Fritz Leiber - Il grande tempo

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Il Grande Tempo è uno dei più strani e affascinanti romanzi di fantascienza moderni. Alla sua pubblicazione, la XVII Convention mondiale di Science-Fiction gli assegnò il premio Hugo per il miglior romanzo dell’anno. Il concetto su cui si basa è grandioso: una guerra di viaggiatori nel tempo, che si muovono nel passato e nel futuro, mescolandosi alle battaglie di tutte le epoche, lungo un arco di miliardi di anni. Gli stessi protagonisti provengono dai tempi e dai luoghi più disparati, e per alcuni di loro il corso stesso della storia è diverso dal nostro: è il caso del comandante tedesco che proviene da un mondo dove il nazismo ha vinto la seconda guerra mondiale e il Reich si estende da Chicago agli Urali, o del gentleman americano proveniente da un Sud che non ha conosciuto la guerra di secessione.
Strappati alle loro “linee di vita” poco prima della morte, e reclutati per combattere contro un avversario che vuole cambiare il corso della Storia su tutti i mondi della Galassia, i protagonisti entrano in una nuova dimensione di vita, dove più nulla può essere certo, e dove la loro stessa vita è sottoposta a forze cosmiche che continuano a plasmarla e ad alterarla senza fine.
Un romanzo insolito ed estremamente originale, che fin dal suo apparire è stato salutato come un classico della narrativa di fantascienza.
Vincitore del premio Hugo per il miglior romanzo in 1958.

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La gravità non mi ghermì, sebbene la potessi sentire sul braccio sinistro. Mi trovavo quasi completamente nella zona Ristoratore, ma anch’io mi lasciai cadere al suolo, un po’ per una sorta di irrazionale solidarietà, ma soprattutto per non correre il rischio che Kaby mi colpisse.

Erich, Marcus e Illy si erano tolti dalla zona pericolosa e si dirigevano verso di noi. Maud scelse questo istante per sferrare il proprio attacco: non aveva molta scelta, se davvero voleva sferrarne uno. Adesso pareva una donna, e non l’eterna adolescente di prima: credo che il pensiero del miracolo che le era successo le fosse rimasto nella mente, nonostante la paura dell’esplosione, e che per lei si trattasse di una cosa molto importante. Si lanciò avanti di scatto, tesa al duplice scopo di sospingere, con un braccio, Kaby nella zona di alta gravità, e di afferrare il Mantenitore Minore con l’altro.

14

Come i diamanti, veniamo tagliati con la nostra stessa polvere.

Webster
“E ADESSO, TI DECIDERAI A PARLARE?”

I cretesi devono avere gli occhi anche sulla nuca, o più probabilmente, diciamolo chiaro, gli Intrattenitori non sono Soldati. Kaby si spostò di lato, alzò un braccio, applicò uno strattone, e la povera vecchia Maud finì dove aveva intenzione di mandare Kaby. Con profondo orrore vidi la gravità afferrarla e schiacciarla a terra.

Certo, anch’io avrei potuto saltarle addosso e ricevere lo stesso trattamento di Sid, Lili e Maud, ma vi assicuro che non sono molto coraggiosa, quando si tratta di mettere a repentaglio la vita.

Lili tentò di rialzarsi, un po’ stordita. Kaby la sospinse indietro con un buffetto, e disse con voce tranquilla: — Dov’è? — poi le appioppò un violento manrovescio. La cosa che mi colpì maggiormente fu il modo calmo, del tutto indifferente, con cui glielo diede. Posso capire che una persona, presa dal furore, ne colpisca un’altra, e posso perfino giustificare una persona che si porta deliberatamente in una condizione di collera, in modo da poter successivamente compiere qualche azione violenta, ma questo modo d’agire a sangue freddo mi rivolta lo stomaco.

Lili pareva sul punto di perdere sangue dal naso, ma uscì dallo stordimento di prima e serrò la mascella. Kaby afferrò il filo di perle di Lili e glielo strinse intorno al collo, e il filo si ruppe e le perle finirono a terra e rimbalzarono da tutte le parli come palline di ping-pong, cosicché Kaby tirò verso il basso il fazzoletto grigio, di seta, con cui Lili si era fermata i capelli, e, quando le fu giunto all’altezza del collo, prese a stringere quello. Lili cominciò a fare smorfie di dolore, ma senza aprire le labbra. Erich, Marcus e Illy, intanto, erano arrivati fino al divano e avevano fatto crocchio intorno alle due donne: osservavano la scena, ma non parevano intenzionati a sostituirsi a Kaby. Per loro andava benissimo ciò che faceva la cretese.

— Ti avverto, cagna — le disse Kaby — abbiamo poco tempo. In questo Locale c’è una stanza della guarigione, e io so usare gli strumenti che contiene.

Ecco, ci siamo , pensai, augurandomi di poter svenire. Oltre a tutto il resto, oltre alla stessa morte, era destino che tirassero fuori anche l’incubo fatto su misura per me, l’orrore che portava scritto il mio nome sul cartellino del destinatario. Non mi concedevano di esplodere in pace. Non bastava loro la bomba atomica. Dovevano inserire nel copione anche il mio diavolo personale.

— C’è uno strumento chiamato Invertitore — disse Kaby, proprio come prevedevo (ma io, in realtà, non udivo le sue parole: una sorta di vuoto mentale che vi spiegherò tra un istante). — Ti apre tutta, per poter guarire il tuo interno senza dover tagliare la pelle e farti perdere sangue. Ti rivolta le parti più grosse, ma non i vasi sanguigni. La tua pelle… occhi, orecchie, naso, dita, tutto… diventa il rivestimento di un piccolo buco, nel cui interno ci sono i tuoi capelli.

“Intanto, le tue interiora sono visibili, accessibili al guaritore, che può fare ciò che deve. Tu puoi sopravvivere per un certo tempo con l’aria contenuta nel buco. Prima, però, il guaritore ti dà una certa aria che ti dà il sonno, altrimenti diventeresti pazza entro cinquanta battiti del cuore. Noi vogliamo vedere, ora, che effetto ti fanno dieci secondi, senza l’aria del sonno. E adesso, ti deciderai a parlare?”

Io (o almeno la vera Greta) non l’avevo ascoltata, altrimenti sarei impazzita, senza bisogno dei servigi dell’Invertitore. Una volta ho sentito Doc affermare che il tuo fegato è più misterioso e lontano delle stelle, poiché, anche se vivi accanto al tuo fegato per tutta la vita, tu non lo vedi mai, non ti accade mai di indicarlo istintivamente; e la prospettiva che qualcuno si metta a trafficare con una tua parte talmente intima, talmente ignota, è troppo impressionante.

Sapevo di dover fare qualcosa alla svelta. Diavolo, al primo accenno all’Invertitore, prima ancora che Kaby avesse pronunciato la parola, Illy si era irrigidito, ritraendo i tentacoli fino a farli diventare spessi come salami cotti. Erich gli aveva rivolto uno sguardo interrogativo, ma quel figlio di un cane di un Lunare aveva risposto ugualmente (facendomi in tal modo perdere tutta la simpatia che ancora provavo per lui): — Non preoccupatevi di me. Sono soltanto un po’ troppo sensibile. Procedete con la ragazza. Fatela parlare.

Come dicevo, sapevo di dover fare qualcosa alla svelta, ma ero distesa sul pavimento, e ciò significava che avrei dovuto pensare rapidamente, con tutte le mie facoltà, a qualche cosa di diverso. La balorda scultura scagliata a terra da Erich era a un palmo dal mio naso, e notai che nel punto dove aveva toccato terra aveva lasciato una scia di finissima polvere bianca. Allungai la mano per toccare quella scia: era finemente abrasiva, come polvere di vetro. Voltai la scultura, e vidi che la parte dove aveva toccato terra non era affatto intaccata, non era danneggiata in alcun modo; le sfere grige erano lustre e perfette come prima. Dunque, la scia era polvere di diamante, raschiata via da qualcosa che era ancor più duro dei diamanti stessi del pavimento.

Evidentemente, quella scultura doveva essere qualcosa di molto speciale, e forse Doc aveva visto giusto, col suo cervello bacato, quando ce l’aveva portata e aveva cercato di darci un avvertimento. Nel portarci la scultura, Doc non era riuscito a parlare, ma aveva detto qualcosa prima, allorché ci aveva voluto spiegare come comportarci con la bomba: forse c’era un legame tra le due cose.

Mi sforzai la memoria e ricordai queste parole: “Inversciamo… cascia…”. Ah, certo, un grande aiuto davvero! Accidenti a tutti gli ubriaconi, russi o no.

Mi sforzai nuovamente la memoria, e questa volta ricordai la parola “guanto”, e allora capii e per poco non mi venne un colpo, mentre tutti i pezzi del rompicapo confluivano insieme sotto i miei occhi, come in un film proiettato a velocità superiore al normale.

Tutto faceva perno sul guanto destro, nero, da ussaro, che Lili aveva procurato a Bruce. Ma Lili non poteva averlo preso dai Depositi, poiché in seguito, durante la caccia al Mantenitore, avevamo frugato in ogni buco e frazione di buco, senza trovare guanti di sorta, neppure il sinistro del paio cui apparteneva il guanto di Lili. Inoltre, Bruce aveva iniziato con due guanti sinistri, e noi, frugando in tutto il Locale, avevamo visto soltanto il paio di guanti neri scagliati a terra da Bruce quando era salito sul bancone del bar: due e solo due, cioè il guanto sinistro che Bruce aveva con sé al suo arrivo, e il guanto destro che gli aveva procurato Lili.

Dunque, un guanto sinistro era sparito — l’ultima volta che lo avevo visto, Lili lo stava portando via, sulla cassettina del pronto soccorso, come una sacra reliquia — ed era comparso un guanto destro. La spiegazione poteva essere soltanto una: Lili aveva preso il guanto sinistro e l’aveva trasformato in un guanto destro, identico. E non l’aveva certamente rivoltato nella maniera tradizionale, perché altrimenti avremmo visto le cuciture.

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