Algis Budrys - Incognita uomo

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Incognita uomo: краткое содержание, описание и аннотация

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Ben vengano i trattati fra Est e Ovest quando servono ad aumentare la distensione, ma non conviene farsi troppe illusioni in materia di segreti scientifici e militari. Supponiamo che in un laboratorio americano situato nei pressi di una frontiera da sempre considerata calda si verifichi un grave incidente, e che i primi a soccorrere i superstiti siano i sovietici. Supponiamo che l’unico superstite sia anche il piu importante, il dottor Lucas Martino, il solo uomo al corrente al progetto K-88. E ora supponiamo che i sovietici restituiscano agli americani il dottor Martino dopo averlo di certo strappato alla morte… ma “ricostruito” con un viso e altre parti del corpo interamente di metallo. Se foste sovietici, restituireste lo stesso uomo? E se foste americani, credereste ai sovietici? Se infine foste il dottor Lucas Martino, come vi sentireste a stare nel mezzo?
Nominato per il premio Hugo per il miglior romanzo in 1958.

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Azarin diede un'occhiata di sbieco al piccolo medico. Kothu avrebbe potuto fare le stesse cose innominabili anche a lui, con la stessa facilità. Anastas Azarin avrebbe potuto trovarsi al posto di quell'uomo, orrendamente esposto, con tipi come Kothu intenti a squartarlo a loro piacere.

«Ottimo, direi» abbaiò Azarin «ma per me è inutile. A meno che non possa parlare.»

Kothu scosse il capo.

«Ha il cranio sfracellato, e ha perduto quasi tutti gli organi sensori. Ma questo è un semplice equipaggiamento di emergenza, come se ne possono trovare in qualsiasi ospedale da campo. Nel giro di due mesi, sarà di nuovo a posto, come nuovo.»

«Due mesi

«Colonnello Azarin, vi chiedo di guardare ciò che si trova là dentro: può essere definito un uomo, solo con molto sforzo.»

«Sì… sì, certo, è una fortuna che sia vivo, in fondo. Non può essere trasportato altrove, immagino? Nel grande ospedale di Novoya Moskva, per esempio?»

«Lo ucciderebbe.»

Azarin annuì. Be', con le disgrazie, c'era anche qualcosa di buono. Martino non gli sarebbe stato strappato. Sarebbe stato Anastas Azarin a lavorarselo… sarebbe stato Anastas Azarin a togliere il miele dal tronco.

«Benissimo… fate del vostro meglio. E in fretta.»

«Certo, colonnello.»

«Se avete bisogno di qualcosa, venite da me. Vi fornirò tutto l'aiuto possibile.»

«Sì, signore. Grazie.»

«Non mi dovete ringraziare. Voglio quest'uomo. Dovrete fare del vostro meglio perché io possa averlo.»

«Sì colonnello.» Il dottor Kothu si inchinò. Azarin annuì e si allontanò, prese l'ascensore e percorse più lentamente l'atrio.

All'esterno, stava arrivando Yung con un plotone di soldati della polizia militare. Azarin gli fornì istruzioni dettagliate sul servizio di sorveglianza, e ordinò che il reparto in cui si trovava lo scienziato venisse isolato dal resto dell'ospedale. E la sua mente cercava di immaginare le possibili vie di diffusione della notizia. Il personale dell'ambulanza doveva essere messo a tacere, quello dell'ospedale avrebbe potuto parlare, e perfino alcuni pazienti avrebbero potuto farsi un'idea dell'accaduto. Doveva turare tutte queste possibili falle. Azarin ritornò alla sua automobile, consapevole della complessità del suo lavoro, dell'abilità necessaria a svolgerlo bene, e del fatto che, prima o poi, Rogers, l'americano, avrebbe reso inutile ogni suo sforzo.

Passarono cinque settimane. Cinque settimane, durante le quali Azarin fu incapace di pensare ad altro, e delle quali Martino non ricordò mai nulla.

Ogni volta che Martino cercava di mettere a fuoco la vista, qualcosa ronzava debolmente nei suoi seni frontali. Cercò di comprendere il perché, ma si sentiva terribilmente debole, come se fosse stato privo di ossa, e la sensazione era così sconcertante che rimase sveglio per un'ora prima di riuscire a distinguere le cose.

Per un'ora giacque immobile, in ascolto, e notò che nemmeno le sue orecchie funzionavano normalmente. I suoni giungevano e sparivano troppo velocemente; le loro sorgenti erano multiple. Il suo volto provava una lieve fitta di dolore quando un nuovo suono lo raggiungeva. Era inesplicabile.

C'era un apparecchio nella sua bocca. La lingua batteva contro un metallo duro e contro della plastica. Una stecca, pensò. Mi sono fratturato la mandibola. Provò, ma la mandibola si muoveva normalmente. Doveva trattarsi, allora, di un nuovo apparato a trazione.

Qualunque cosa fosse, gli impediva di stringere i denti. Quando cercò di chiudere la bocca, sentì soltanto pressione e resistenza, invece che il solito contatto dei denti.

Le coperte gli sembravano ruvide e calde, e sentiva un'oppressione al petto. Era fasciato, una fasciatura voluminosa. La spalla destra gli fece male, quando cercò di muoverla, ma si mosse. Aprì e chiuse le dita della mano destra. Bene. Cercò di muovere il braccio sinistro. Niente. Male.

Giacque immobile per qualche tempo, e finalmente accettò il fatto di aver perduto il braccio. Dopotutto, non era mancino, e se aveva perduto soltanto il braccio, poteva ritenersi fortunato. Continuò a provare, muovendo i fianchi, piegando la gamba, le ginocchia… nessuna traccia di paralisi.

Era stato fortunato, e ora si sentiva molto meglio. Cercò di mettere a fuoco la vista, e nuovamente si udì il leggero ronzìo: ma stavolta riuscì nel suo intento. Sollevò lo sguardo e vide un soffitto azzurro, con una lampada azzurra che splendeva sopra di lui. La luce gli dava fastidio, e dopo un attimo si accorse di non aver socchiuso gli occhi, così lo fece deliberatamente. Tutto divenne giallo.

C'era stato un mutamento sensibilissimo. Abbassò gli occhi. Coperte gialle, pareti gialle. Socchiuse nuovamente gli occhi, e la stanza piombò nell'oscurità. Guardò il soffitto, e vide un vago lucore là dove si era trovata la luce, come se avesse guardato attraverso un paio di occhiali neri molto spessi.

Non riusciva a sentire il contatto del cuscino dietro alla nuca. Non poteva sentire gli odori caratteristici di un ospedale. Socchiuse nuovamente gli occhi, e la stanza apparve chiaramente. Si sforzò al massimo, e con la coda dell'occhio proprio ai margini del suo campo visivo, vide due fessure che si curvavano in quella che sembrava una lastra metallica. Sollevò la mano destra per toccarsi il volto.

Cinque settimane… delle quali Martino non seppe nulla, e durante le quali Azarin fu incapace di pensare ad altro.

Azarin teneva l'apparecchio telefonico sollevato con una mano, mentre con l'altra apriva la scatola di legno di sandalo incorporata nella scrivania. Ne estrasse una sigaretta col filtro, e se la infilò in un angolo della bocca. Sulla scrivania c'era una scatola di fiammiferi perpetua. Azarin diede uno strattone al fiammifero che ne sporgeva, ma lo fece in modo troppo rapido, e così il fiammifero uscì ma non si accese. Infilò nuovamente il fiammifero nella scatola, riprovò, con il medesimo risultato. Gettò la scatola nel cestino della carta straccia, aprì il cassetto della scrivania, trovò una scatola di fiammiferi autentici, e accese la sigaretta. Le sue labbra si piegarono, in modo che la sigaretta rimanesse ferma nell'angolo della bocca, mentre lui parlava.

«Sì, signore. Mi rendo conto del fatto che gli Alleati esercitano su di noi grandi pressioni per il ritorno di questo uomo.» La linea che lo collegava a Novoya Moskva era disturbata, ma Azarin non alzò la voce. Le diede però una forza maggiore, facendola diventare metallica e dura, come se egli volesse esercitare la sua forza di volontà sull'apparecchio. Imprecò mentalmente, pensando alla velocità con la quale Rogers aveva localizzato Martino. Negoziare con gli Alleati, dichiarando di essere completamente all'oscuro dell'esistenza di quell'uomo, era una cosa. Ma quando loro potevano rispondere citando il nome di un determinato ospedale, la faccenda cambiava totalmente. Voleva dire perdere del tempo che altrimenti avrebbero potuto ottenere, e il tempo era prezioso per loro. Ma era sempre stato impossibile nascondere qualcosa di veramente importante, per molto tempo, a quel diabolico Rogers.

Benissimo, allora le cose stavano così. Nel frattempo, comunque, c'erano quelle chiamate telefoniche.

«I chirurghi non potranno terminare l'ultima operazione prima di domani, se tutto va bene. E dopo, non potrò interrogare l'uomo per almeno due giorni. Sì, signore. Tutto sotto la responsabilità dei medici. Dichiarano che è una fortuna averlo vivo, e che tutto ciò che fanno è assolutamente necessario. Le condizioni di Martino erano disperate. Ciascuna operazione è stata estremamente delicata, e mi è stato riferito che il tessuto nervoso si rigenera molto lentamente, anche con l'aiuto delle più moderne terapie. Sì, signore. Secondo me, il dottor Kothu è altamente qualificato. Il suo incartamento, che mi è stato fornito dal suo ufficio, rafforza questa mia convinzione.»

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