Nel dimensino non ci si limitava a vedere e ad udire: si partecipava. Si diventava parte della situazione rappresentata. Ci si identificava con uno dei personaggi, o con più di uno, e si viveva l’azione e l’emozione. Per un certo tempo, si cessava di essere se stessi: si diventava la persona prescelta nel dramma creato dal dimensino.
Quasi tutte le case avevano una sala del dimensino , attrezzata con l’apparecchio che captava gli strani impulsi alieni, mediante i quali tu ti trasformavi in qualcun altro… che ti toglievano dalla banalità quotidiana, dal tran-tran dell’esistenza normale, e ti lanciavano in un avventura pazzesca, o in una situazione bizzarra, in luoghi esotici e in avvenimenti fantastici.
E tutto questo, il cibo, i tessili, il dimensino , erano monopolio dell’Amo.
E per tutte quelle cose, pensò Blaine, l’Amo si era attirato l’odio della gente… l’odio di coloro che non capivano, di coloro che si sentivano esclusi e nello stesso tempo si vedevano aiutati come mai un’unica organizzazione aveva aiutato la razza umana.
La bistecca era ormai cotta, e Blaine appoggiò il ramoscello verde che la reggeva contro un cespuglio, mentre frugava fra le braci per ripescare le patate e le pannocchie.
Sedette accanto al fuoco e mangiò, mentre il sole si levava all’orizzonte e la brezza si spegneva lentamente e il mondo, sulla soglia di un altro giorno, sembrava trattenere il respiro. Il primo raggio di sole filtrò attraverso i rami degli alberi, trasformando le foglie in monete d’oro, e il ruscello sembrò smorzare il proprio chiaccherio, mentre prendevano il sopravvento i suoni del giorno: il muggire del bestiame sulla collina sovrastante, il ronzio delle macchine che passavano per la strada, il rombo lontano di un aereo che sorvolava la zona, altissimo.
Sulla strada, accanto il ponte, un camion chiuso rallentò e si fermò. Il camionista scese e alzò il cofano, e si piegò a guardare il motore. Poi si scostò e ritornò in cabina. Restò lì a cercare, fino a quando ebbe trovato ciò che gli interessava, poi ridiscese. Depose una cassetta di utensili sul parafango, l’aprì, e il tintinnio dei ferri salì, nitido, su per la collina.
Era un camion vecchissimo: aveva le ruote e il motore a benzina, ma aveva anche un sistema supplementare di getti. Non erano rimasti molti veicoli come quelli, ormai, se non presso i demolitori.
Un operatore indipendente, si disse Blaine. Tirava avanti meglio che poteva, cercando di fare concorrenza alle grandi aziende di autotrasporti grazie ai prezzi più bassi, cercando di risparmiare in tutti i modi possibili e immaginabili.
La vernice della carrozzeria s’era sbiadita, e in molti punti s’era scrostata: ma vi erano dipinti, a colori freschi e vivaci, complicati talismani e segni cabalistici che, senza dubbio, avevano la funzione di tener lontani i pericoli del mondo.
Il camion, notò Blaine, aveva una targa dell’Illinois.
L’uomo allineò i suoi ferri, poi tornò a infilarsi sotto il cofano. Il rumore delle martellate e lo stridere dei bulloni ostinati e arrugginiti salì su per la collina.
Blaine finì di fare colazione. Erano rimaste due bistecche e due patate, e le braci si stavano annerendo. Rimescolò le braci, vi aggiunse altra legna, infilò le due bistecche sul ramoscello e le arrostì con cura.
Sotto il cofano, il camionista continuava a martellare e fare stridere i bulloni. Ne uscì fuori un paio di volte, per riposare, poi riprese il lavoro.
Quando le bistecche furono cotte, Blaine si mise in tasca le due patate e scese la collina, reggendo le bistecche infilate al ramoscello come se portasse una bandiera da combattimento.
Quando sentì il suono scricchiolante dei suoi passi sulla ghiaia, il camionista uscì da sotto il cofano e si voltò verso di lui.
«Buongiorno», disse Blaine, cercando di mostrarsi il più possibile allegro. «L’ho vista quaggiù, mentre stavo facendo colazione».
Il camionista lo fissò con aria sospettosa.
«Mi era rimasto qualcosa», disse Blaine, «e così l’ho cucinato per lei. Ma forse ha già mangiato».
«No, non ho ancora mangiato», disse il camionista, con un certo interesse. «Avevo intenzione di fermarmi nel paese che c’è più indietro, ma era ancora tutto chiuso».
«Beh, allora», disse Blaine e gli tese il fuscello sul quale erano infilate le due bistecche.
L’uomo prese il fuscello e lo tenne, come se avesse paura di venir morsicato. Blaine si frugò nelle tasche, e tirò fuori le due patate.
«Avevo anche un po’ di granoturco», disse, «ma l’ho mangiato tutto. Erano solo tre pannocchie».
«Vuol dire che mi dà tutta questa roba?»
«Certamente», disse Blaine. «Però, può anche tirarmela in faccia, se non va».
«Mi farebbe molto comodo», dichiarò. «Il paese più vicino è a cinquanta chilometri da qui, e con questo aggeggio», e indicò il camion, «non so proprio quando ci arriverò».
«Non c’è sale», disse Blaine. «Però anche senza sale non è poi tanto malaccio».
«Beh», fece l’uomo, «visto che lei è così gentile…»
«Si sieda», disse Blaine. «E mangi. Che è successo al suo motore?»
«Non saprei. Dovrebbe essere il carburatore che non va».
Blaine si tolse la giacca e la ripiegò con cura, poi la depose sul parafango. Si arrotolò le maniche.
L’uomo andò a sedersi su di una grossa pietra sull’orlo della strada e incominciò a mangiare.
Blaine prese una chiave inglese e salì sul paraurti.
«Ehi», fece l’uomo, «dove ha preso questa roba?»
«Sulla collina», disse Blaine. «Ce n’erano un mucchio».
«Vuol dire che l’ha rubata?»
«Beh, che cosa farebbe, lei, se fosse senza lavoro e senza quattrini e se stesse cercando di arrivare a casa?»
«E da che parte sta?»
«Nel Sud Dakota».
L’uomo addentò un grosso pezzo di bistecca e si riempì la bocca al punto che non ce la fece più a parlare.
Blaine si infilò sotto il cofano, e si accorse che il camionista aveva staccato tutti i bulloni che tenevano fermo il carburatore, tranne uno. Lavorò di chiave inglese, e il bullone protestò con uno stridio metallico.
«È tutto arrugginito», disse il camionista, che aveva tenuto d’occhio i movimenti di Blaine.
Blaine riuscì finalmente a liberare il bullone, e prese fuori il carburatore. Reggendolo, andò a sedersi accanto all’uomo che continuava a mangiare.
«Tutto il camion sta per andare a pezzi da un momento all’altro», disse quello. «Non che sia mai stato gran che. Ha piantato grane per tutto il viaggio. Finirò per arrivare con un ritardo dell’accidente».
Blaine trovò una chiave inglese più piccola, adatta ai bulloni del carburatore e cominciò a lottare con le viti.
«Ho provato a viaggiare di notte», disse il camionista. «Ma non fa per me. Non dopo che ci ho provato, la prima volta. Troppo pericoloso!» «Ha visto qualcosa?»
«Se non fosse stato per quei segni che ho dipinto sul camion, non me la sarei cavata. Ho un fucile, ma non serve a niente. Non posso guidare e tenere il fucile nello stesso tempo».
«E probabilmente servirebbe a ben poco anche se riuscisse a farlo».
«Le dirò», disse il camionista, «sono organizzato a dovere. Ho una tasca piena di cartucce caricate a pallettoni d’argento».
«Ma costano care, no?»
«Sicuro. Ma bisogna organizzarsi».
«Già» disse Blaine. «È vero».
«Ogni anno che passa», dichiarò l’uomo, «la situazione peggiora. C’è quel predicatore, lassù, al nord».
«Ho sentito dire che ci sono parecchi predicatori».
«Oh, sì, un mucchio. Ma non sanno fare altro che parlare. Questo, invece, è deciso ad agire».
«Ecco fatto», disse Blaine, allentando l’ultimo bullone. Aprì il carburatore e guardò all’interno.
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