Greg Bear - L'ultima fase

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L'ultima fase: краткое содержание, описание и аннотация

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Vergil Ulam, brillante ricercatore dei Genetron Labs, sta lavorando segretamente ad un esperimento che promette risultati sensazionali, e cioè la produzione di nuclei intelligenti di materia cellulare, capaci di evolversi e di apprendere con straordinaria rapidità. Ma quando Ulam infrange le norme di sicurezza del laboratorio e viene licenziato, si rifiuta di distruggere il frutto delle sue ricerche, come gli è stato ordinato, e decide invece di iniettarsi nel sangue le colonie cellulari, e diventare così egli stesso la cavia di un nuovo straordinario esperimento. Ma sarà il primo di un incredibile processo di mutazione e trasformazione, i cui limiti non sono facilmente immaginabili, perché infatti è subito chiaro che questa forma di intelligenza virale può assorbire e riplasmare qualsiasi materia vivente. Un’epidemia assolutamente inattaccabile, un vero e proprio universo di miliardi di cellule senzienti in frenetica espansione, che lentamente inghiottono l’America del Nord, trasformandola in uno scenario “alieno” che suscita al tempo stesso orrore e meraviglia. Ma si può parlare di catastrofe? O non è piuttosto un nuovo gradino nella scala dell’evoluzione? E che ne sarà dell’umanità, letteralmente trasfigurata da questi microscopici organismi che rappresentano una nuova dimensione di ciò che si può concepire come “vita”?
Nominato per il premio Nebula in 1985.
Nominato per i premi Hugo, Campbell e BSFA in 1976.

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— Dottore, preferirei pilotare io, in caso…

— Da solo, George.

George sospirò, riluttante. — Va bene.

Riabbassò il contatto del ricevitore e quindi compose un numero di ventisette cifre, che iniziava col prefisso per mettersi in linea via satellite e terminava con una chiave in codice, confidenziale, per inserirsi in un impianto anti-intercettazioni. A rispondere fu una donna, in tedesco.

— Doktor Heinz Paulsen-Fuchs, bitte.

Lei non fece domande. Chiunque avesse potuto usare quella linea il dottore gli avrebbe parlato. Paulsen-Fuchs rispose solo dopo diversi minuti, e nel frattempo Bernard si guardò attorno a disagio, conscio che lì in piena vista stava correndo qualche rischio.

— Paul, qui Michael Bernard. Devo chiederti un favore, una cosa di estrema importanza.

— Herr doktor Bernard! Tu sei sempre il benvenuto, sempre! Cosa posso fare per te?

— Hai un laboratorio a isolamento totale nell’impianto di Wiesbaden? Uno che possa essere reso libero in giornata?

— Per quale scopo? Scusami Michael, ma entro un tempo così breve… è davvero indispensabile?

— Sì, te lo assicuro.

— Se c’è un’emergenza seria, be’… suppongo di sì.

— Bene. Avrò bisogno di quel laboratorio, e anche dei codici privati di comunicazione della B.K. Pharmek. Quando scenderò dal mio aereo dovrò disporre di una tuta isolante, e trasferirmi all’istante in un furgone sigillato per trasporti biologici ad alto rìschio. Poi il mio aereo verrà distrutto sulla pista, e l’intera area dovrà essere cosparsa di schiuma sterilizzante. Credo che sarò tuo ospite… se così si può dire, per un periodo indefinito. Bisogna che il laboratorio sia attrezzato in modo che io possa abitare all’interno e fare il mio lavoro. Dovrò usufruire di un terminale del vostro computer, con tutti i servizi.

— Tu sei un famigerato scolabottiglie, Michael, e quando abbiamo fatto bagordi insieme non ti sei mai smentito. Ma questa ha l’aria di una cosa seria. Stiamo parlando di un contagio, Michael? Qualcosa che hai preso dalla provetta di un laboratorio?

Bernard si chiese come Paulsen-Fuchs avesse scoperto che lui stava lavorando sull’ingegneria genetica. O la sua era solo una deduzione? — È un’emergenza grave, Herr Doktor. Puoi favorirmi?

— La cosa verrà resa pubblica?

— Sì. E andrà a tuo vantaggio, e a vantaggio della tua nazione esserne al corrente in anticipo.

— Sembra una cosa poco divertente, Michael.

Lui provò un irrazionale impulso di rabbia. — A paragone di questo, qualsiasi altra cosa è divertente, Paul!

— Allora quel che chiedi sarà fatto. Quando possiamo aspettarti?

— Entro ventiquattr’ore. Ti ringrazio, Paul.

Riappese e gettò un’occhiata all’orologio. Dubitava che chiunque alla Genetron avesse capito l’enormità di ciò che stava per accadere. Lui stesso faticava a immaginarlo. Ma una cosa era certa: entro quarantott’ore dall’arrivo del rapporto di Harrison alla CDC l’intero continente Nordamericano sarebbe stato praticamente messo in quarantena… sia che le autorità prendessero alla lettera le informazioni o meno. Le parole chiave sarebbero state «epidemia» e «laboratori per l’ingegneria genetica». L’azione sarebbe stata del tutto giustificabile, ma lui non credeva che avrebbe servito a molto. Poi sarebbero state prese misure molto più drastiche.

Non aveva intenzione di restare bloccato negli USA quando questo fosse accaduto, ma d’altra parte non voleva essere responsabile di un diffondersi del contagio. Così si sarebbe offerto come una sorta di cavia ad uso della più attrezzata industria per le ricerche farmaceutiche esistente in Europa.

La mente di Bernard era strutturata in modo da non avere mai ripensamenti o dubbi dell’ultima ora… non nel suo lavoro, comunque. In un’emergenza o in una situazione critica questo gli consentiva di proporre una soluzione in anticipo, non di rado quella corretta. Le soluzioni di riserva restavano a maturare indisturbate nel suo subconscio intanto che lui agiva. Così era sempre stato nelle riunioni operative, e così era adesso. Non guardava a quella sua capacità con molto compiacimento. A volte lo trasformava in un freddo robot, mosso da una fiducia in sé che andava oltre la ragione. Ma doveva ad essa il successo, la posizione di grande prestigio che aveva raggiunto nel campo della ricerca neurofisiologica, e il rispetto di cui godeva presso gli studiosi e il pubblico.

Tornò nella sala-conferenze e recuperò la sua valigetta. La limousine, come sempre, lo attendeva nel parcheggio della Genetron, con l’autista che leggeva o giocava a scacchi su un computer da tasca. — Se avrete bisogno di me, sarò nel mio ufficio — mentì, rivolto ad Harrison. Yng era intento a fissare la lavagna, vuota, con le mani dietro la schiena.

— Ho appena telefonato alla CDC — disse Harrison. — Ci richiameranno per darci istruzioni.

La notizia si sarebbe subito sparsa in tutti gli ospedali della zona. Fra quanto avrebbero ordinato di chiudere gli aeroporti? Fino a che punto sarebbero stati efficienti? — Tenetemi informato, allora — disse Bernard. Uscì dalla porta, e per un attimo esitò chiedendosi se non c’era altro che avrebbe dovuto portare con sé. Decise di no. Nella valigetta aveva copie su disco delle note lasciate da Ulam nel computer. E in quanto ai microrganismi di Ulam li aveva nel sangue.

Di certo questo sarebbe bastato a tenerlo occupatissimo per un po’ di tempo.

Conoscenti? Qualcuno che fosse suo dovere avvertire?

L’una o l’altra delle sue tre ex mogli? Non sapeva neppure dove abitassero, adesso. Era l’amministratore a mandar loro l’assegno degli alimenti. E in realtà non c’era alcun modo sicuro per…

Qualcuno che gli stava davvero a cuore, o a cui stesse a cuore lui?

L’ultima volta che aveva visto Paulette era stato in marzo. S’erano lasciati in modo amichevole. Ogni cosa era stata amichevole. Avevano orbitato l’uno intorno all’altra come un pianeta e una luna, senza mai realmente toccarsi. A Paulette non era piaciuto essere la sua luna, e abbastanza a buon diritto. Era salita in alto col suo lavoro, come direttrice per la citotecnologia alla Cetus Corporation di Palo Alto.

Ora che ci pensava, probabilmente era stata lei a suggerire inizialmente il suo nome ad Harrison alla Genetron. Dopo il loro successo coi biochip. Senza dubbio s’era detta che agiva in modo imparziale e obiettivo, ed era stata all’oscuro dei retroscena.

Non poteva farle una colpa di questo. Ma in lui non aleggiava alcun sentimento che lo spingesse a chiamarla, ad avvertirla.

Sarebbe stata una cosa poco opportuna.

Da suo figlio non aveva ricevuto neppure una lettera in cinque anni. Era da qualche parte in Cina, con una borsa di studio per la ricerca scientifica.

S’era tolto dalla testa anche l’idea della sua esistenza.

Forse non ho proprio nessun bisogno di una camera d’isolamento , pensò. Sono già fin troppo maledettamente isolato dal mondo.

XVII

Sapevano che la morte era vicina. Edward non aveva neppure la forza di muoversi, e con gli occhi socchiusi guardò Gail telefonare ai suoi genitori, poi ad alcuni ospedali, infine alla scuola. Il timore d’aver contagiato i suoi alunni la rendeva quasi frenetica. Lui tentò d’immaginare l’effetto di quella notizia quando la voce si sarebbe sparsa a macchia d’olio. Il panico. Ma Gail non ce la fece a continuare, ebbe un tremito di stanchezza e si lasciò cadere sul letto al suo fianco.

La giovane donna cercò di sedersi e imprecò, fremendo come un cavallo che si sforzasse di alzarsi dopo essersi spezzato una gamba, ma i suoi tentativi furono inutili.

Con le ultime energie si girò verso di lui, e giacquero l’uno nelle braccia dell’altra, bagnati di sudore. Gail aveva gli occhi chiusi, il volto color del gesso. Pian piano il suo corpo si fece inerte come quello di una bambola di pezza. Per un poco Edward pensò che fosse già morta, e pur debole com’era tremò di rabbia e di odio, sentendosi angosciosamente in colpa per ciò che le aveva trasmesso e per la sua lentezza nell’esaminare le peggiori ipotesi. Poi anche questo perse ogni importanza. Perfino tenere gli occhi aperti era troppo faticoso, così li chiuse e attese.

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