— Di solito, due o tre famiglie cacciano insieme. Oggi, con i bon Damfels, vi saranno i bon Laupmon e i bon Haunser.
— Non la vostra famiglia, però.
— Non mia moglie, né i miei figli. Di solito, le donne e i figli più giovani partecipano soltanto alla Caccia che si svolge nella loro estancia. — Ciò detto, Jerril rimase in silenzio, a mascelle serrate.
Consapevole di aver scelto un altro argomento molto delicato, Marjorie sospirò fra sé e sé, pensando: Quali argomenti non sono molto delicati, su Grass?
— Stiamo per atterrare! — annunciò l’Obermun.
— Siamo già arrivati a Klive?
— Oh, non è possibile andare a Klive con questo aeromobile, lady Marjorie: è tanto rumoroso che turberebbe i veltri. No, da qui proseguiremo in aerostato. Si tratta di velivoli praticamente silenziosi e relativamente lenti, molto adatti per assistere allo svolgimento della Caccia.
Poi, nella cabina di un aerostato ad elica, così lussuosa da sembrare progettata per una funzione del tutto diversa da quella che svolgeva, e fornita di finestrini laterali e inferiori, i viaggiatori proseguirono in silenzio fino ad atterrare su un sentiero secondario di Klive, dove furono accolti da Stavenger, l’obermun bon Damfels, e da Rowena, l’obermum bon Damfels, entrambi abbigliati con completi neri, adorni di cappe e veli purpurei: con tutta evidenza, si trattava di abiti da lutto.
Ai visitatori fu offerto vino. Rowena ne sorseggiò appena, mentre Stavenger se ne astenne. Gli Yrarier osservarono che il tempo era magnifico. Marjorie mormorò poche parole di cordoglio, che Stavenger parve non udire affatto. Rowena aveva gli occhi cerchiati e appariva lontana, smarrita in un dolore troppo intimo e profondo per consentirle di comunicare col mondo esterno. O forse, semplicemente, le condoglianze non usavano. Poco a poco, osservando il comportamento degli aristocratici, Marjorie concluse che era proprio così: nessuno badava al lutto dei bon Damfels.
Poi gli Yrarier furono presentati agli altri membri della famiglia: due figlie e due figli, i cui nomi furono a malapena bisbigliati, tanto che Marjorie non fu sicura di averli ben compresi. Uno dei figli le diede una lunga occhiata, come se volesse prenderle le misure per confezionarle un abito. Oppure un sudario , pensò Marjorie, con un brivido. Nel suo completo nero, il giovane appariva molto pallido e severo, ma non per questo meno bello. In effetti, tutti i bon Damfels erano molto belli.
Poiché ciò le era sempre stato infallibilmente utile nel crearsi nuovi amici, Stella flirtò apertamente, con allegria, ma invano. Soltanto il giovane bon Damfels notato da Marjorie le rispose con poche parole e un mezzo sorriso. Tutti gli altri apparivano distaccati e distratti, come congelati: rispondevano soltanto alle domande dirette, ma non sempre. Alla fine, Stella tacque, confusa e alquanto irata.
D’un tratto squillò una campana. Tutti i bon Damfels, tranne Rowena, si scusarono e scomparvero da un istante all’altro.
— Sono andati a vestirsi per la Caccia — spiegò Rowena, quasi in un sussurro. — Se volete seguirmi, dal terrazzo assisteremo alla partenza dei cacciatori.
Scambiandosi un’occhiata interrogativa, Tony e Marjorie si affiancarono alla padrona di casa. Nulla sembrava prevedibile o familiare: nessuna parola, nessun atteggiamento trasmettevano una qualsiasi emozione che si potesse condividere. Rigo e Stella li seguirono, scrutando attorno con occhi neri, ardenti, e sommamente sprezzanti. Era evidente che detestavano i giardini, l’ospitalità, il lutto e la Caccia che i loro ospiti rifiutavano di condividere. Marjorie rabbrividì, nel sentirli fremere alle proprie spalle per effetto di una ostilità che non era affatto diplomatica: sembrava proprio che le cose si mettessero male.
Il contegno di Rigo e Stella non mutò neppure sul terrazzo, dove furono offerti cibi e bevande: nulla ricordava i ricevimenti che avevano luogo sulla Terra. Per un poco, gli Yrarier rimasero a fissare in silenzio la prima superficie, che era deserta, sorseggiando e masticando lentamente per non tradire il loro vorace appetito, e gettando occhiate oblique alla distratta Rowena.
Più tardi, alcune serve dai lunghi abiti bianchi si recarono alla prima superficie portando vassoi con minuscoli bicchieri fumanti. Poco a poco giunsero i cacciatori. Ad una prima occhiata, costoro sembravano vestiti familiarmente, ma poi ci si accorgeva dei pantaloni imbottiti, simili a calzoni da equitazione troppo gonfi, che li facevano sembrare ridicoli. I loro volti, comunque, non erano affatto divertenti. Ognuno di loro prese un pallido bicchiere fumante e bevve soltanto un paio di sorsi. Pochi, e soltanto fra i più giovani, conversarono.
Al suono del corno, seppure attutito, Marjorie quasi balzò sulla sedia. I cacciatori si volsero al cancello orientale, che lentamente fu aperto. All’arrivo dei veltri, Marjorie rimase a bocca aperta, senza fiato. Si volse a guardare Rowena e notò in lei, con sorpresa, una espressione di odio, di collera frustrata. Di scatto distolse lo sguardo, perché era chiaro che la padrona di casa non voleva essere vista così.
— Mio Dio — ansimò Rigo, inorridito e sconvolto, mentre l’ira sbolliva in lui all’istante.
I veltri erano grandi come cavalli terrestri, muscolosi come leoni, con larghe teste triangolari, e le labbra contratte a snudare file di denti aguzzi. Sul momento, Rigo pensò che fossero erbivori. Eppure le loro fauci sembravano dotate di zanne: possibile che fossero onnivori? La loro pelle era chiara, cosparsa di chiazze informi di tonalità più scura, e il manto era cortissimo, oppure del tutto assente. In silenzio, con le lingue penzolanti sul sentiero, arrivarono a coppie e si divisero per girare intorno ai cavalieri in attesa; poi riformarono le coppie e proseguirono verso il cancello occidentale del cortile.
— Venite — disse Rowena, con voce priva di espressione. — Dobbiamo scendere per assistere alla partenza dei cacciatori.
Senza una parola, gli Yrarier seguirono la obermum per un lungo corridoio, fino ad un terrazzo prospiciente il giardino oltre il muro, e là rimasero sconvolti, a bocca spalancata, avvampando in un terrore improvviso, rimanendo aggrappati alla balaustrata, incapaci di credere a quello che vedevano.
Ecco gli Hippae , pensò Marjorie, tremando. Perché mai ho pensato che assomigliassero ai cavalli? Che ingenua sono stata! E com’è stata stupida la Santità! Possibile che nessuno, alla Santità, si sia preso la briga di… No, certo che no! Anche se avessero tentato, non ne avrebbero avuto il tempo. Poi i suoi pensieri si smarrirono nelle gelide profondità di un panico a malapena soffocato.
E così, quelli sono gli Hippae! pensò Rigo, fradicio di sudore, rifugiandosi nella collera. Ecco un altro punto a sfavore di quel dannato imbecille di Sender O’Neil! E il Prelato? Povero zio! Povero vecchio agonizzante. Semplicemente, non sapeva. Reggendosi con entrambe le mani alla balaustrata, Rigo dovette ricorrere a tutte le proprie forze per non perdere il controllo di se stesso, consapevole che Stella, accanto a lui, era curva innanzi e ansimava, tremante. Con la coda dell’occhio, vide Marjorie stringere la mano di Tony.
Nel giardino sottostante, i mostri s’impennavano e trotterellavano in silenzio, grandi il doppio dei veltri, con i lunghi colli arcuati molto simili a quelli dei cavalli, ma irti di corna taglienti ed aguzze come scimitarre, lunghe come un braccio umano dalla testa fino alla metà del collo, più corte lungo la metà inferiore del collo e sulle spalle. Gli occhi erano globi rossi e ardenti. Il dorso era rivestito di grandi piastre callose, dure e scintillanti.
A stento Marjorie trattenne una esclamazione, quando Stavenger bon Damfels si preparò a montare, portando sulla schiena, a tracolla, una custodia che sembrava una faretra lunga e stretta: la cavalcatura si piegò e stese la zampa anteriore sinistra. Stavenger vi posò il piede sinistro, e col braccio sinistro infilò un anello sull’ultimo corno inferiore. Con la mano sinistra sull’anello, tirò e balzò allo stesso tempo, sollevando molto in alto la gamba destra per scavalcare l’ampia groppa, e si accomodò proprio dietro le spalle mostruose, col ventre a brevissima distanza dalle corna. Aprì le mani e le ruotò, per avvolgersi intorno alle dita le cinghie sottili che erano fissate all’anello intorno al corno.
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