Anne McCaffrey - Volo di drago

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La trilogia dei «Dragonieri di Pern», di cui «Volo di Drago» è la prima parte, è uno dei più interessanti cicli narrativi che la fantascienza ha prodotto in questi ultimi anni nel suo sforzo di rinnovamento interno, tematico e stilistico; è il tentativo ad ampio respiro di creare «ex novo» una mitologia complessa e coordinata, che non sia un semplice adattamento di mitologie «terrestri».
Esso è dovuto ad un nome nuovo, lanciato da John Campbell sulle pagine di «Analog», Anne McCaffrey, che si rivela scrittrice sensibile, originale e dalle notevoli doti letterarie. Sia i lettori che i critici statunitensi hanno testimoniato illoro apprezzamento per quest’opera, i cui diversi capitoli sono apparsi in più riprese sulle riviste di Campbell: i primi assegnando il Premio Hugo 1968 per il miglior romanzo breve alla parte iniziale del romanzo; i secondi il Premio Nebula 1969 per la stessa categoria all’ultima parte di esso. Anne McCaffrey è stata così la prima donna a vincere i due massimi premi fantascientifici americani.

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Il volto di F’nor si oscurò.

«No. Eppure ero certo che ce ne sarebbe stato uno. Ma ci sono quattordici bronzei. Pridith ha battuto Ramoth, da questo punto di vista,» aggiunse con orgoglio.

«Davvero. E per il resto, come va il Weyr?»

Il cavaliere marrone aggrottò la fronte e scosse il capo, insoddisfatto.

«Kylara… beh, è un problema. Continua a creare guai. T’bor se la passa male, con lei, e quindi è diventato così suscettibile che tutti gli girano al largo.» F’nor si rischiarò un poco. «Il giovane N’ton promette di diventare un magnifico comandante di squadrone, e il suo bronzeo potrebbe battere Orth, il drago di T’bor, quando Pridith si leverà per il prossimo volo nuziale. Non che io ci tenga a vedere Kylara appiccicata a N’ton… o a chiunque altro.»

«Nessuna difficoltà per i rifornimenti?»

F’nor rise.

«Se non ci avessi detto chiaro che non dobbiamo comunicare con voi, potremmo fornirvi frutta e verdura migliori di quelle prodotte al Nord. Da noi si mangia in modo veramente degno dei dragonieri! F’lar, dovremmo prendere in considerazione l’idea di inviarvi rifornimenti. Così non dovremo più preoccuparci delle dècime e…»

«Tutto a suo tempo. Torna indietro, adesso. Sai che queste visite devono essere brevi.»

F’nor fece una smorfia.

«Oh, non è poi così terribile! Comunque, in questo tempo non sono qui.»

«È vero,» riconobbe F’lar. «Ma stai attento a non sbagliare tempo, e non venire quando sei ancora qui.»

«Eh? Oh, sì, è giusto. Dimentico sempre che il tempo va pianissimo per noi, e per voi corre. Bene, tornerò soltanto quando Pridith avrà deposto la seconda covata.»

Con un gaio gesto di saluto, F’nor se ne andò. F’lar lo seguì con lo sguardo, poi ritornò nella Sala del Consiglio. Trentadue nuovi draghi, di cui quattordici bronzei; non era un acquisto di poco conto, e sembrava che valesse la pena di correre il rischio. O forse il rischio sarebbe divenuto anche maggiore?

Qualcuno si schiarì la gola, intenzionalmente. F’lar alzò gli occhi e vide Robinton fermo sulla soglia della Sala.

«Prima di poter copiare quelle carte e di istruire gli altri, Comandante del Weyr, devo riuscire a capirle. Mi sono preso la libertà di rimanere.»

«Sei stato un campione valoroso, Maestro Arpista.»

«E la tua causa è nobilissima, Comandante del Weyr.» Negli occhi di Robinton balenò uno scintillio malizioso. «Era il mio grande sogno, poter parlare francamente a un ascoltatore tanto eletto.»

«Posso offrirti prima una coppa di vino?»

«Le uve di Benden sono l’invidia di tutto Pern.»

«Se si apprezza un bouquet tanto delicato.»

«Quelli che se n’intendono l’apprezzano.»

F’lar si domandò se quell’uomo avrebbe mai smesso di giocare con le parole. Stava pensando a ben altro che a studiare le tabelle dei tempi.

«Sto pensando a una ballata che fui costretto a scartare, quando divenni Maestro della mia Corporazione, perché non riuscivo a capirla,» disse, dopo avere sorseggiato il vino con aria da intenditore. «È un canto difficile, sia per la melodia che per le parole. Un arpista sviluppa una certa sensibilità, e finisce per capire quando un testo può venire accettato dal pubblico, e quando invece verrà respinto… violentemente.» Rabbrividì al ricordo. «Mi accorsi che quella ballata sconvolgeva non solo gli ascoltatori ma anche il cantore, e la tolsi di circolazione. Ma adesso è opportuno riscoprirla, come quell’arazzo.»

Dopo la morte di C’gan, il suo strumento era rimasto appeso alla parete della Sala del Consiglio, in attesa che venisse scelto un nuovo Cantore del Weyr. Era una chitarra vecchissima, dal legno molto sottile. Il vecchio C’gan l’aveva sempre tenuta perfettamente accordata e coperta. Il Maestro Arpista la maneggiò con reverenza, sfiorando lievemente le corde per provarne il suono, e sembrò stupirsi della splendida voce dello strumento.

Pizzicò un accordo, in dissonanza. F’lar pensò che la chitarra fosse scordata o che l’arpista avesse toccato per errore la corda sbagliata. Ma Robinton ripeté quella strana battuta, e poi modulò un bizzarro accordo minore, in un certo senso ancora più inquietante delle prime note.

«Come ti avevo detto, è un canto difficile. E mi domando se tu conosci le risposte alle domande che formula. In questi ultimi tempi, ho pensato spesso a questo enigma.»

Poi, improvvisamente, cominciò a cantare:

Andati avanti, scomparsi, spariti.
Nessuno più risponde agli echi ansiosi.
Aperti, vuoti, morti, polverosi.
Perché quelli dei Weyr sono fuggiti?

Dove mai sono andati, ai draghi insieme.
Lasciando i Weyr al vento spalancati?
Abbandonando libero il bestiame?
O difensori, dove siete andati?

A qualche nuovo Weyr sono volati
dove altri temono i Fili inumani?
I loro mondi sono forse lontani?
Perché, perché i Weyr son desolati?

Vibrò l’ultimo accordo lamentoso.

«Naturalmente, come tu saprai, questo canto venne registrato per la prima volta negli annali della mia Arte circa quattrocento Giri fa,» disse Robinton, cingendo la chitarra con entrambe le braccia. «La Stella Rossa aveva appena concluso il suo passaggio, e non vi erano più attacchi. La gente aveva buone ragioni per sentirsi stordita e preoccupata a causa dell’improvvisa sparizione degli abitanti di cinque Weyr. Oh, immagino che a quell’epoca circolassero molte spiegazioni, ma non ne è documentata nessuna… assolutamente nessuna.» Robinton fece una pausa significativa.

«Anch’io non ne ho rintracciata nessuna,» rispose F’lar. «Anzi, ho fatto trasportare qui dagli altri Weyr tutte le Cronache… per poter compilare le tabelle esatte dei tempi. E le Cronache degli altri Weyr a un certo punto si arrestano.» Accompagnò quelle parole con un gesto secco della mano. «Nelle Cronache di Benden non si parla di malattie, di morte, di incendi, di catastrofi… Neppure una parola di spiegazione per l’interruzione improvvisa degli abituali rapporti tra i Weyr. Le nostre Cronache continuano: ma parlano soltanto di Benden. C’è una sola annotazione che allude indirettamente alla sparizione degli altri: l’inizio di un servizio di pattugliamento esteso a tutto Pern, non solo ai territori affidati alla responsabilità immediata di Benden. E questo è tutto.»

«Molto strano,» commentò Robinton. «Superato il pericolo rappresentato dalla Stella Rossa, i draghi e i cavalieri potrebbero essere andati in mezzo per non pesare più sulle Fortezze. Ma non riesco a crederlo. Le Cronache della nostra Arte dicono che i raccolti erano stati scarsi, e che si erano verificate parecchie catastrofi naturali… a parte la caduta dei Fili. Gli uomini sanno essere generosi, e la tua razza è la più generosa di tutte… Ma un suicidio collettivo? Non posso accettare una spiegazione del genere, per quanto riguarda i dragonieri.»

«Ti ringrazio,» rispose F’lar, con blanda ironia.

«Non c’è di che,» rispose Robinton, con un cortese inchino.

F’lar ridacchiò.

«Mi rendo conto che non siamo diventati solo troppo incartapecoriti: abbiamo finito per non vedere niente al di là del nostro Weyr.»

Robinton vuotò la coppa e la guardò con aria malinconica fino a che F’lar tornò a riempirla.

«Comunque, il vostro isolamento è servito a qualcosa, capisci? E avete sistemato in modo splendido la rivolta dei Signori. Poco è mancato che morissi dal ridere,» osservò l’arpista con un ampio sogghigno. «Avete rubato le loro donne in un batter d’occhio di drago!» Rise di nuovo, poi ritornò serio all’improvviso, e fissò il suo ospite dritto negli occhi. «Abituato come sono a udire quello che un uomo non dice a voce alta, sospetto che tu abbia sorvolato su molte cose, durante la riunione del Consiglio. Puoi fidarti della mia discrezione… e puoi contare sul mio appoggio incondizionato e su quello della mia Corporazione, che è tutt’altro che inefficiente. Per parlare chiaro: in che modo possono aiutarti i miei arpisti?» Accennò sulla chitarra una marcia vigorosa. «Scuotere gli animi con ballate che parlano delle glorie e dei trionfi del passato?» Sotto le sue dita fulminee, la melodia si trasformò all’improvviso in un ritmo austero ma deciso. «Rafforzare il loro coraggio morale e fisico in previsione delle difficoltà?»

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