La leggenda dice che la Strada Proibita era il sentiero su cui camminavano gli dèi per portare la distruzione nel mondo, nell'epoca in cui nascevano i Comyn con le loro strane Doti, e che era proibita a chiunque non fosse un dio o un figlio degli dèi. La spaccatura risaliva certamente a prima delle Epoche del Caos, ma non mi ero mai curato di sapere se era stata creata da un terremoto o da un fiume che scorreva nelle pianure quando il clima dell'intero Darkover era più caldo e più umido. Per quanto me ne importava, poteva benissimo averla tracciata l'unghia enorme di qualche dio.
Due lune erano tramontate e la terza era prossima ormai all'orizzonte quando lasciammo la Strada per dirigerci verso il Rhu Fead , la Caverna Sacra, posta accanto alla superficie leggermente fosforescente del lago di Hali. In quella caverna venivano incoronati gli antichi sovrani Hastur, davanti all'altare in cui ardeva eternamente il fuoco degli dèi, e la caverna era un tempo affidata alla custodia del Guardiano della Torre di Hali. Ma, dopo la distruzione della Torre, i Comyn, in segno di lutto per quella perdita, avevano rinunciato alla cerimonia e avevano lasciato Hali. Di conseguenza, la Caverna era protetta soltanto dai suoi schermi mentali.
Smontammo di sella accanto alla riva. E i vapori del lago si mossero verso di noi, sull'erba rada e in mezzo ai sassi. Io scalzai inavvertitamente un ciottolo, che finì nel lago senza fare rumore; il foro, però, rimase visibile per molto tempo.
Kathie fissò a occhi sgranati lo strano lago.
«Quella», osservò, «non è acqua, vero?»
Scossi la testa. Era un vapore, leggermente esilarante, e probabilmente conteneva qualche complessa molecola organica, ma non avrei saputo dire il nome delle sostanze chimiche che la componevano, perché nessun terrestre l'aveva mai analizzata. In genere, anzi, nessuna persona umana, tranne i Comyn, metteva piede sulle rive del lago.
Kathie aggrottò la fronte e protestò: «Ma io sono già stata qui…»
«No», le spiegai. «Avete semplicemente alcuni dei miei ricordi.» Le toccai amorevolmente il braccio, come se fosse stata Linnell. «Non abbiate paura.»
Davanti all'ingresso della caverna c'erano due colonne bianche, e tra di esse si scorgeva una luminosità che brillava di tutti i colori dell'arcobaleno, come uno strato di olio sull'acqua. Io fissai attentamente quel velo di energia, cercando di capire in che cosa differisse da quello abituale che protegge l'ingresso delle Torri, il Velo.
«Anche se ho messo sulla vostra mente una barriera protettiva», dissi poi a Kathie, «il potere di quello schermo vi svuoterebbe la mente. Dovrò fare come ho fatto per un istante dopo il vostro arrivo: tenere la vostra mente del tutto dentro la mia.»
Kathie rabbrividì, e io le spiegai la ragione.
«Quel velo è un campo di forza, regolato sul cervello dei Comyn. Noi possiamo passare, ma voi morireste.»
Kadarin si girò verso Callina.
«Perché non lo fai tu?» le chiese.
Lei scosse la testa.
«È una cosa che riguarda la polarità maschile-femminile. Come Guardiana, potrei farlo, ma se cercassi di impossessarti della tua mente per più di qualche secondo, la tua personalità verrebbe distrutta… in modo permanente.»
Poi, con una strana espressione inorridita, aggiunse: «Me l'ha mostrato Ashara… Una volta».
Presi Kathie e la sollevai di peso. Lei fece per protestare, ma io aggrottai la fronte.
«La prima volta che sono entrato in contatto con voi, siete svenuta, e la seconda vi siete messa a piangere», le ricordai «Se dovesse succedervi qualcosa di simile mentre siete dentro il Velo, voglio essere sicuro che arriviate dall'altra parte.»
Questa volta, però, lei era protetta dalla mia stessa barriera, e perciò fu facile compensare le sue onde cerebrali non Comyn. Attraversammo lo schermo di energia senza altre conseguenze che un leggero sfarfallio della vista; posai a terra Kathie con la massima gentilezza.
Ci inoltrammo nella caverna, le cui pareti erano leggermente fosforescenti. Scorgemmo alcuni corridoi laterali, pieni di una sottile nebbia che impediva di vedere quanto fossero lunghi, e Kathie andò avanti con decisione, per poi imboccare uno di quei corridoi.
«Lew, ma io so dove devo andare!» esclamò. «Come faccio a saperlo con tanta precisione?»
Anche quelle erano informazioni che leggeva nella mia mente, grazie al contatto. Il breve corridoio ci portò in una piccola stanza di marmo bianco, con una tenda di colore rosso carminio al posto della porta. In fondo, in una nicchia nella parete, era stato ricavato una specie di altare di cristallo iridescente, posto su tre o quattro scalini, e sull'altare c'era un cofanetto di cristallo azzurro. Misi il piede sul primo scalino e…
Non riuscii a salire. Avevo incontrato la barriera interna, quella che nessun Comyn poteva superare. Per me, era come se mi fossi appoggiato a un muro invisibile; Callina, incuriosita, allungò le mani e vide che rimbalzavano. Evidentemente, quello schermo prendeva un aspetto diverso per ciascuna persona.
Kathie mi chiese: «Siete ancora nella mia mente?»
«Sì, ma solo con una piccola parte», risposi.
«Allora, è meglio che vi togliate. Quel piccolo pezzo della vostra mente mi impedisce di avvicinarmi.»
Annuii, e in un attimo la liberai dalla barriera. Kathie mi sorrise — adesso che mi ero tolto dalla sua mente, aveva perso ogni somiglianza con Linnell — e senza alcuna difficoltà salì i gradini.
La vidi sparire dentro una nube azzurra che riempì tutto lo spazio dell'altare. Poi l'azzurro della nube si trasformò nel bianco abbagliante di una fiamma; io avrei voluto gridare a Kathie di non avere paura, perché era solo un'illusione… ma neppure la mia voce sarebbe riuscita a oltrepassare la barriera che impediva ai Comyn di avvicinarsi.
Kathie venne inghiottita dalle fiamme, e dopo un attimo sentii levarsi un forte vento e fui investito da un tuono che mi fece sobbalzare.
Altre illusioni, naturalmente, e poco più tardi, infatti, ricomparve Kathie, che ci mostrava con aria trionfale una spada infilata nel fodero.
CAPITOLO 14
LA MATRICE VIVENTE
Proprio come pensavo, la Spada di Aldones era una vera spada: lunga e lucente, dall'aspetto mortale, e di una tempra così fine che, al confronto, la spada che portavo al fianco sembrava di latta. L'impugnatura era avvolta nella seta isolante, ma attraverso di essa si scorgeva il luccichio delle gemme.
Sembrava un duplicato della spada di Sharra, ma ora che l'avevo vista, la spada di Sharra mi parve solo un'imitazione dozzinale della meravigliosa spada che avevo in mano.
Non era un semplice travestimento in cui nascondere una matrice; l'intera spada era una matrice. Pareva possedere una vita autonoma: nel tenerla in mano, sentivo scorrermi lungo il braccio un fremito — non sgradevole — di potere. Strinsi sotto l'ascella il fodero e cominciai a sfoderare lentamente l'arma…
«No!» mi disse Callina, come per avvertirmi di un pericolo, e mi mise la mano sul braccio. Per un momento, mi chiesi che cosa volesse; poi le obbedii e rinfoderai l'arma.
«Abbiamo finito», dissi. «Affrettiamoci a uscire.»
Quando uscimmo dalla caverna, il sole dell'alba illuminava il lago e — cosa assai più inquietante — l'acciaio di alcune lame. Kathie emise un grido di terrore nel vedere i tre uomini che venivano verso di noi.
Tre uomini? No, due uomini e una donna. Kadarin, Dyan, e tra di loro, sottile e fremente come una fiamma scura, c'era Thyra Scott che mi sorrideva, come per sfidarmi a parlarle o a colpirla. Io presi il coltello che portavo alla cintura. Thyra mi guardò senza battere ciglio, e sollevò il collo come se non avesse alcun timore di quella lama.
La mia mano parve aprirsi da sola, e il coltello cadde a terra.
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