E questa fu la goccia che fece traboccare il vaso.
Non glielo mollò abbastanza presto come avrei voluto, né, a parer mio, glielo mollò nella giusta condizione di spirito, ma devo dire a onor di Bruce che non rovinò la scena sferrandolo troppo di lato o con poca forza. Fece un passo avanti, la sua spalla ruotò intorno all’asse del corpo e il pugno colpì in modo piuttosto pulito e preciso.
E mentre colpiva, Bruce gridò una sola parola: — Loki! — e che mi venga un accidente se quella parola non mi richiamò alla mente le Dune dell’Indiana, e il campeggio, e mia madre che mi raccontava una storia delle Antiche Saghe nordiche: la storia del dio Loki, malvagio e beffardo, negatore di ogni valore, il quale, allorché gli altri dèi andarono per imprigionarlo nel suo nascondiglio presso il fiume, stava terminando di annodare una rete misteriosa, abbastanza grande, secondo me, per catturare l’intero universo; e lo avrebbe catturato, se gli altri avessero tardato di un minuto.
Erich era steso a terra, teneva la testa un po’ sollevata, si strofinava il mento e fissava Bruce con occhi fiammeggianti. Marcus, che era fermo di fianco a me, improvvisamente si scosse, e io pensai che intendesse fare qualcosa, che so, magari colpire Bruce in base al vecchio spirito di corpo (“Ehi, non ti permetto di fare questo al mio amico”) ma poi si limitò a scuotere la testa e a mormorare: — Omnia vincit amor. - Io, che non so il latino, alzai le sopracciglia, ed egli tradusse: — L’amore batte ogni cosa.
Non mi sarei mai aspettata da un romano una simile affermazione, comunque non aveva tutti i torti. Lili aveva avuto la sua vittoria: il matrimonio, celebrato col rito di stendere a terra l’amico misogino dei tempi del celibato, che in futuro avrebbe cercato di convincerlo a uscire la sera per andare al caffè. In quel momento, secondo me, Bruce desiderava Lili e desiderava vivere con lei più di quanto non desiderasse riformare il Mondo del Cambio. Be’, noi donne abbiamo sempre le nostre piccole vittorie… almeno fino a quando non suona la fanfara, o il Piccolo Caporale di casa non decide di tirar fuori dal cassetto l’artiglieria, o i Panzer non passano sotto la finestra.
Erich si rimise lentamente in piedi e rimase fermo dov’era, con le gambe un po’ piegate e la schiena un po’ curva, a massaggiarsi il mento e a fissare Bruce con occhi di brace, ma non fece nulla per continuare la zuffa; io, osservandolo, dissi a me stessa: “Se avesse una pistola, adesso si ucciderebbe, ne sono certa”.
Bruce fece per dire qualcosa, poi esitò, come avrei esitato anch’io nei suoi panni, e, proprio in quel momento, Doc, colto da una delle sue imprevedibili ispirazioni, si diresse verso Erich con passo barcollante, tendendo la scultura verso di lui e facendo dei gesti da sordomuto come quelli che aveva fatto prima. Erich lo fissò come se volesse ucciderlo, poi gli strappò di mano la scultura, la sollevò in alto, al di sopra della testa, e la scaraventò a terra con tutta la sua forza, ma la scultura, sorprendentemente, non si ruppe. Si limitò a scivolare sul pavimento, e venne a fermarsi accanto ai miei piedi.
Vedendo che non si era rotta, Erich perse il lume della ragione. Giuro di aver visto una nube rossa velargli gli occhi e salirgli fino al cervello. Si girò su se stesso, raggiunse la zona Deposito e fece di corsa i pochi passi che lo separavano dal baule di bronzo della bomba.
Ciò che accadde in seguito, anche se io non mi mossi, mi parve una scena cinematografica vista al rallentatore. Quasi tutti si precipitarono dietro a Erich. Soltanto Bruce non si mosse, e Sid si fermò dopo il primo scatto in avanti e tornò indietro, mentre Illy si accovacciò per spiccare un salto; nella zona vuota, tra le zampe pelose di Sevensee e i calzoni bianchi di Beau che si aprivano e chiudevano rapidamente, simili a forbici, vidi, come se lo vedessi col cannocchiale, il cerchio di teschietti e il dito di Erich che li premeva nell’ordine detto da Kaby: uno, tre, cinque, sei, due, quattro, sette. Riuscii anche a formulare per sette volte una preghiera perché sbagliasse ordine.
Erich si raddrizzò. Illy atterrò accanto al baule come un enorme ragno argentato, e i suoi tentacoli si strinsero inutilmente sul coperchio. Gli altri s’immobilizzarono, bloccati dal panico.
Il petto di Erich si muoveva affannosamente, ma la sua voce era fredda e precisa mentre egli diceva: — Avete detto qualcosa, relativamente al nostro futuro, Miss Foster. Ora potete fare delle previsioni molto più esatte. A meno che non si riesca a ritornare nel cosmo e a buttare fuori del Locale questo baule, o a trovare un tecnico atomico dei Ragni, oppure a comunicare con il Quartier Generale per chiedere come disinnescare la bomba, il nostro futuro durerà esattamente trenta minuti.
D’onde ei venisse, qual grembo il partorì,
Se di fiera lo ignoro, o della terra.
Ma di lupi e tigli il latte certo lo nutrì.
Spencer
LA TIGRE È LIBERA
Credo che nel momento in cui viene schiacciato il pulsante, girata la chiavetta, fatta scattare la botola, concentrato il raggio o quel che volete, non si svenga, non si impazzisca, non si faccia nessuna delle cose che tornerebbero utili. Nel mio caso, almeno, io non ne feci nessuna. Ogni oggetto, ogni persona, ogni movimento, ogni parola risultavano penosissimamente reali per me, come se una mano invisibile mi torcesse il profondo dell’animo, e ogni dettaglio mi sembrò ingrandito e posto sotto i riflettori, come già mi era successo con i sette teschietti.
Erich era fermo dietro il baule della bomba, e un lieve sorriso gli increspava le labbra. Non l’avevo mai visto così eccitato. Illy gli stava al fianco, leggermente distanziato. Marcus, Sevensee e Beau erano davanti al baule, dirimpetto a Erich. Beau aveva piegato un ginocchio ed esaminava accuratamente il coperchio; il timore, benché abilmente controllato, gli faceva avvicinare un po’ più del necessario la testa, ed egli teneva le mani unite, dietro la schiena, forse per non farsi prendere dall’impulso di schiacciare tutto ciò che potesse sia pur lontanamente sembrare un pulsante di disarmo.
Doc era steso a faccia in giù sul divano più vicino; spento come una lampadina, immagino.
Noi ragazze eravamo ancora sedute sul divano di controllo, e con noi c’era Kaby, la cui espressione mi stupiva: invece di parere atterrita, spaventata o simili, aveva un’aria altrettanto eccitata quanto quella di Erich.
Sid, che, come ho detto, si era tenuto lontano dal parapiglia, tendeva una mano verso il Mantenitore Minore, senza toccarlo. Il suo volto barbuto pareva voler invocare dal Cielo morte e distruzione su un certo vagabondo stordito che, in vita sua, era passato da King’s Lynn a Cambridge e poi a Londra, e la ragione era abbastanza chiara: se gli fosse venuto in mente di ricorrere al Mantenitore un istante prima, avrebbe potuto inchiodare a terra Erich con l’alta gravità, e impedirgli di raggiungere i pulsanti.
Bruce, con una mano appoggiata allo schienale del divano di controllo, guardava le persone accanto al baule: in particolare Erich, credo, e lo guardava come se il mio piccolo comandante gli avesse fatto un inatteso favore, sebbene io non riesca a immaginare che soddisfazione si possa provare nel venire invitati con la forza a un party di amanti del suicidio. In verità, Bruce pareva un po’ troppo trasognato, che Brahma lo fulmini, per una persona tormentata dallo stesso chiodo che, come sapevo maledettamente bene, ci assillava tutti: il pensiero che tra ventinove minuti, istante più, istante meno, il Locale sarebbe diventato un sole in miniatura.
Erich, come avrei potuto scommettere, fu il primo a riprendersi. Godeva di un vantaggio psicologico su di noi, e non intendeva perderlo.
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