Da solo nello studio, a rimuginare sui suoi tesori medici, i suoi libri e gli antichi strumenti e ora questo pezzettino di aorta sotto vetro, Shadrach si sente al sicuro; questa è una comoda trincea. Quel problemino con Avatar si risolverà da solo. Il Khan, dopo tutto, ha uno spirito conservatore: si terrà ben stretto il suo corpo mongolo, la beneamata, solida carcassa rattoppata, finché potrà, nonostante le tentazioni di saltare nella struttura forte, giovane, vitale di Shadrach. Dunque non ci saranno uscite di scena precipitose per Shadrach, e nei mesi, forse anni, che si trova davanti, lui potrà cercare di distogliere completamente le fantasie del Khan dal Progetto Avatar, a favore del Progetto Talos. Questo significherà la fine delle ricerche di Nikki Crowfoot, ma Shadrach, tutto considerato, non si può sentire troppo in colpa per questo.
Concede all’aorta un posto d’onore sugli scaffali. Tra qualche secolo potrebbe essere un oggetto sacro, accolto in un reliquiario d’avorio e platino, e la folla di fedeli canterà grazie al santo Shadrach Mordecai, che salvò per la posterità questo brandello di carne divina. Chi può dirlo? Circola una storia apocrifa: molti degli organi originari di Gengis Mao sarebbero conservati in cunicoli labirintici e segreti, immagazzinati sotto freddo intenso o forse in vivo , per essere utilizzati eventualmente per clonare il Khan. Shadrach ne dubita. Se Gengis Mao avesse un vero interesse nella possibilità di essere clonato, si starebbero dedicando immense porzioni del bilancio scientifico alla ricerca sulla coltura dei tessuti, mentre, per quanto ne sa Shadrach, quell’area non sta ricevendo granché in termini di risorse. Ancora più probabilmente, ci sarebbe già un battaglione di duplicati geneticamente perfetti di Gengis Mao in attesa nelle vasche di sospensione di cinque o sei continenti, pronti a essere richiamati in vita.
Mordecai ha pensato spesso di scrivere una monografia scientifica sul suo paziente, una biografia medica di Gengis Mao, una cronaca esauriente delle migliaia di trapianti e innesti, delle infinite manovre chirurgiche che sono responsabili della longevità del Khan e forse della sua terrificante vitalità. Niente nella letteratura specializzata potrebbe reggere il confronto, neppure Beaumont sul tratto digestivo di Alexis St. Martin, neppure Lord Moran su Churchill: c’è mai stato un progetto medico tanto concentrato e di così lunga durata, che si estendesse durante tanti decenni, dedicato a mantenere un solo essere umano in vita e in salute? L’operazione ha già fin qui del miracoloso, ma i veri miracoli devono ancora realizzarsi, quando Gengis Mao, senza più età, eternamente rinnovato, continuerà a vivere oltre i cent’anni, i centodieci, i centoventi…
C’è un’altra tentazione, ancora più grande: scrivere non solo un testo scientifico, ma un resoconto completo della vita di Gengis Mao. Non esistono biografie del Presidente, a parte i libriccini propagandistici e ben depurati che si limitano a snocciolare i suoi successi politici e altri eventi esterni, evitando qualunque dettaglio relativo alla vita privata. È come se il Khan avesse un timore superstizioso di farsi catturare l’anima dalla carta stampata. Di qui il sogno a cui Shadrach non riesce a sfuggire: inchiodare il Khan con la parola scritta, imprigionarlo con uno juju letterario. È un mezzo possibile per ottenere potere sull’uomo più potente del mondo, in modo metaforico se non altro.
Il problema è che non ci sono fonti disponibili per il materiale. Le banche dati di Ulan Bator straripano di dati intimi relativi a qualunque essere umano vivente: tranne Gengis Mao. Sapendo quale bottone premere, ecco marciare avanti plotoni interi di fatti e cifre: ma nessuno riguarda Gengis Mao. I fatti della sua vita sono sconosciuti e forse inconoscibili, eccettuate le più elementari pietre miliari della sua vita pubblica, la proclamazione della filosofia della depolarizzazione centripeta, la fondazione del CRP, l’elezione alla Presidenza. Tutto il resto è stato soppresso, annichilito. Quando è nato? In quale oscuro villaggio? Che infanzia ha avuto, che ambizioni aveva da ragazzo? Come si chiamava originariamente, nei vecchi tempi della Repubblica Popolare, prima che si autoproclamasse Gengis Mao? Che passi ha seguito la sua carriera? Che istruzione ha ricevuto? Era mai stato all’estero? Si è mai sposato? Figli? Ecco, questa è una buona domanda: ci sono, in qualche angolo della Mongolia, degli uomini e delle donne di mezza età che sono effettivamente i figli di Gengis Mao, e in tal caso, conoscono l’identità del loro padre? Nessuno è in grado di dare risposta a queste domande. Nessuno può dare risposta a nessuna domanda che riguardi Gengis Mao, se non col sentito dire, con aneddoti apocrifi, con il mito. Ha coperto le sue tracce con grande cura, con una cura tale che il successo assoluto del tentativo di occultamento totale suggerisce una sorta di follia.
Ma è possibile che qualcuno, anche lo stesso Gengis Mao, desideri davvero eliminare dalla faccia della terra qualunque traccia della sua identità precedente? Si dice che i criminali si sentano attirati con forza a ritornare sulla scena del delitto; forse coloro che cercano di avvolgersi nel mistero tendono, allo stesso modo, a contrastare le loro stesse mistificazioni seppellendo, per la Storia, un resoconto esauriente di ciò che avevano cercato di nascondere. Non ci sarà un nascondiglio a cui Gengis Mao ha affidato tutti i segreti sottratti alla conoscenza dei suoi sudditi? Un diario, diciamo, un diario intimo e rivelatore, un ripostiglio per l’essenza dell’anima mascherata di Gengis Mao. Shadrach immagina un incontro fortuito con un documento simile, nel mezzo degli effetti personali del Khan: potrebbe capitargli di imbattersi in un singolo chip a bolla da un miliardo di bit , più piccolo di un polpastrello, contenente tutto ciò che ha costituito la vita di Gengis Mao, le sue confessioni, la versione non edulcorata delle sue memorie; e grazie a tutto questo, il fedele dottor Shadrach Mordecai sarebbe in grado di mettere insieme la prima e unica biografia di quell’uomo strano e sinistro che giunse a dominare la civiltà morente degli inizi del ventunesimo secolo.
Naturalmente, non esiste un diario del genere. Dei ladri qualunque, dei criminali da mezza tacca, possono mettere a rischio la loro sicurezza per un impulso insopprimibile, ma Shadrach conosce Gengis Mao abbastanza bene da rendersi conto che, se vuole vivere nel mistero, non lascerà in giro memorie nascoste che qualcuno potrebbe rinvenire. Il Gengis Mao privato ha un’attenzione alla segretezza pari solo a quella del Gengis Mao pubblico: apri una scatola vuota e dentro ce n’è un’altra, più vuota ancora. Non importa. Nel suo ruolo fantastico di biografo di Gengis Mao, Shadrach fantasticherà anche sulle memorie del Khan, inventerà il materiale e le fonti che Gengis Mao ha trascurato di fornire. Shadrach chiude gli occhi. Lascia l’immaginazione libera di vagare. Crea il diario del Khan nel crogiolo del proprio cervello pulsante.
11 novembre 2010
È il mio compleanno. Gengis Mao compie ottantacinque anni quest’oggi. No. No. Gengis Mao ha… quanti anni? Venti? Qualcosa del genere. È Dashiyin Choijamste che compie ottantacinque anni oggi. Dashiyin Choijamste, che porto dentro di me come un gemello interiore. Chi se lo ricorda, quel neonato grassoccio tra le braccia del padre orgoglioso? Tanto tempo fa, nel villaggio di Dalan-Dzadagad in una notte nevosa del 1925. È nella provincia del Gobi Meridionale, Dalan-Dzadagad. Non ci vado da quindici anni. È il posto dove sono nato, ma nessuno lo sa. Nessuno sa niente. Io lo so, Dashiyin Choijamste compie ottantacinque anni oggi. Quanti ce n’è in giro ancora vivi, di quelli che erano nati l’undici novembre del 1925? Non molti, no. E quelli che restano sono delle rovine ambulanti. Mentre io sono ancora al mio meglio, io, Dashiyin Choijamste di Dalan-Dzadagad, figlio di Yumzhagiyin Choijamste, direttore dell’allevamento di cammelli di Bogdo-Goom. Io, Gengis Mao. Mi sento in forma oggi, oh, sì, ottantacinque anni e una gran forza. E non solo grazie ai trapianti. È una cosa ereditaria. Il buon vecchio sangue tataro. Non dimenticartelo, avevi quasi settant’anni quando è scoppiata la Guerra Virale, eppure eri tutt’altro che vecchio, un vigore impressionante, tutti i denti sani, capelli nerissimi, passeggiate di venti chilometri tutte le settimane; non avevi ancora avuto trapianti. Eri ancora Dashiyin Choijamste, allora. Un suono strano, scorre male sulla lingua adesso, anche se è stato il tuo nome per più di sei decenni. E sono sopravvissuto alla Guerra Virale, senza alcun segno della decomposizione. La gente attorno a me cadeva a pezzi. Uno spettacolo da far torcere le budella. Non sono ricorso ai trapianti fino a che la vecchiaia naturale non ha dato i primi segnali, più tardi, molto più tardi: l’ho fatto, alla fine, ma non prima che il potere fosse nelle mie mani. Il potere. Ho conquistato il potere supremo. E ora medici esperti aiutano il mio naturale vigore tataro. Potrei vivere altri cinquant’anni.
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