Clifford Simak - Pescatore di stelle

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L’Uomo vuole raggiungere le Stelle, ma non con mezzi tecnici comuni o strabilianti astronavi, bensì mediante una forma superiore di telecinetica, capace di proiettare la mente e quindi il corpo negli spazi infiniti. Il lettore compirà con la fantasia un viaggio che contempla mete raggiungibili soltanto dopo centinaia o migliaia di anni-luce, addentrandosinei misteri della più straordinaria categoria di mutanti, superando i pericoli più insidiosi dell’incomprensione e dell’odio.

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«E sa anche», chiese Blaine, «che ho intenzione di ucciderla, prima o poi?»

«So anche questo», rispose Finn. «O per lo meno, ne ho il sospetto».

«Ma non la ucciderò questa notte», disse Blaine. «Perché ci tengo troppo a vedere la sua faccia, domani mattina. Voglio vedere come se la prenderà».

«Ed è per questo che è venuto da me? È questo, tutto ciò che ha da dirmi?»

«È molto strano», disse Blaine, «in questo preciso momento non riesco a pensare a nessun’altra ragione. Non saprei proprio dirle perché mi son preso il disturbo di venire».

«Forse per negoziare?»

«No, non ci avevo pensato. Non c’è niente che io desideri, di quello che lei può darmi».

«Forse no, signor Blaine. Ma lei ha qualcosa che io desidero. Qualcosa che sarei disposto a pagare profumatamente».

Blaine lo fissò, senza rispondere.

«Lei era immischiato in quella facenda della macchina delle stelle», disse Finn. «Lei potrebbe fornire le finalità ed i moventi. Lei potrebbe mettere insieme i pezzi del rompicapo. Potrebbe raccontare tutta la storia. Sarebbe una testimonianza importante».

Blaine ridacchiò.

«Mi ha avuto in pugno una volta», disse. «Eppure le sono sfuggito dalle mani».

«È stato quell’ipocrita di un dottore!» esclamò Finn, ferocemente. «Aveva paura che scoppiasse una gazzarra, e che il suo ospedale si facesse una pessima pubblicità».

«Dovrebbe scegliere un po’ meglio i suoi collaboratori, Finn».

Finn ringhiò.

«Lei non mi ha risposto».

«A proposito dell’accordo che lei mi ha proposto? Le costerebbe caro. Terribilmente caro».

«Sono disposto a pagare», disse Finn. «E lei ha un bisogno disperato di denaro. Sta fuggendo praticamente nudo, e con l’Amo alle calcagna».

«Soltanto un’ora fa», gli disse Blaine, «l’Amo mi teneva impacchettato e pronto per il sacrificio».

«E lei è riuscito a fuggire», disse Finn, annuendo. «E magari ci riuscirà anche la prossima volta. E poi ci riuscirà di nuovo. Ma l’Amo non desiste mai. Così come si è messa la situazione, lei non ha una sola probabilità di cavarsela.»

«Io in particolare, intende dire? O sta pensando anche a qualcun altro? Magari a se stesso?»

«A lei in particolare,» disse Finn. «Conosce una certa Harriet Quimby?»

«La conosco molto bene,» disse Blaine.

«Quella,» disse con fermezza Finn, «è una spia dell’Amo.»

«Lei è matto!» urlò Blaine.

«Provi a pensarci un momento,» disse Finn. «E credo che mi darà ragione.»

Rimasero a guardarsi attraverso il piano della scrivania, ed il silenzio era una cosa viva, una terza presenza assolutamente reale, in quella stanza.

Nel cervello di Blaine lampeggiò un pensiero rosso come il fuoco: perché non ucciderlo subito?

Sarebbe stato facilissimo ucciderlo. Era facilissimo odiarlo. Non soltanto per le idee che rappresenta, ma anche personalmente.

Bastava semplicemente pensare all’odio che dominava la Terra. Bastava semplicemente chiudere gli occhi e vedere il corpo che girava lentamente su se stesso, seminascosto dalle fronde, impiccato ad un albero; l’accampamento precipitosamente abbandonato, con le coperte sistemate sui rami per formare un riparo, e il pesce rovesciato dalla padella; e i ruderi anneriti dal fumo, il comignolo che puntava, nudo, contro il cielo.

Alzò le mani dal ripiano della scrivania, e poi tornò ad abbassarle.

E poi fece una cosa, del tutto involontariamente, senza pensarci, senza riflettere neppure per un istante, e senza fare un piano. E, nello stesso momento in cui la faceva, sapeva che non era lui a farla, ma quell’altro, l’essere che se ne stava acquattato dentro al suo cervello.

Perché non avrebbe mai potuto farlo. Lui non ci avrebbe mai pensato.

Blaine disse, con molta calma: «Scambio la mia mente con la tua».

XXVII

La luna veleggiava altissima sopra le collinette gibbose che orlavano la valle del fiume, e lontano, in quella valle, un gufo chiurlava e ridacchiava fra sè. E il ridacchiare del gufo veniva trasportato dovunque, nitidamente, dalla fredda aria notturna che aveva già un sentore di gelo.

Blaine si fermò al limitare del boschetto di cedri nodosi che abbracciavano il suolo come vecchi curvi e nocchiuti, e rimase teso, ad ascoltare. Ma non si udiva nulla, eccetto il ridacchiare del gufo e il suono fievole delle foglie ostinate che se ne stavano ancora aggrappate ai rami di qualche albero, più in basso, sul fianco della collina, e c’era anche un altro suono, così debole che Blaine si chiese se lo udiva veramente… il lontano, magico mormorio che era la voce del fiume possente, il fiume che scorreva ai piedi delle colline illuminate dalla luna.

Blaine si chinò, si acquattò al suolo, rannicchiandosi al riparo delle ombre disordinate dei cedri, e si disse ancora una volta che nessuno lo inseguiva, nessuno gli dava la caccia. Non l’Amo, perché con l’incendio della Stazione di Scambio l’Amo era temporaneamente bloccato. E neppure Lambert Finn. In quel preciso momento, Finn era l’ultima persona al mondo che avrebbe potuto pensare di dargli la caccia.

Blaine rimase li acquattato, e ricordò, senza la minima sfumatura di pietà, l’espressione che era apparsa negli occhi di Finn quando lui aveva scambiato le menti… lo sguardo vitreo e fisso del terrore di fronte a quella spudorata contaminazione, a quell’inquinamento deliberato del possente predicatore e del grande profeta che aveva avvolto il proprio odio in un manto che non era una religione vera e propria, ma qualcosa di molto simile, almeno nella misura in cui aveva osato spingersi.

«Che cosa ha fatto!» aveva gridato, in preda ad un orrore gelido, impietrito. «Che cosa mi ha fatto!»

Perché Finn aveva sentito il gelo mordente dell’alienità e l’immensa inumanità, e aveva sentito il sapore dell’odio che irradiava da Blaine.

«Una cosa!» gli aveva gridato Blaine. «Lei non è altro che una cosa! Lei non è più Finn. È umano soltanto in parte. È parte di me, e parte di qualcosa che ho trovato a cinquemila anni-luce di distanza. E spero che lei ci soffochi dentro.»

Finn aveva spalancato la bocca, e poi l’aveva richiusa seccamente come una trappola.

«Adesso debbo andarmene,» gli aveva detto Blaine. «E perché non ci siano malintesi, lei dovrà venire con me. Con un braccio sulla mia spalla, come se fossimo due fratelli che si sono ritrovati dopo molto tempo. Mi parlerà come se io fossi un vecchio e caro amico: perché, se non farà così, io riuscirò a fare sapere a tutti che cosa è lei.»

Finn aveva esitato.

«Precisamente: quello che è,» aveva insistito Blaine. «E tutti quei giornalisti saranno lì ad ascoltare.»

E questo era stato sufficiente, per Finn… era stato più che sufficiente.

Perché era un uomo, pensò Blaine, che non poteva permettersi di venire toccato da un incantesimo, anche se era efficace. Era il riformatore rigoroso, deciso, spietato che si considerava il guardiano dei valori morali dell’intera razza umana, e perciò non doveva esserci, attorno a lui, il minimo accenno di scandalo, il minimo mormorio di sospetto.

Così, loro due avevano percorso il corridoio ed avevano sceso le scale e avevano attraversato l’atrio, tenendosi a braccetto, chiacchierando, e i giornalisti li avevano seguiti con lo sguardo mentre passavano.

Erano usciti sulla strada, e la Stazione di Scambio ardeva ancora, rossa contro il cielo, e si erano avviati sul marciapiedi, come se volessero isolarsi per scambiarsi le ultime parole prima di accommiatarsi.

Poi Blaine s’era infilato in un vicolo, ed era corso via, verso oriente, verso le colline che costeggiavano il fiume.

E adesso era lì, pensò: era di nuovo in fuga, e senza il minimo piano. Un fuggitivo, nient’altro. Ma, fra una fuga e l’altra, aveva sferrato qualche colpo… aveva fermato Finn. Gli aveva sottratto l’orribile prova della perfidia dei para e del pericolo che rappresentavano: aveva diluito una mente che mai più, per quanto Finn si sforzasse, sarebbe ridiventata meschina ed egocentrica come era stata fino a quel momento.

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