Wolf Loner navigava fiducioso verso Boston, alla cieca. Si domandò, placidamente, per quale motivo almeno due volte, quella notte, la luce della luna era filtrata vividissima, attraverso le nubi, con una strana colorazione violetta.
La Principe Carlo sfiorava la costa brasiliana, nel suo viaggio verso sud. I quattro comandanti ribelli ignorarono l'avvertimento del capitano Sithwise, il quale li pregava di compiere un'ampia deviazione al largo della foce del Rio delle Amazzoni.
Paul Hagbolt osservava l'Europa settentrionale, da un'altezza di cinquecento miglia. La visione era limpida, rischiarata dal sole, però un gigantesco banco di nubi bianche si stava avvicinando all'Irlanda, dall'Atlantico.
Sotto di lui c'era il Mare del Nord, grande come appariva sulla pagina di un atlante, e di un grigiore spento, meno che nel punto in cui il sole produceva un riflesso irritante, nell'angolo dello Stretto di Dover.
Le Isole Britanniche, la metà meridionale della Scandinavia, e la Germania Settentrionale e i Paesi Bassi formavano altre tre pagine d'atlante, sistemate a sinistra, a destra, e in basso.
Scozia e Norvegia avevano l'aspetto giusto, ma il pendant della Svezia meridionale era attraversato dalle strisce grigie del Baltico.
Sotto una scheletrica Danimarca, una larga scimitarra d'acqua, con la parte tagliente della lama rivolta a sud, si stendeva attraverso i Paesi Bassi e la Germania settentrionale. Paul pensò, Oh, bene, questa non è la prima volta che l'Olanda viene inondata.
L'Inghilterra, poi… anch'essa era percorsa da lacci grigi, e qualcosa aveva dato un grosso morso alla costa orientale. Il Tamigi? L'…Humber? Paul si sentì colpevole, sapendo che la sua mente avrebbe dovuto trovare la risposta esatta immediatamente, ma la geografia non era mai stata il suo forte. Perché Tigerishka non guardava nel suo inconscio, e glielo diceva? si domandò, futilmente, guardando là dove Tigerishka si stava facendo bella coscienziosamente, con un pettine d'argento e la lunga lingua.
Le accuse di Paul, e le rabbiose reazioni di Tigerishka, erano terminate nella maniera più spenta immaginabile. Lei aveva abbassato i minacciosi artigli, gli aveva voltato la schiena, e aveva passato l'ora successiva davanti al pannello di controllo, a volte manipolando le escrescenze argentee, ma soprattutto rimanendo immobile. Poi aveva cominciato una nuova serie di manovre e di osservazioni.
Si era interrotta a metà per liberare Paul, senza alcun commento, dall'ultimo legame alla caviglia, e dalle connessioni igieniche. Poi gli aveva spiegato in maniera limpida e impersonale, ma in un inglese nuovamente distorto e affettato, le regole fondamentali per trattare il proprio corpo in stato di imponderabilità, e per usare il Pannello dei Rifiuti, e il Pannello del Cibo. Finalmente era ritornata ai suoi affari, lasciando Paul con la sensazione di essere un intruso capitato in un ufficio elegante e pieno di lavoro. Aveva frettolosamente consumato un pasto a base di proteine, una specie di polpetta che lui aveva buttato giù con dell'acqua pura, come se fosse stata una pillola. E adesso gli pesava ancora sullo stomaco.
L'osservazione era stata emozionante, nuovissima, all'inizio, ma poi si era rapidamente fatta noiosa.
Cercò di pensare a Margo, dall'altra parte del mondo, nella California Meridionale, e a Don, dall'altro lato della Terra, sulla Luna frantumata… oppure fuggito di là a bordo di un'astronave lunare… ma la sua immaginazione era esausta.
Tornò a concentrare la sua attenzione sulle osservazioni, ma fece uno sforzo sensibile… per distogliersi dalla visione inquietante e splendida di Tigerishka, che si lisciava il corpo e si agghindava, e ritornare all'atlante vivente che si stendeva sotto il fondo trasparente del disco volante, con i suoi supporti invisibili, in due dei quali lui aveva infilato, ora, un dito del piede e un dito della raano.
Vediamo, quel morso, sull'Inghilterra, potrebbe essere qualcosa che chiamavano il Wash, che era collegato a qualcosa che chiamavano le Lande… Sospirò.
«Ti senti triste per il tuo pianeta, Paul?» domandò Tigerishka. «Per la gente che soffre e il resto?»
Lui si strinse nelle spalle, e scosse il capo.
«È troppo enorme,» disse. «Ho perduto i miei sentimenti.»
«Ti piace vedere le cose più da vicino?» domandò lei, muovendosi e avvicinandosi a lui.
«A che servirebbe?» domandò Paul.
«Allora ti sentiresti triste per qualcosa di più piccolo, Paul, qualcosa più vicino a te,» gli disse Tigerishka. «Ragazza? Ti preoccupi per lei?»
Lui fece una smorfia.
«Non so. E poi Margo non è veramente la mia ragazza.»
«Allora ti senti triste per la cosa più vicina di tutte: te stesso.» lo informò Tigerishka, fermandosi accanto a lui. Posò una zampa vellutata sulla spalla nuda dell'uomo. «Povero Paul,» disse, dolcemente. «Tutto sconvolto. Povero, povero Paul.»
Rabbiosamente, Paul si sottrasse a quell'eccitante contatto.
«Non trattarmi come un cucciolo nei guai,» disse, rabbiosamente. «Non trattarmi come una scimmietta malata. Trattami da uomo!»
Lei gli sorrise, le nere pupille si strinsero, fino a diventare punii sottili, e poi puntò la zampa contro il suo cuore, e disse: «Bang!»
Dopo un momento, anche lui ridacchiò, depresso, e ammise:
«D'accordo, Tigerishka, immagino che per te devo essere una specie di animale inferiore, ma in questo caso, guardami nella mente e dimmi cosa c'è che non va, in me. Perché sono così sconvolto?»
Le pupille cominciarono a espandersi, diventarono stelle… nere stelle in un cielo violetto.
«Bene, Paul,» disse lei, con tono grave, «Da quando mi hai costretto a trattarti da essere intelligente… primitivo ma intelligente, un essere che porta un piccolo universo vivo dentro di sé… non è più stato così semplice addentrarmi profondamente nella tua mente. Adesso, è diventata una questione diversa… ò come se io dovessi chiederti il permesso ogni volta. Ma ho raccolto certi dati, su di te, e se lo desideri, posso dirteli.» Il suo inglese era impeccabile, ora. Questo significava qualcosa, ma Paul era assorbito nelle parole di lei, e non vi fece caso.
«Continua,» disse lui, annuendo.
«Paul,» disse lei, «Ti offendi, a essere trattato come un cucciolo, eppure è così che tratti la gente che ti circonda. Tu stai un po' indietro, in disparte, e osservi i buffi atteggiamenti e il ridicolo atteggiarsi degli altri con comprensione e tolleranza, e accudisci, proteggi e coccoli quelli che ami: Margo, Don, tua madre, diversi altri. Questa tu la chiami amicizia, ma è possesso e protezione e tende a divorare le altre personalità. Una gatta onesta non farebbe questo neppure con i suoi gattini.
«Tu stai in disparte, e osservi te stesso più di quanto non sia salutare. Tu vivi troppo nel Paul che guarda se stesso, e nel terzo Paul che guarda il secondo, e così via. Osserva!» Trasformò le finestre in uno specchio. La zampa si mise tra l'occhio destro di Paul e le immagini che si ripetevano all'infinito, e chissà come riuscì a isolare perfettamente i contorni dei primi sei.
«Vedi?» gli disse. «Ciascuno osserva quello davanti. Lo so… tutti gli animali intelligenti amano osservare se stessi. Ma tu vivi troppo in quei riflessi, Paul. È meglio vivere principalmente davanti allo specchio, e solo un poco negli osservatori. In questa maniera, viene il coraggio. Non vivere nell'Osservatore Numero Sei!
«E inoltre, tu credi le altre persone uguali ai tuoi osservatori. Ti ritrai da loro, poi critichi. Ma no. Anche loro hanno degli osservatori, che guardano soltanto loro.
«E poi, ama di più te stesso, altrimenti non potrai amare nessuno.
«Altra cosa, su di te,» aggiunse, ritornando all'inglese affettato e imperfetto. «Riflessi di combattimento, scarsi. Lo stesso, la danza. Lo stesso, il sesso. Pratica insufficiente. Poca esperienza. Questo è tutto.»
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