«Ti conosco», le disse. «Sei la sorella di Lerrys Ridenow. Che cosa ci fai, qui dentro?»
«Al momento», gli rispose lei, al colmo dell'irritazione, «cerco di accertarmi delle condizioni di Lew… cosa di cui nessuno si preoccupa!»
«Sto benissimo», mormorai io, irritato da quelle sollecitudini che mi facevano sembrare più malato di quel che ero. Tuttavia, lasciai che Diana mi portasse al piano del Servizio Medico, dove un dottore grasso, in camice bianco, brontolò sui maledetti pianeti incivili dove lo costringevano a passare il tempo a ricucire ferite di coltello.
Mi disinfettò con un liquido che bruciava come la pece dell'inferno, mi scottò con le sue luci ultraviolette, mi fece bere una medicina rossa e appiccicosa che mi bruciò in gola e mi fece girare la testa, ma che dopo qualche momento mi tolse il dolore. Quando anche la testa smise di girarmi, riuscii finalmente a pensare all'accaduto.
«Dov'è Callina Aillard?» chiesi al medico.
«Qui da noi», mi rispose il dottor Forth (lessi il nome sul tesserino che portava sul petto). «In questo momento dorme. Era debole e tendeva a svenire; le ho fatto un'iniezione di hypnal e l'ho fatta mettere nella corsia delle donne.»
«Non potrebbe essere in trance da shock?» chiesi io.
Lui infilò nello sterilizzatore gli strumenti che aveva usato per medicarmi.
«Non saprei dirlo», rispose. «Vi ha visto mentre vi pugnalavano, no? Alcune donne reagiscono in quel modo.»
Quel medico era un imbecille, decisi. Le donne darkovane non svengono per qualche goccia di sangue. Che cosa faceva sul nostro pianeta, se non era in grado di riconoscere uno shock da matrice? E se aveva dato un sedativo a Callina, io non sarei riuscito a farla uscire dallo shock finché tutto il sedativo non fosse stato eliminato.
«Forse», mi disse Diana, «è meglio che ti parli di Callina, prima che si svegli. Ma non ora.»
Quando tornammo nell'ufficio di Lawton, il Legato aveva messo in azione tutto il suo dispositivo di ricerca. Il tempo si trascinò lentamente. Io attesi con impazienza che succedesse qualcosa.
A un certo momento Lawton diede voce a tutte le sue perplessità con una serie di domande.
«Maledizione!» esclamò. «Non ho ancora capito come la figlia di Marshall sia arrivata qui da Samarra. E non ho ancora capito come siate collegati… tu, Rafie, questa Thyra, Kadarin, siete fratelli, sorelle, cugini e via discorrendo. E adesso questa Thyra mi sparisce dalla cella come se si fosse dissolta nell'aria! Sei stato tu, a portarla via di qui, con qualche tua stregoneria?»
«No, non sono stato io.» Per me, Thyra poteva rimanere in prigione fino alla consumazione dei secoli.
Quando l'effetto del narcotico cominciò a svanire, tornai a sentire il dolore della ferita, ma ancor più profonda era l'orribile sensazione che qualcosa mi fosse stato strappato… e io non osavo chiedermi che cosa fosse.
Il rosso sole di Darkover aveva raggiunto il punto più alto e cominciava già a scendere quando sentii arrivare qualcuno che trascinava i piedi per la stanchezza; dopo qualche istante entrarono Regis, Rafe e Kadarin.
Regis era drammaticamente cambiato, in quelle poche ore. Aveva sangue sulla faccia, sangue sulla manica, ma la sua maturità era qualcosa di più profondo della sua prima vera lotta. L'ultima traccia del ragazzo era sparita, e quello che mi guardava con disperazione era un uomo, e un Hastur.
«Siete ferito!» esclamò Lawton, con il tipico orrore dei terrestri nei confronti delle ferite inflitte volontariamente.
«Poca cosa», rispose lui. «Più che altro, mi ha tagliato la camicia. Ho lottato contro Dyan.»
«È morto?» chiesi io.
«No, maledizione!»
Lawton chiese: «Kadarin! Dov'è finita quella donna che era con voi?»
Kadarin sgranò gli occhi, allarmato.
«Thyra? Non è qui da voi? Per tutti gli inferni di Zandru, come posso sapere…?»
Sollevò le mani e si coprì la faccia. Poi si girò verso di me. Non badò assolutamente alle altre persone che si trovavano nella stanza, come se fossero state su un altro pianeta, e mi fissò con un'intensità che cancellò gli anni, riportandomi all'epoca in cui eravamo amici, non nemici giurati.
Senza voce, mormorai: «Bob, che cosa c'è? Che cosa è successo?»
Fece una smorfia.
«È Dyan!» disse. «Che Zandru lo faccia frustare dai suoi scorpioni! Che Naotalba gli torca i piedi per sempre, nel suo inferno! L'ha portata dentro Sharra… La mia piccola Marguerhia. »
La voce gli si incrinò. Le sue parole si incisero nella mia mente come acido. Dyan, con la matrice di Sharra. Marja, che era solo una bambina, ma che era una Alton, una telepatica. E il vuoto nel luogo dove c'era in precedenza la bambina, il senso di una lacerazione, di uno strappo.
Allora, era morta.
Marjorie. Marjus. Linnell.
E adesso Marja.
Lawton non insistette nel chiedere spiegazioni. Doveva avere capito che stavamo attingendo alle nostre ultime riserve di energia. Ma io continuai a fare domande come se tutto fosse ancora importante.
«Andrés?» chiesi.
«Dyan l'ha lasciato a terra, convinto che fosse morto, ma probabilmente ce la farà.»
Era una feroce consolazione sapere che Andrés l'aveva difesa con la propria vita.
«E Ashara?» domandai.
Diana si alzò, serrò strettamente le labbra in una smorfia. Ci eravamo dimenticati della sua presenza.
«Regis! Fermali! Vado alla Torre!» disse.
«A fare che cosa?» gridai io, ma lei era già uscita.
Lawton disse con aria cupa: «Per prima cosa, occorre arrestare Dyan. Se ha la bambina…»
Kadarin lo interruppe.
«Non potete!» disse. «Ormai non c'è modo di togliergli la matrice di Sharra. L'ho posseduta abbastanza a lungo per saperlo. Dyan l'ha potuta togliere agli Alton soltanto perché non sapevano proteggersi. Nessuno potrebbe toglierla a…»
Kadarin s'interruppe e gonfiò il petto.
«Lawton! E voi tutti!» riprese. «Dovete essermi testimoni! La sua vita è mia, dove e quando potrò ucciderlo, con una lotta onorevole o disonorevole, la sua vita è…»
«Mia!» lo interruppi io. «Marja è mia figlia! E chi ucciderà Dyan dovrà vedersela con me!»
«Voi due maniaci!» esclamò Lawton. «Per prima cosa, cerchiamo di catturarlo, prima che litighiate per il privilegio di ucciderlo!»
Kadarin fece un gesto che aveva una ferocia animalesca.
«Se scatenerà Sharra, non contate su di me!» disse. «Io sono il suo principale fulcro, e mi troverò proprio al suo interno!»
Regis si girò verso di me.
«Allora, Lew», disse, «dovrai essere tu. Tu hai toccato Sharra, ma sei anche legato ai Comyn. Se potessimo metterti in rapporto da qui , potresti entrare nella matrice di Sharra…»
A quel punto, però, crollai.
«No!» gridai. «No!»
Per me, potevano morire tutti, prima di costringermi a farlo; che m'importava, se Sharra avesse distrutto Darkover? Che mi rimaneva da perdere? Strappai la pistola dalla cintura di Regis e tolsi la sicura.
«Prima», gridai, «mi faccio saltare le cervella!»
Regis mi afferrò il polso, con forza. Per un attimo lottammo follemente, ma lui aveva due mani; il rinculo della pistola mi fece perdere l'equilibrio, ma il proiettile colpì inoffensivamente la finestra, con uno scoscio di vetri rotti. Regis riuscì finalmente a strapparmi di mano la pistola.
«Sei pazzo!» disse. Gettò la pistola a Rafe. «Prendila. È tua, no? Tienila. Ultimamente, è passata per troppe mani. Un pazzo è sufficiente!»
Imprecando, Lawton si mise a prendere a calci le schegge di vetro.
«Dovrei sbattervi tutti in prigione», disse. «Rafe, chiama qualcuno a mettere a posto il vetro, e porta Alton al piano di sotto. Ha di nuovo perso la testa.»
Mi alzai in piedi, ma persi l'equilibrio e dovetti afferrarmi alla sedia.
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