarono di nuovo su F’lar.
«Abbiamo soltanto un Weyr, mentre un tempo ce n’erano sei.»
«Ma si è diffusa la notizia che Ramoth ha deposto più di quaranta uova,» esclamò qualcuno, dalle ultime file. «E perché ci avete portato via tanti giovani?»
«Quarantini draghi ancora immaturi,» rispose F’lar. Si augurò che quella spedizione al Sud desse risultati positivi. Nella voce di quell’uomo era riconoscibile una paura autentica. «Crescono bene e in fretta. Per il momento, finché i Fili non ci investono troppo di frequente, all’inizio del Passaggio della Stella Rossa, il nostro Weyr è sufficiente… se avremo la vostra collaborazione. La tradizione vuole,» e accennò con il capo in direzione di Robinton, custode delle tradizioni, «che voi Signori delle Fortezze siate responsabili soltanto delle vostre abitazioni, adeguatamente protette dalle fosse dei fuochi e dalla pietra nuda. Ma è primavera, e si è lasciato che le nostre montagne si coprissero di vegetazione. I campi arati sono pieni di messi in fiore. Perciò, l’estensione di terreno vulnerabile ai Fili è troppo vasta perché un solo Weyr, in questo momento, possa occuparsi del servizio di pattugliamento, senza esaurire le forze dei draghi e dei cavalieri.»
A quell’ammissione, un mormorio spaventato e incollerito si diffuse rapido nella sala.
«Fra poco,» continuò in tono imperturbabile F’lar, «Ramoth si leverà per un altro volo nuziale. Ovviamente, nei tempi andati, le regine incominciavano a deporre un gran numero di uova molti Giri prima del Solstizio decisivo, e tra l’altro mettevano al mondo altre regine. Purtroppo, Jora era vecchia e malata, e Namorth intrattabile. Quindi…» Qualcuno lo interruppe.
«Voi dragonieri, con tutte le vostre arie, ci condurrete tutti alla rovina!»
«La colpa è vostra!» si levò tagliente da voce di Robinton, tra le grida che fecero eco a quelle parole. «Riconoscetelo, una volta per tutte. Avete onorato il Weyr meno ancora di quanto avreste onorato il covile del vostro wher da guardia! Ma adesso i ladri sono sulle alture, e voi gridate perché quel povero rettile è vicino a morire di abbandono. Che cosa volete fargli? Percuoterlo? Quando l’avete confinato nel suo covile perché aveva cercato di avvertirvi, di indurvi a prepararvi in vista dell’invasione? La colpa è vostra , non del Comandante del Weyr o dei dragonieri che hanno fatto onestamente il loro dovere per centinaia di Giri, tenendo in vita la razza dei draghi… nonostante le vostre proteste. Quanti di voi,» continuò, in tono sferzante, «sono stati generosi verso il Weyr? Da quando sono divenuto Maestro della mia Arte, troppo spesso i miei arpisti mi hanno detto di essere stati percossi per avere cantato i vecchi canti, come era loro dovere. Vi siete guadagnati solamente il diritto, buoni Signori e Maestri delle Arti, di strisciare dentro i vostri rifugi di pietra a tremare, mentre i raccolti muoiono prima ancora di maturare!»
Robinton si alzò.
«’I Fili non cadranno. Sono invenzioni degli arpisti’,» sibilò, in un’imitazione impeccabile del tono di Nessel. «’Questi dragonieri ci rubano gli eredi e il raccolto’.» La sua voce assunse il forzato, insinuante tono tenorile che poteva essere soltanto di Meron. «E adesso la verità è dura, ed è difficile da trangugiare. In cambio dell’onore che gli avete reso, i dragonieri dovrebbero lasciare che i Fili vi seppellissero!»
«E Bitra, Lemos e la mia Fortezza?» intervenne Raid, il Signore di Benden, alzando il mento tozzo con aria bellicosa. «Noi abbiamo sempre fatto il nostro dovere nei confronti del Weyr.»
Robinton si volse di scatto verso di lui, con gli occhi lampeggianti, e lo fissò a lungo.
«Sì, è vero. Tra tutte le grandi Fortezze, voi tre siete state fedeli. Ma gli altri…» Alzò la voce indignato. «Nella mia qualità di portavoce della mia Arte, conosco benissimo quello che pensate dei dragonieri. Sono stato il primo a sapere della vostra intenzione di attaccare in massa il Weyr.» Rise aspramente e puntò un dito contro Vincet. «Dove saresti oggi, buon Nobile Vincet, se il Weyr non ti avesse costretto a ritirarti, tenendo in ostaggio le tue dame? E tutti voi…» Puntò il dito accusatore contro i vari Signori che avevano partecipato al tentativo. «Tutti voi avete marciato contro il Weyr perché… ’non c’erano più Fili’!»
Si piantò i pugni sui fianchi e sfidò con lo sguardo l’assemblea. F’lar avrebbe voluto applaudirlo. Era facile capire perché quell’uomo era Maestro Arpista; e ringraziò la sorte perché era schierato dalla parte del Weyr.
«E adesso, in questo momento critico, avete l’inaudita presunzione di protestare contro i provvedimenti proposti dal Weyr?» La voce duttile di Robinton trasudava derisione e sbalordimento. «Fate ciò che vi dice il Comandante del Weyr, e risparmiategli le vostre beghe meschine!» Pronunciò quelle parole con il tono che avrebbe potuto usare un padre nel rimproverare un figlio indisciplinato. «Ma tu,» continuò, passando di colpo al più cortese dei toni nel rivolgersi a F’lar, «mi pare che stessi chiedendo la nostra collaborazione, buon F’lar. Che cosa possiamo fare?»
F’lar si schiarì la gola.
«Chiedo che le varie Fortezze provvedano a sorvegliare i campi e i boschi, se è possibile durante gli attacchi, e comunque dopo che i Fili sono passati. Bisogna trovare, contrassegnare e distruggere tutte le tane in cui possono essere affondati. Prima vengono individuati, e prima ci libereremo di loro.»
«Non c’è tempo per scavare fosse in tutte le nostre terre… perderemmo la metà delle aree coltivate,» esclamò Nessel.
«Nei tempi andati si usavano altri mezzi, e credo che il Maestro Fabbro possa conoscerli.» F’lar indicò cortesemente Fandarel, che sembrava il simbolo vivente della sua professione.
Il Maestro Fabbro era molto più alto di tatti gli altri partecipanti al Consiglio. Le spalle massicce e le braccia muscolose sfioravano i suoi due vicini, benché si sforzasse di non urtarli. Si alzò, colossale come un albero, infilando i grossi pollici nell’alta cintura. La sua voce, non certo addolcita da Giri e Giri trascorsi a gridare ordini al di sopra del ruggito delle fiamme e del risuonare dei magli, era, in confronto alla dizione superba di Robinton, baritonale, leggera e non perfettamente impostata.
«Esistevano delle macchine, questo sì,» ammise, pensieroso. «Mio padre, per esempio, me ne parlava come se fossero curiosità dell’Arte. Può darsi che ci sia qualche schizzo, nella Sala, o forse non c’è più. I disegni non durano per molto tempo, sulle pelli.» Lanciò un’occhiata obliqua al Maestro Conciapelli, di sotto le sopracciglia aggrondate.
«È delle nostre pelli che dobbiamo preoccuparci, in questo momento,» si affrettò a osservare F’lar, per evitare che si accendesse una disputa tra i rappresentanti delle due Arti.
Fandarel brontolò qualcosa, e F’lar non avrebbe saputo dire con certezza se fosse una risata oppure un mormorio gutturale d’approvazione.
«Studierò la cosa, e lo stesso faranno tutti i miei colleghi,» assicurò il Maestro Fabbro. «Può darsi che non sia facile bruciare i Fili nel terreno senza danneggiare il suolo. È vero, esistono liquidi che bruciano: noi usiamo un acido per incidere motivi sulle daghe e sugli ornamenti metallici. Noi dell’Arte lo chiamiamo agenothree . C’è anche la pesante acquanera che si trova in superficie negli stagni di Igen e di Boll. Brucia molto e a lungo. E se, come tu hai detto, il freddo ha ridotto in polvere i Fili, forse il ghiaccio delle terre più settentrionali potrebbe congelare e sbriciolare i Fili radicati nel terreno. Il problema, però, consiste nel portare il ghiaccio sul posto dove sono caduti i Fili, perché non ci useranno certo la cortesia di scendere dove fa più comodo a noi…» E contrasse il volto in una smorfia espressiva.
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