— Shh! — interruppe Marjorie. — Ci siamo ripromessi di tacere. Non ne sappiamo ancora abbastanza. Pensa a far colazione, adesso: dobbiamo farci trovar pronti all’arrivo dell’aeromobile.
I velivoli grassiani avevano le forme più strane: suppellettili da salotto, statue da giardino, o parti di sculture barocche. Quello che aveva trasportato i cavalli, per esempio, sembrava la versione volante di un’anfora antica, con tanto di raffigurazioni stilizzate di danzatori. Tony aveva confessato alla madre di aver trattenuto a stento le risa quando lo aveva veduto; e Marjorie stessa, nell’assistere con incredulità al suo faticoso atterraggio, aveva dovuto distogliere il viso per celare il proprio divertimento.
— Pensa a far colazione, adesso — ripeté Marjorie, augurandosi che Stella non scoppiasse a ridere alla vista dell’aeromobile. Se l’avesse ammonita di non farlo, la ragazza avrebbe senza dubbio riso, ma se non le avesse detto niente, forse si sarebbe controllata. Con un sospiro, accarezzò il libriccino di preghiere che teneva in tasca e si affidò alla volontà divina.
La colazione, che avrebbe potuto sfamare senza difficoltà una decina di persone, fu divorata quasi completamente dai genitori e dai due ragazzi. Marjorie si passò una mano intorno alla vita, sbalordita: benché mangiasse in abbondanza, aveva l’impressione di perdere peso. Finalmente arrivò l’aeromobile: un modello a decollo verticale, fastoso, ma niente affatto buffo. L’obermun bon Haunser in persona invitò gli Yrarier a prendere posto sui sedili imbottiti e offrì loro una bevanda calda locale, che era chiamata «caffè» benché non vi somigliasse affatto. Intanto il taciturno pilota, che non era un aristocratico, ripartì per destinazione ignota, verso nord-est. Durante il volo, l’obermun mostrò ai passeggeri alcuni luoghi caratteristici: — Quella è la Dorsale Cremisi — disse, indicando una lunga catena collinare rosa cupo. — Entro una settimana, o al massimo due, sarà sanguigna. In lontananza, alla vostra destra, potete invece osservare le Colline di Zibellino. Spero che vi rendiate conto del vostro privilegio: siete fra i pochi stranieri a cui sia stato concesso di uscire dai confini dell’astroporto e della Città Plebea.
— Devo ammettere che la Città Plebea m’incuriosisce molto — dichiarò Rigo. — Stando alle mappe, è del tutto circondata dalla foresta ed è considerevolmente vasta: cinquanta miglia circa di lunghezza, per due o tre miglia di larghezza. Se non sbaglio, ha una economia fiorente, basata sul commercio, l’agricoltura e l’allevamento. Al nostro arrivo, inoltre, ho notato che in essa le strade non mancano, a differenza che nel resto del pianeta.
— Come ho già spiegato a vostra moglie, ambasciatore, la circolazione degli automezzi è consentita nella Città Plebea, o meglio in tutta la zona circondata dalla foresta palustre. Qua su Grass, dove ci sono paludi, ci sono anche boschi. Laggiù, alla vostra sinistra, potete osservare appunto la foresta palustre e l’astroporto. Il panorama, là, è molto diverso che nel resto del pianeta, vero? — Nell’indicare la città affollata e rumorosa cinta dalla verde foresta ondeggiante, l’obermun bon Haunser dilatò appena le narici in una inequivocabile espressione di disprezzo. — A noi non importa niente se i plebei costruiscono strade nella loro zona, — aggiunse, come se le strade fossero serpenti maligni che cercavano di strisciare furtivamente fuori da una gabbia — perché là non distruggono nessuna prateria, e inoltre non possono attraversare la palude.
Stella avrebbe voluto replicare, ma una tagliente occhiata di rimprovero del padre la indusse a tacere.
— Preferite dunque che non escano dalla città? — domandò Anthony, nel giusto tono di falso interesse. — Ma vi riferite alle strade, oppure ai plebei? E perché mai?
L’obermun arrossì, rammaricandosi di essersi abbandonato alla spontaneità: — I plebei non hanno alcun desiderio di lasciare la città. In ogni modo alludevo alle strade, ragazzo mio. Non posso certo aspettarmi che comprendiate l’orrore che suscita in noi la sola idea di devastare le praterie. Sia chiaro che non abbiamo alcun timore di falciare l’erba, né di servircene, tuttavia su Grass non esistono strade, tranne i sentieri che collegano ogni estancia al suo villaggio, e anche di questi ci rincresciamo.
— Dunque tutti i collegamenti fra una estancia e l’altra avvengono per via aerea?
— Sì, tutti i viaggi e i trasporti, le consegne e le spedizioni di merci d’importazione e di esportazione, avvengono per via aerea. Il dimmi, che collega tutte le estancia e la Città Plebea, consente invece di comunicare a distanza. Mediante il terminale di Collina d’Opale, per esempio, potrete scambiare informazioni con chiunque, su Grass, oppure comunicare con l’ altrove.
— Importazioni ed esportazioni? — chiese Stella, decidendo di fare per il momento la brava ragazza. — In cosa consistono, principalmente?
Perplesso, l’obermun esitò: — Be’, le importazioni riguardano soprattutto i manufatti e i beni voluttuari: il vino e i tessuti, ad esempio. Come si può ben prevedere, le esportazioni includono per la maggior parte prodotti vegetali, quali foraggi e fibre colorate, o sementi e granaglie, oppure piante ornamentali. Ho saputo dai plebei che certe erbe, paragonate dai mercanti al bambù terrestre, sono molto richieste per l’arredamento. Inoltre, alcuni prodotti farmaceutici molto efficaci si ricavano da piante che prosperano soltanto qui. Tutti i commerci sono affidati su licenza a varie ditte plebee, giacché noi bon non abbiamo il tempo né la propensione per occuparci direttamente di simili attività. Non credo che siano molto redditizie, comunque sono sufficienti per mantenere sia le estancia che la città, e ciò torna a nostro vantaggio.
Ricordando i vasti magazzini e le prospere compagnie di spedizione che aveva veduto all’astroporto, Rigo si astenne da ogni commento: — Se ho ben capito, la vegetazione del vostro pianeta non ha alcuna affinità con quella terrestre, vero? Si tratta di piante indigene, oppure sono state importate?
— No, non esiste nessunissima affinità, neppure a livello genetico. Quasi tutte le varietà di piante erano già presenti quando arrivammo. I Frati Verdi hanno creato erbe dalle particolari caratteristiche cromatiche mediante ibridazione. Sapete dei Frati Verdi, vero? — Nel dir questo, l’obermun guardò fuori dal finestrino, con una smorfia di sconforto: sembrava che qualunque argomento di conversazione lo turbasse. Senza attendere risposta, proseguì: — Furono inviati su Grass molto tempo fa per compiere ricerche archeologiche alle rovine arbai e cominciarono a dedicarsi al giardinaggio quasi per svago.
Marjorie fu ben contenta di cambiare argomento: — Non sapevo che vi fosse una città degli Arbai su Grass.
— Oh, sì, è al nord: i Frati Verdi vi lavorano ormai da molto tempo. Ho saputo che è davvero tipica, molto estesa, con le case basse — spiegò bon Haunser, con evidente disinteresse. — Perciò il compito di riportarla alla luce è molto arduo. Personalmente, non l’ho mai veduta.
Di nuovo, Marjorie cambiò argomento: — Oggi avremo occasione di conoscere alcuni membri della vostra famiglia, obermun?
— Della mia…? — Jerril trasalì, sorpreso. — No, no. La Caccia si svolgerà anche questa volta dai bon Damfels, e così sarà per tutto questo periodo, prima che abbia luogo dai bon Maukerden.
— Oh! — sorpresa, Marjorie parlò senza riflettere: — Se non sbaglio, mi avete detto che i bon Damfels sono in lutto.
— Naturalmente — rispose l’obermun, irritato. — Ma questo non può certo interferire con la Caccia.
Fingendo di non accorgersi dell’occhiata ammonitrice del marito, Marjorie insistette con dolcezza: — Altre famiglie parteciperanno alla Caccia assieme ai bon Damfels?
Читать дальше