Andrew sorrise e gli batté la mano sulla spalla. — Tutto a posto — replicò. Erano parole insignificanti, ma Damon sentiva ciò che rappresentavano.
— Quello che ho detto una volta, a proposito della fratellanza di sangue… — cominciò Andrew, cercando a fatica le parole. — È… lo stesso sangue, come di fratelli… Il sangue che ognuno dei due sarebbe disposto a spargere per l’altro.
Damon annuì, in segno di accettazione. — Fratello — disse gentilmente. — Fratello di sangue, se vuoi. Bredu. È soltanto la vita, ciò che abbiamo in comune: non il sangue. Capisci? — Ma le parole non avevano importanza: contavano soltanto i simboli. Entrambi sapevano cos’erano l’uno per l’altro, e non c’era bisogno di parole.
— Dobbiamo preparare le donne — disse Damon. — Se Leonie presenta queste accuse in Consiglio… Se mettono in atto quelle minacce, e Ellemir non è preparata, potrebbe abortire o peggio. Dobbiamo decidere come affrontarlo. Ma la cosa che conta — aggiunse, tendendo di nuovo la mano a Andrew, — è che l’affrontiamo insieme. Tutti noi.
Per tre giorni, Esteban Lanart-Alton rimase tra la vita e la morte. Callista, che vegliava al suo fianco (Ferrika aveva proibito a Ellemir di assisterlo), scoprì che la grande arteria del cuore era parzialmente ostruita. C’era un modo per eliminare la lesione, ma lei aveva paura di tentare.
La sera del terzo giorno, Dom Esteban aprì gli occhi e se la vide accanto. Cercò di muoversi, e lei tese la mano per impedirglielo.
— Sta’ fermo, caro padre. Noi siamo con te.
— Non ho partecipato… al funerale di Domenic… — mormorò lui. Poi Callista vide riaffluire il ricordo, in uno spasimo d’angoscia che gli passava sul volto. — Dezi — mormorò il vecchio. — Dovunque fossi, io… credo di averlo sentito morire, povero ragazzo. Anch’io sono colpevole…
Le delicate e sottili dita di Callista gli strinsero la rozza mano. — Padre: quali che fossero le sue colpe e i suoi torti, ora è in pace. Adesso devi pensare solo a te stesso: Valdir ha bisogno di te. — Callista si accorse che anche quelle parole l’avevano sfinito: ma nonostante le labbra esangui e il pallore bluastro, il vecchio gigante stava ancora cercando di resistere. Disse: — Damon… — Lei comprese cosa voleva, e si affrettò a rassicurarlo. — Il dominio è al sicuro nelle sue mani: va tutto bene.
Soddisfatto, il vecchio si abbandonò di nuovo al sonno, e Callista pensò che il Consiglio doveva accettare Damon come reggente. Non c’era nessun altro che potesse accampare il minimo diritto. Andrew era un terrestre: anche se fosse stato in grado di governare, non l’avrebbero accettato. Il giovane marito di Dorian era un nedestro di Ardais e non sapeva nulla di Armida, che invece era stata la seconda casa di Damon. Ma la reggenza di Damon era ancora minacciata dall’ombra di Leonie: e mentre Callista si chiedeva quando sarebbe avvenuto il confronto, Damon aprì la porta e la chiamò con un cenno.
— Lascia con lui Ferrika e vieni.
Quando furono nell’altra stanza, le disse: — Ci hanno convocati nella Camera di Cristallo, tra un’ora, me e Andrew. Credo che dovremmo andare tutti.
Nella fioca luce, gli occhi di lei s’indurirono: non erano più azzurri ma di un grigio freddo, lampeggiante. — Sono accusata di violazione del giuramento?
Damon annuì. — Ma come reggente di Alton sono tuo tutore, e tuo marito è mio vassallo giurato. Non siete tenuti ad affrontare le accuse, a meno che lo vogliate. — Le strinse le spalle. — Devi capire questo, Callista. Li sfiderò! Tu hai coraggio di fare altrettanto? Sei abbastanza forte per schierarti al mio fianco oppure crollerai come uno straccio e presterai la tua forza ai nostri accusatori?
La sua voce era implacabile, le sue mani le stringevano dolorosamente le spalle. — Possiamo avere il coraggio delle nostre azioni, e sfidarli: ma se non lo farai, perderai Andrew e me. Lo sai. Vuoi ritornare ad Arilinn? — Alzò una mano verso il volto di lei, seguendo con un dito i rossi segni delle unghiate sulla guancia. — Ne hai ancora la possibilità, perché sei ancora vergine. La porta resterà aperta fino a quando tu la chiuderai.
Callista si portò la mano alla gola, sopra la matrice. — Ho restituito il giuramento di mia spontanea volontà: non ho mai pensato di violarlo.
— Sarebbe stato facile compiere una scelta chiara, definitiva — disse Damon. — Non è facile, invece, farlo adesso. Ma sei una donna, e sotto tutela. Vuoi che risponda per te al Consiglio?
Lei gli scostò la mano. — Sono una comynara — disse. — Ed ero Callista di Arilinn. Non ho bisogno che un uomo risponda per me! — Si voltò e si avviò verso la stanza che divideva con Andrew. — Sarò pronta!
Damon si diresse alla propria camera. Aveva provocato Callista deliberatamente, ma sapeva che l’atteggiamento di sfida di lei avrebbe potuto rivolgersi contro di loro.
Anche il suo istinto di sfida era acceso. Non avrebbe affrontato i suoi accusatori come un ladro trascinato in giudizio! Indossò gli abiti migliori, tunica e calzoni di pelle tinti nei colori del suo dominio, con un pugnale ingemmato alla cintura. Frugò tra le sue cose, cercando una catena ornata di pietre-di-fuoco, e in un cassetto trovò qualcosa, avvolto in un telo.
Era il mazzo di fiori secchi di kireseth che aveva preso nella distilleria di Callista, senza sapere perché.
Aveva agito spinto da un impulso che ancora non comprendeva: forse era stato un barlume di precognizione, forse qualcosa di peggio. Non era stato in grado di spiegare, a lei o a chiunque altro, perché l’aveva fatto.
Ma adesso, mentre lo teneva tra le mani, comprese. Non sapeva se era il lievissimo sentore di resine che esalava dal telo — era noto che stimolava la chiaroveggenza — o se la sua mente, che ormai possedeva tutte le informazioni, aveva operato di colpo la sintesi a sua insaputa. Ma all’improvviso comprese ciò che Varzil aveva cercato di dirgli, ciò che doveva aver significato il rito della Fine dell’Anno.
A differenza di Callista, sapeva esattamente perché l’uso del kireseth era proibito tranne quando era distillato e frazionato nell’essenza volatile conosciuta col nome di kirian. Come gli avevano rammentato le parole di Dom Esteban, il kireseth , l’azzurro fiore stellato tradizionalmente offerto da Cassilda a Hastur nella leggenda, e chiamato campanula d’oro quando i fiori erano coperti di polline aureo, era anche un potente afrodisiaco che annullava inibizioni e controlli: e adesso tutti gli anelli della catena si erano saldati.
Gli affreschi nella cappella. Le storie di Dom Esteban e l’indignazione che avevano destato in Ferrika, affiliata alle Libere Amazzoni, che non si sposavano e consideravano il matrimonio una schiavitù. La strana illusione condivisa da Andrew e da Callista durante la fioritura invernale: solo adesso Damon capiva che non era stata un’illusione, sebbene i canali di Callista fossero rimasti liberi. E il consiglio di Varzil…
La chiave era il tabù. Il kireseth non era proibito per le associazioni immonde e lubriche, come aveva sempre creduto, ma perché era sacro.
Alle sue spalle, Ellemir disse, nervosamente: — È ora. Dove sei stato, caro?
Scosso dal ricordo del tabù che l’aveva oppresso fin dall’infanzia, Damon si affrettò a riporre nel cassetto i fiori, ancora avvolti nel telo. Lo stesso istinto che l’aveva indotto a indossare gli abiti migliori per affrontare gli accusatori aveva ispirato anche lei, notò soddisfatto. Ellemir indossava un abito da cerimonia, profondamente scollato. I capelli erano raccolti sulla nuca in un pesante nodo lucente. La gravidanza sarebbe apparsa manifesta anche a un osservatore distratto, ma lei non era sgraziata. Era bellissima: un’orgogliosa dama dei Comyn.
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