Marion Bradley - La spada di Aldones

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Aldones è uno degli dei di Darkover, uno dei Signori della luce. Il romanzo prosegue le vicende narrate in Ritorno a Darkover e Il Signore di Storn. La storia inizia con il figlio di Kennard Alton richiamato su Darkover dal Reggente. Sul Pianeta del Sole Rosso ha inizio la lotta contro i terrestri e alcuni nobili vogliono usare il potere di Sharra, la dea del fuoco, il cui culto è proibito, per sconfiggerli. Il giovane, figlio di un darkovano e di una terrestre, si trova così diviso fra due fazioni e avventurandosi in una delle Torri, deve confrontarsi con il potere di Sharra, cercando l'aiuto di un dio a lei superiore: Aldones.
Nominato per il premio Hugo per il miglior romanzo in 1963.

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«Va' via da me, strega!» le gridai.

La sua risata impudente parve evocare milioni di fantasmi, ma, quando parlò, la sua voce era dura come l'acciaio.

«Che cos'hai fatto a mia figlia?» chiese.

« Mia figlia», le risposi. «È al sicuro. Ma non puoi averla.»

Dyan fece un passo avanti, ma Kadarin lo prese per il gomito e lo fermò.

«Aspetta», gli disse.

Thyra disse: «Siamo disposti a trattare. Dammi quello che hai preso là dentro, e sarete liberi».

«Saremo liberi anche senza darvi niente», dissi io.

Kadarin impugnò la spada. Come avrei dovuto prevedere, era quella della matrice di Sharra.

«Lo credi davvero?» mi disse, a bassa voce. «Farai meglio a consegnarmelo. Io ho sempre intenzione di ucciderti, ma oggi non potrebbe essere un onesto duello, nelle tue condizioni.»

Con il mento, indicò la fasciatura che avevo sulla testa, poi mi guardò con leggero disprezzo dalla testa ai piedi»

«Non provarci», concluse.

«Suppongo», dissi io, «che qui attorno, nascosti dietro gli alberi, ci saranno i tuoi amici, gli uomini delle foreste, con la tua solita cavalleresca proporzione di venti a uno.»

Kadarin annuì.

«Hanno l'ordine di non toccarli», disse, «perché tu sei mio. Ma le donne…»

«Va' al diavolo!» ringhiai, estraendo la spada e scagliandomi contro di lui,

Nello stringere l'impugnatura sentii un'intensa corrente di energia scorrere in me. Il sangue mi martellava alle tempie con tanta forza che credevo di svenire. Kadarin estrasse la spada di Sharra. Le due lame si incrociarono…

E la Spada di Aldones avvampò di fuoco azzurro! Come una creatura vivente, mi sfuggì di mano e cadde a terra, avvolta da una fiamma blu che la copriva completamente. Tutt'e due le spade giacevano adesso a terra, incrociate, avvolte in un intenso fuoco blu. E Kadarin barcollava.

Anch'io mi sollevai in piedi. Tutt'e due fummo costretti a fare un passo indietro. Nessuno di noi osava avvicinarsi alle due spade.

Ma Kathie corse in mezzo a noi e afferrò entrambe le spade. Per lei, credo, erano due semplici armi. Ne prese una con la sinistra, l'altra con la destra, e le staccò l'una dall'altra. Le fiamme blu si spensero.

«Inutile», mi disse Kadarin, scuotendo la testa. «Non sacrificare stupidamente la vita. Ridammi la matrice di Sharra e vattene. Probabilmente non riusciremmo a toglierti la Spada di Aldones, ma possiamo toglierti quella di Sharra. Puoi uccidere me, Dyan, Thyra… ma non puoi ucciderli tutti!»

Naturalmente, non avevo alcuna scelta. Dovevo proteggere le due donne.

«Dategli la spada, Kathie», dissi alla ragazza, dopo qualche istante. Era soltanto una situazione di stallo. La vera lotta sarebbe venuta più tardi.

«Dargliela? Adesso?» fece lei, sorpresa.

«Non sono un eroe», dissi con ira, «e voi non avete mai visto combattere gli uomini delle foreste.»

Le tolsi di mano la matrice di Sharra. Dyan si fece avanti, ma Kadarin alzò il braccio per fermarlo.

«Non tu!» esclamò.

Ero fortunato a dover trattare con Kadarin. Quando fosse giunto il momento del duello, avremmo lottato a morte, ma sarebbe stata una lotta onesta.

«Possiamo andare», dissi. «Mi fido della sua parola.»

Ma Thyra si gettò su di me, con in mano il coltello. Io mi girai, un istante troppo tardi; lei mi piantò la lama nel fianco.

Sollevai il braccio e la colpii sulla faccia, violentemente, facendola rimanere stordita. Poi mi sedetti a terra e mi portai la mano alla ferita. La ritrassi sporca di sangue.

Sentii che Kadarin gridava come un forsennato; vagamente, vidi che afferrava Thyra e che la scuoteva con violenza, per infine gettarla a terra. Lei non si rialzò, e continuò a gemere.

Thyra ha violato la parola che lui mi aveva dato , pensai.

Poi persi i sensi.

Quando ripresi conoscenza, sentii solo un suono basso, cadenzato, fortissimo. Mi accorsi di essere disteso sulla schiena e di avere la testa sulle ginocchia di Kathie.

«Cercate di non muovervi», mi disse. «Stiamo tornando a Thendara in elicottero.»

«Non farlo parlare, Kathie», disse Callina.

Feci per prenderle la mano, ma quelle che toccai erano solo le dita gelide di Ashara, che erano come catene di ferro attorno ai miei polsi, e nella penombra della carlinga scorsi solo i suoi occhi di ghiaccio.

Poi, con un sobbalzo, mi svegliai del tutto; qualcuno mi aveva sfiorato la mente. Marja! Feci per mettermi in contatto con lei, ma al suo posto trovai solo uno spazio vuoto…

Per un momento, riuscii a liberarmi la mente dal delirio. Naturale, che non potessi mettermi in contatto con Marja, dolorante com'ero. Non volevo che condividesse il mio dolore.

Ma la mente di un uomo è così sola, chiusa entro le ossa del cranio.

Con questo pensiero scivolai di nuovo nell'incoscienza.

Stavo camminando…

Qualcuno mi teneva in piedi, con il mio braccio sulle spalle, e dopo un attimo sentii la voce di Kadarin.

«Non preoccupatevi! È in grado di camminare», diceva. «È solo un graffio, la lama è scivolata sulle costole…»

I miei occhi si rifiutavano di mettersi a fuoco. Poi un'altra voce.

«Buon Dio!» esclamò qualcuno. «Entrate qui dentro, sedetevi!»

Poi il giramento di testa mi passò. Ero nel quartier generale terrestre, e dalla finestra vedevo lo spazioporto, a una quota molto più bassa della mia. Davanti a me, fermo accanto a un'ampia scrivania dal ripiano di cristallo, c'era Dan Lawton, che mi fissava stupito e preoccupato. Kadarin aveva ancora il mio braccio sulle spalle e mi teneva in piedi. Io mi affrettai a staccarmi da lui; poi, da dietro di me, entrò nel mio campo visivo Regis Hastur, che si avvicinò, mi prese per le braccia e mi fece sedere.

«Chi diavolo siete?» chiedeva Lawton.

Kadarin gli rivolse un minuscolo inchino.

«Robert Raymon Kadarin, al vostro servizio. E voi?»

Dietro di noi, una porta si spalancò; sentii la voce di Kathie.

«È davvero fuori pericolo?» chiedeva la ragazza. E poi: «Oh, salve, Dan».

Il Legato terrestre scosse la testa, confuso.

«Tra un momento», disse, a nessuno in particolare, «perderò la testa. Ciao, Kathie. Sei davvero tu?»

Lei mi rivolse un'occhiata interrogativa. «Posso dirglielo?»

«Aspetta, aspetta», intervenne Lawton. «Una cosa alla volta. Impazzirò davvero, se dovrò affrontare troppe spiegazioni nello stesso tempo. Kadarin, è già da un po' di tempo che voglio parlare con voi. Sapete che oggi, venendo qui, vi siete finalmente messo nelle nostre mani?»

«Invoco l'immunità», disse Kadarin, seccamente. «Lew Alton rischiava di morire a Hali. Io gli ho dato il mio salvacondotto, e gli ho ufficialmente comunicato la richiesta di duello. Spettava a me decidere se salvarlo. L'ho portato qui di mia volontà, mentre avrei potuto mantenere l'immunità fuggendo e lasciandolo morire. Perciò ho diritto a un salvacondotto.»

Lawton gemette tra sé. Tuttavia, la legge dava ragione a Kadarin.

«Va bene», disse il Legato. «Ma niente trucchi con la telepatia.»

Kadarin gli rivolse un sorriso obliquo.

«Non potrei farne neppure se ne avessi l'intenzione», spiegò. «Dyan Ardais è fuggito con la matrice di Sharra. Io sono innocuo come Lew, in questo momento!»

Rafe Scott scelse proprio quel momento per entrare nell'ufficio e rimase a bocca aperta nel vedere me, Regis, Kadarin e Kathie; tuttavia si rivolse a Lawton.

«Perché avete incarcerato Thyra?» gli chiese.

«Conosci quella donna?» domandò seccamente il Legato.

«È sua sorella», spiegò Kadarin, mentre Rafe ansimava per la corsa.

«Maledizione!» imprecò Lawton, «ogni facinoroso del pianeta è imparentato con te in un modo o nell'altro, Rafe! Ha cercato di accoltellare Lew Alton, ecco perché! Quando l'abbiamo portata qui ci siamo trovati fra le mani una pazza che gridava con tutto il fiato che aveva nei polmoni, e così le ho fatto fare un'iniezione dai nostri medici e l'ho messa in una cella perché le passasse.»

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