«Eppure si riesce a resistere?»
«Io ho sempre resistito,» disse Blaine. «È necessaria una certa mentalità… una mentalità che l’Amo finisce per instillarti in modo permanente.»
«Nel caso di Godfrey, è stato diverso. Si è trattato di qualche cosa che lui ha potuto riconoscere e comprendere. Forse l’ha riconosciuta anche troppo. Era il bene.»
«Il bene!»
«Una parola futile,» disse Harriet. «Una parola logora e sciupata. Ma è l’unica parola adatta.»
«Il bene» riprese Blaine, come se stesse voltando e rivoltando quella parola, cercando di analizzarne il colore, la natura e!a consistenza.
«Un posto,» disse Harriet, «dove non c’era avidità, né odio, né ambizioni personali in grado di sviluppare odio o avidità. Un posto perfetto, abitato da una razza perfetta. Un paradiso dal punto di vista sociale.»
«Non capisco…»
«Prova a riflettere un momento, e capirai. Hai mai visto qualcosa, un oggetto, un quadro, una scultura, una scena così bella e così perfetta che quasi ti faceva male guardarla?»
«Sì, una volta o due.»
«Benissimo, allora… Un quadro o una scultura è qualcosa che sta al di fuori della vita umana, della tua vita. È soltanto una esperienza emotiva. In pratica, non ha assolutamente nulla a che vedere con te. Potresti vivere benissimo per tutto il resto della tua vita senza rivederla, anche se di tanto in tanto te ne ricorderesti e proveresti un senso di nostalgia a quel ricordo. Ma immagina una forma di vita, una cultura, un modo di vivere, un modo in cui potresti vivere tu stesso , così bello che ti desse la stessa sensazione che ti dava il quadro, ma mille volte più forte. È ciò che ha visto Godfrey, è ciò con cui lui ha parlato. Ecco perché è ritornato diverso. Si sentiva come un ragazzino sudicio che guardava attraverso le sbarre del cancello del regno delle favole… un regno delle favole vero, reale, autentico, che poteva toccare, ma di cui non avrebbe mai potuto far parte.»
Blaine aspirò l’aria, lentamente, e altrettanto lentamente l’espirò.
«Dunque è questo,» disse. «È questo che vuole.»
«Tu non lo vorresti?»
«Credo di sì. Se l’avessi visto.»
«Chiedilo a Godfrey. Lui te lo dirà. No, ora che ci penso, non chiedergli niente. Te lo dirà lo stesso.»
«A te lo ha detto?»
«Sì.»
«E tu sei rimasta colpita?»
«Sono qui,» disse lei.
Arrivò la cameriera, che portava quello che avevano ordinato: grosse bistecche sfrigolanti, con patate al forno e insalata. Poi depose la caraffa di caffè in mezzo alla tavola.
«Ha un’aria appetitosa,» disse Harriet. «Io ho sempre una fame! Shep, ti ricordi la prima volta che mi hai invitata fuori a cena?»
Blaine sorrise.
«Non me lo dimenticherò mai. Anche quella volta avevi una gran fame.»
«E mi hai offerto una rosa.»
«Mi pare di ricordarlo.»
«Sei un caro ragazzo, Shep.»
«E tu, se non ricordo male, sei una giornalista. Come mai…»
«Sto ancora raccogliendo il materiale per una serie di articoli.»
«Sull’Amo,» disse Blaine.
«In parte,» rispose lei, e tornò ad occuparsi della bistecca.
Per un pò mangiarono senza parlare molto.
«C’è un’altra cosa,» disse finalmente Blaine. «Che cosa c’entra Finn? Godfrey ha detto che è pericoloso.»
«Che ne sai, di Finn?»
«Non molto. Ha lasciato l’Amo prima che io entrassi a farne parte. Ma correvano molte voci. Era tornato indietro dalle stelle urlando. Gli era successo qualcosa.»
«Sì,» disse Harriet. «E adesso se ne va in giro dappertutto, a predicare.»
«A predicare?»
«Una predicazione tutta zolfo e inferno. Il tipo di predicazione con grossi pugni sferrati sulla Bibbia , ma non ha una Bibbia. Parla del male delle stelle. L’uomo deve restare sulla Terra: è l’unico posto sicuro, per lui. Lassù regna il male. E sono stati i para che hanno spalancato le porte al male…»
«E la gente beve questa roba?»
«La beve,» rispose Harriet. «E ci sguazza dentro fino al collo. Ne è letteralmente entusiasta. La gente non può avere le stelle, capisci. E quindi, prova una certa soddisfazione, quando qualcuno spiega che le stelle sono il male.»
«E, immagino, anche i para sono malvagi. Sono vampiri e lupi mannari…»
«E folletti maligni,» disse Harriet. «E stregoni. E arpie. Tutto quello che c’è di peggio.»
«Quell’uomo è un ciarlatano.»
Harriet scosse il capo.
«No, non è un ciarlatano. È sincero quanto Godfrey. Lui crede nel male. Perché, capisci, lo ha visto.»
«E Godfrey ha visto il bene.»
«Esattamente. È molto semplice. Finn è convinto che l’uomo non deve andare fra le stelle, proprio come Godfrey è convinto che solo lassù troverà la salvezza.»
«E tutti e due combattono l’Amo.»
«Godfrey si propone di porre fine al monopolio, ma di conservarne le strutture. Finn va molto più in là. Per lui, l’Amo è un fattore incidentale, nient’altro. Il suo vero bersaglio è la cinetica paranormale. Vuole spazzarla via. completamente.»
«E Finn combatte Stone.»
«Cerca di farlo,» disse Harriet. «In realtà, non è possibile combatterlo. Godfrey si mette in mostra così poco che è troppo difficile colpirlo. Ma Finn è riuscito a scoprire che cosa fa, e lo considera come una delle figure chiave che potrebbero mettere in moto i para. Se appena lo potrà, lo farà fuori.»
«Non mi sembri troppo preoccupata.»
«Godfrey non è preoccupato. Per lui, Finn è solo uno dei tanti problemi, dei tanti ostacoli.»
Uscirono dal ristorante e si avviarono lungo il marciapiedi che costeggiava gli châlets.
La valle del fiume era immersa in un’ombra nera e purpurea, e il fiume sembrava di bronzo scuro, nella luce del giorno morente. Le cime delle colline, al di là della valle, erano ancora chiazzate di sole, e alto nel cielo un falco volava ancora in cerchio, con le ali che sembravano lampi d’argento, mentre si librava in quell’azzurro.
Raggiunsero la porta della villetta, e Blaine l’aprì con una spinta, poi si fece da parte per lasciar passare Harriet, e la seguì. Aveva appena varcato la soglia quando lei lo urtò, arretrando violentemente.
Blaine udì il rantolo secco nella gola di lei: e il corpo appoggiato al suo era rigido e teso.
Guardando al di sopra della spalla di Harriet, scorse Godfrey Stone che giaceva sul pavimento, a faccia in giù.
Nel momento in cui si chinava su di lui. Blaine capì che Stone era morto. Sembrava più piccolo, come per un avvizzimento essenziale della sua figura umana, come se la vita fosse stata una dimensione fondamentale che aveva contribuito a farlo apparire imponente. Adesso era un corpo inerte negli abiti sgualciti, ed era spaventoso nella sua immobilità.
Sentì che, dietro di lui, Harriet stava richiudendo le porte e faceva scattare le serrature. E, tra uno scatto e l’altro, gli sembrò di udire un singhiozzo.
Si piegò per vedere meglio, e nella penombra riuscì a distinguere uno scintillio più cupo, fra i capelli, dove il sangue era sgorgato dal cranio.
Le imposte delle finestre scricchiolarono e gemettero, rumorosamente, mentre Harriet premeva la leva che le controllava.
«Accendi la luce», disse lui.
«Subito, Shep».
Udì lo scatto dell’interruttore, e dal soffitto si irradiò la luce, e in quel bagliore Blaine vide che il cranio di Stone era stato fracassato da un colpo sferrato con un oggetto pesante.
Non c’era bisogno di tastargli il polso, non c’era bisogno di ascoltare il cuore. Nessun uomo avrebbe potuto sopravvivere, con il cranio fracassato in quel modo.
Blaine si scostò leggermente, ma rimase accosciato, meravigliandosi della ferocia e forse della disperazione che aveva guidato il braccio scattato per infierire il colpo.
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