Per un momento, sentii il pianto di Callina… di Callina? Era quasi una presenza fisica tra noi, come se le due donne si fossero fuse in una sola. A quale delle due avevo sussurrato il mio amore? Non lo sapevo. Ma le braccia che mi stringevano erano reali.
La tenni stretta, pensando tristemente che a lei — come donna — non potevo dare nulla, in quel momento. La dannazione personale del lettore di pensieri, dolorosa come sempre.
Ma la cosa non aveva importanza. E all'improvviso capii che la Diana da me amata su Vainwal, appassionata, superficiale e abituata a comportarsi quasi come un maschio, non era quella vera. La vera Diana era colei che avevo con me quella sera. E anch'io non ero più l'uomo da lei conosciuto lassù.
Non sarei riuscito a parlare neanche se mi fossi sforzato di farlo. Nel bacio che le diedi c'era una richiesta di perdono, e lei me lo restituì come gliel'avevo dato, gentilmente e senza passione.
Ci addormentammo come due bambini innocenti, l'uno tra le braccia dell'altra.
CAPITOLO 13
LA CAVERNA SACRA
Quando mi svegliai, mi trovai solo. Per vari minuti, alla luce del mattino, mi chiesi se il bizzarro episodio della mia visitatrice notturna era stato solo un sogno. Poi, quando le tende si aprirono ed entrò Diana, sorrisi. Se fosse stato un sogno, avremmo certamente fatto l'amore!
«Ti ho portato una visitatrice», mi disse.
Io cominciai a protestare; non volevo vedere nessuno. Ma lei aprì le tende… e Marja entrò di corsa nella stanza.
Si fermò a fissarmi, stupita, poi si gettò su di me e mi abbracciò.
Io mi sciolsi dal suo abbraccio, fissai Diana.
«Piano, bambina, piano, o mi farai cadere in terra! Diana, come hai…»
«Ho saputo di lei», spiegò Diana, «quando Hastur l'ha portata al Castello. Ma la Torre non è posto per lei. Prenditi cura di lui, Marja», le disse, e prima che io potessi parlare, uscì dalla stanza.
Andrés mi riferì che c'erano ancora dei terrestri che sorvegliavano i corridoi, ma nessuno di essi entrò nelle mie stanze, per tutta la giornata. Mi rassegnai all'inattività e passai la giornata a giocare con Marja e a fare qualche piano confuso. Non intendevo farmela portare via!
Quanto ad Andrés, mi parve incuriosito dalla presenza della bambina, ma non c'era modo di spiegargli la sua origine senza parlargli di Marjorie e di Thyra, e io non volevo parlarne con nessuno, nemmeno con lui. Gli dissi semplicemente che era mia figlia. Lui mi diede un'occhiata da uomo che sa come vanno le cose e, con mio grande sollievo, non insistette.
Cercai di fare alcune domande a Marja, ma le sue risposte furono vaghe e senza significato, come c'era da aspettarsi da una bambina della sua età. Verso sera, dato che nessuno era venuto a prenderla, dissi ad Andrés di prepararle il letto vicino al mio e quando vidi che dormiva chiamai il mio servitore.
«Quanti terrestri ci sono nel Castello?» gli chiesi.
«Dieci, al massimo quindici», rispose. «Non hanno la divisa della forza spaziale… nemmeno Lawton oserebbe essere così insolente nei riguardi dei Comyn. Sono in borghese, e si comportano educatamente.»
Io annuii.
«Nessuno di loro», dissi, «sarebbe ih grado di riconoscermi, credo. Cercami dei vestiti terrestri.»
Lui mi rivolse un sorriso triste.
«È inutile cercare di fermarti, suppongo. Allora, mi occuperò della bambina. E non ho bisogno di essere un lettore del pensiero per sapere che cosa pensi, vai dom. Sono vissuto per metà della vita nella tua famiglia, e conosco voi Alton.»
L'appartamento degli Alton aveva molte porte, e i terrestri non potevano tenerle sotto sorveglianza tutte. Nel corridoio, nessuno mi degnò della minima attenzione. Cercavano un darkovano senza una mano; un uomo vestito da terrestre, con una mano in tasca, non destava la minima curiosità.
Quando mi trovai davanti all'appartamento degli Hastur, mi fermai per un momento, perché avrei voluto chiedere consiglio al Vecchio Reggente. Poi, anche se con dispiacere, rinunciai a farlo. Se avesse conosciuto il mio piano, probabilmente mi avrebbe proibito di metterlo in atto, e mi avrebbe costretto, con mille giuramenti, a obbedirgli. Meglio non correre rischi.
Trovai Callina nelle sue stanze; aveva lo sguardo vacuo e spento; mi guardò senza riconoscermi.
«Callina!» le gridai, ma, per l'effetto che ottenni, tanto sarebbe valso tacere. La misi in piedi, sollevandola di peso. Aveva gli occhi fissi, come in trance.
«Sveglia!» le gridai, e la scossi con violenza. Ma dovetti farla sedere su una sedia e schiaffeggiarla con forza perché sollevasse la testa e riprendesse la ragione.
«Che cosa fai? Lasciami!» protestò.
«Callina, eri in trance…»
«Oh, no!» Si scagliò contro di me, e si afferrò alle mie braccia, con un appello disperato. Io colsi le parole: «Ashara», e: «Mandala via!» ma non riuscii a capirne il senso. La tenni lontana da me finché non le fu passata la crisi. Gradualmente, si calmò.
«Mi dispiace, Lew», disse. «Ma adesso sono di nuovo in me.»
«Ma chi sei?» le dissi, confuso. «Diana? Ashara?»
Lei sorrise, con aria triste.
«Se non lo sai tu», mi chiese, «chi può saperlo?»
Non osai mostrarmi tenero.
«Dobbiamo agire questa notte stessa, Callina», le dissi, «mentre i terrestri pensano che io sia troppo debole per fare qualcosa. Dov'è Kathie?»
Lei fece una smorfia.
«Quando vedo quella ragazza», disse, «mi sembra di stare con il fantasma di Linnell.»
Anche a me quella strana somiglianza faceva accapponare la pelle, ma non feci commenti, e alla fine Callina trasse un sospiro.
«Vuoi che vada da lei?» mi chiese.
«Vado io», le risposi.
Uscii dalla stanza, ne attraversai una che era vuota e giunsi nella camera dove avevamo portato Kathie. La ragazza era stesa su un divano, con addosso solo una corta tunica, e sfogliava un album di disegni. Nel sentirmi arrivare, trasalì e si infilò una vestaglia.
« Via! » gridò. Poi mi riconobbe. «Oh, siete voi!»
«Kathie, non ho fatto nessun progetto su di voi, tranne quello di chiedervi di vestirvi e di venire con noi. Sapete andare a cavallo?»
«Sì, perché?» S'interruppe. «No, non c'è bisogno che me lo diciate. Credo di saperne il motivo. Mi è successo qualcosa di strano, da quando Linnell è morta.»
Non potevo spiegarle che era in collegamento mentale con me. Andai fino all'armadio, frugai tra i vestiti e alla fine ne tirai fuori alcuni. Li riconobbi con una fitta di dolore: avevano ancora il profumo di Linnell; ma non potevo più fare niente per lei.
Portai a Kathie gli abiti.
«Mettete questi», le dissi, e mi sedetti ad aspettare, ma, dallo sguardo irritato che la ragazza mi rivolse, mi ricordai dei tabù terrestri.
Mi alzai e arrossii. Come potevano, le donne della Terra, comportarsi così apertamente in pubblico e con tanto pudore in casa?
«Scusate», le dissi. «Me n'ero dimenticato. Chiamatemi quando sarete pronta.»
Poi, uno strano silenzio mi spinse a voltarmi. Kathie guardava i vestiti, con aria desolata.
«Non ho la minima idea di come si mettano!» protestò.
«Dopo quello che avete pensato di me», le risposi, «non intendo certamente aiutarvi!»
Fu lei, questa volta, ad arrossire.
«E poi», aggiunse, «come posso cavalcare con la gonna?»
«Per gli inferni di Zandru, ragazza», esclamai, con stupore, «e in che altro modo vorreste cavalcare?»
«Ho cavalcato per tutta la vita, ma non l'ho mai fatto con la gonna, e non intendo cominciare adesso. Se. volete che venga a cavallo con voi, trovatemi dei vestiti decenti!»
«Ma questi vestiti sono perfettamente decenti…»
«Maledizione, allora trovatemi dei vestiti indecenti !» esclamò lei, con ira.
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