— Edward? — Gail era china su di lui e gli sfiorava la fronte con dita fresche. — Ogni volta che torno a casa ti trovo qui… morto al mondo. Non hai un bell’aspetto. Ti senti bene?
— Certo. — Si sedette sul bordo del divano. Lo stordinemto e la debolezza rischiarono di fargli perdere l’equilibrio. — Che pensi di fare per cena? — La sua bocca non stava funzionando a dovere, impastava la parole. — Potremmo andare a mangiar fuori.
— Tu hai la febbre — disse Gail. — Una febbre da cavallo. Vado a prendere il termometro. Non ti muovere da qui.
— No — cercò di richiamarla stancamente. Si alzò e barcollò fino in bagno per guardarsi allo specchio. Lei lo raggiunse e gli ficcò il termometro sotto la lingua. E come al solito Edward fece finta di morderlo come Harpo Marx, assaporandolo come un candito. Da sopra una sua spalla lei lo studiò nello specchio.
— Che cosa sono queste? — gli chiese.
Sotto il colletto di lui, attorno al collo, c’erano delle linee. Strisce bianche, come un intreccio di strade.
— Le mani umide — sussurrò. — Vergil aveva le mani umide. E loro erano già dentro di lui, ormai da giorni. — Era talmente ovvio.
— Edward, ti prego! Che cos’è?
— Devo fare una telefonata — disse lui. Gail lo seguì in camera da letto e restò in piedi, mentre lui componeva il numero della Genetron. — Il Dr. Bernard, per favore — chiese. La receptionist rispose con eccessiva fretta che alla Genetron non c’era nessuno con quel nome. — Non faccia la stupida. È una cosa troppo importante — la rimbeccò freddamente. — Dica al Dr. Bernard che sono Edward Milligan, e che è urgente.
La receptionist lo lasciò attendere in linea. Forse Bernard era ancora a casa di Vergil, pensò, e cercava di mettere insieme i pezzi di quel rompicapo; o forse stavano semplicemente mandando qualcuno ad arrestarlo. La cosa non avrebbe ormai avuto nessuna importanza.
— Qui Bernard. — La voce dello scienziato era piatta e affilata: simile, si disse Edward, a quella che doveva sembrare la sua.
— È troppo tardi, dottore. Abbiamo stretto la mano a Vergil. Palmo umido. Ricorda? E cominci a chiedersi chi ha toccato lei da quel momento. Tutti noi siamo i portatori, adesso.
— Oggi sono stato a La Jolla, Milligan — sbottò Bernard. — Ha ucciso lei Ulam?
— Sì. Stava per mettere in circolazione i suoi… microbi. I noociti. O qualunque cosa siano diventati.
— Ha trovato la sua ragazza.
— Sì.
— Che ne ha fatto di lei?
— Di lei? Niente. Era nella doccia. Ma stia a sentire…
— Quando siamo arrivati noi lei era sparita. C’erano solo i suoi vestiti. Ha ucciso anche lei?
— Apra gli orecchi, dottore. Io sono pieno dei microbi di Vergil. E così anche lei.
All’altro capo del filo ci fu un lungo silenzio, poi un sospiro. — Sì?
— Ha ideato un sistema per tenerli sotto controllo? Voglio dire, all’interno del nostro corpo?
— Sì. — Poi, sottovoce: — No, non ancora. Antimetabolici, terapia con radiazioni controllate, actinomicina. Non abbiamo provato tutto. Però… no.
— Allora lei sa come stanno le cose, Dr. Bernard.
Un’altra lunga pausa. — Mmh!
— Io intendo stare qui con mia moglie, per trascorrere insieme il tempo che ci resta.
— Sì, — disse Bernard. — Grazie per avermi chiamato.
— Era mio dovere. Arrivederci.
Edward riappese e passò un braccio attorno alle spalle di Gail.
— È un’epidemia, è vero? — mormorò lei.
Edward annuì. — Questo è ciò che ha creato Vergil: un’epidemia che pensa. E non credo che esista un modo per fermare una malattia intelligente.
Harrison sfogliava il manuale delle procedure, interrompendosi per prendere metodicamente qualche nota. In un angolo Yng era sprofondato in una morbida poltrona di cuoio, le dita di entrambe le mani unite a piramide davanti alla faccia, coi lunghi capelli neri che gli ricadevano flosci fin sulle lenti degli occhiali. In piedi accanto al piano in fòrmica nera della scrivania Bernard sembrava curvarsi sotto il peso di quel silenzio. Harrison si appoggiò indietro allo schienale e batté un dito sul suo blocco per appunti.
— Prima cosa, non siamo noi i responsabili. Questo è quanto mi risulta qui. Ulam ha condotto le sue ricerche senza la nostra autorizzazione…
— Ma non lo abbiamo licenziato nel momento in cui ce ne siamo accorti — replicò Yng. — Questo sarebbe un punto a nostro sfavore in tribunale.
— Di tutto ciò ce ne preoccuperemo più avanti — disse secco Harrison. — Quello di cui siamo responsabili è il rapporto alla CDC. Questo non è uno scarico abusivo di sostanze nocive, né un inquinamento dovuto ai laboratori, ma…
— Nessuno di noi, nessuno, ha pensato che le cellule di Ulam potessero disperdersi all’esterno del corpo — disse Yng, intrecciando con forza le dita.
— È molto probabile che non potessero farlo, all’inizio — disse Bernard, attirato suo malgrado nella discussione. — È ovvio che c’è stato un grosso cambiamento rispetto ai linfociti originali. Un cambiamento autodiretto.
— Io continuo a rifiutarmi di credere che Ulam abbia creato delle cellule intelligenti — disse Harrison. — Le nostre ricerche nel cubo nero hanno dimostrato quanto ciò sarebbe difficile. Come ha determinato la loro intelligenza? Come ha potuto addestrarle? No… c’è qualcosa…
Yng rise. — Il corpo di Ulam è stato trasformato, ridisegnato… come possiamo dubitare che ci fosse un’intelligenza dietro quelle sue trasformazioni?
— Signori — disse a bassa voce Bernard. — Tutto questo è accademico. Ci decidiamo a mettere sull’avviso Atlanta e Bethesda, oppure no?
— E cosa diavolo dovremmo dirgli?
— Che siamo tutti allo stadio iniziale di una pericolosa affezione epidemica — disse Bernard, — originata nei nostri laboratori da un ricercatore, attualmente perito…
— Assassinato — mormorò Yng, scuotendo il capo con stupore.
— … e che bisogna dare il via alle misure precauzionali.
— Sì — disse Yng. — Ma cosa può fare la CDC in merito? Il contagio si è sparso, a quest’ora forse già per tutto il continente.
— No — disse Harrison, — non su un raggio così vasto. Vergil non ha avuto contatti con molta gente. Potrebbe essere ancora circoscritto alla California meridionale.
— Ha avuto contatti con noi - si lamentò Yng. — Secondo la vostra opinione, siamo contagiati?
— Sì — disse Bernard.
— C’è qualcosa che possiamo fare, per noi personalmente?
Lui fece mostra di rifletterci, poi scosse il capo. — Se volete scusarmi c’è del lavoro che devo fare prima che rilasciamo una dichiarazione. — Uscì dalla sala-conferenze e percorse il corridoio esterno fino alle scale. Di fronte all’ala ovest c’era un telefono pubblico. Tolse dal portafoglio la carta di credito, la inserì nella fessura e compose il numero del suo ufficio di Los Angeles.
— Qui Bernard — disse. — Sto per partire con la mia limousine per l’aeroporto di San Diego. George è disponibile?
— La receptionist fece alcune chiamate e riuscì a metterlo in linea con George Dilman, il suo ingegnere e talvolta suo pilota.
— George? Mi spiace darti un preavviso così breve, ma è una specie di emergenza. Il jet dev’essere pronto fra un’ora e mezzo, con i serbatoi pieni.
— Dove, stavolta? — chiese Dilman, già abituato a voli lunghi ed a preavvisi brevi.
— Europa. Fra una mezz’ora saprò dirti dove con precisione, così potrai comunicare il piano di volo.
— Ci sarà qualche problema, dottore.
— Un’ora e mezzo, George.
— Saremo pronti.
— Viaggerò da solo.
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