Edward indietreggiò fino alla porta e poggiò una mano sulla maniglia. L’espressione di Vergil, contratta da quell’angoscia momentanea, tornò a distendersi nell’estasi. — Ehi! — mormorò. — Ascolta. Loro stanno…
Edward aprì la porta, uscì sul pianerottolo e la richiuse con decisione dietro di sé. A passi svelti raggiunse l’ascensore e premette il pulsante del pianterreno.
Nell’atrio sostò per qualche minuto, cercando di placare l’ansito che gli spezzava il respiro. Controllò l’orologio: le nove del mattino.
Chi stava ascoltando Vergil?
Aveva detto d’essersi consultato con Bernard; forse adesso era Bernard il cardine intorno a cui ruotava la situazione. Vergil ne aveva parlato come se l’uomo fosse non solo convinto ma anche molto interessato. Persone della statura di Bernard non perdevano il loro tempo con tutti i Vergil Ulam che bussavano alla loro porta, a meno che non presumessero di trarne qualche vantaggio. Mentre spingeva il doppio battente a vetri dell’ingresso Edward stabilì di verificare una sua idea.
Vergil era disteso a terra nel centro del soggiorno, con le braccia e le gambe spalancate, e rideva. Ad un tratto tornò serio e si domandò quale impressione avesse fatto a Edward, e anche a Bernard. Non era importante, decise. Niente aveva importanza se non quello che stava accadendo all’interno. L’universo interno.
— Sono sempre stato un bravo ragazzo — mormorò.
Tutte le cose.
— Sì, io sono tutto adesso.
Spiega.
— Cosa? Voglio dire, che c’è da spiegare?
Le cose semplici.
— Sì, immagino che sia duro svegliarsi alla vita. Be’, se avete delle difficoltà ve le meritate. Maledetto DNA finalmente sveglio.
Parlato con altri.
— Che cosa?
PAROLE comunicato con °corpo esterno struttura condivisa°. Questo è come se la °totalità° di °intero DENTRO° fosse simile a ESTERNO?
— Non vi capisco. Non siete chiari.
In lui scese il silenzio. Per quanto? Era difficile stabilire lo scorrere del tempo, suddividere i giorni in ore e i minuti in secondi. I noociti avevano sfasato il suo orologio cerebrale. E cos’altro?
TUO interfaccia sta fra °ESTERNO° e °INTERNO°. Questi sono uguali?
— L’interno e l’esterno? Oh, no.
Il °corpo struttura condivisa° ESTERNO è uguale?
— Volete dire Edward, no? Sì, infatti… condivide la mia struttura.
EDWARD e l’altra struttura hanno INTERNO simile/uguale?
— Oh, sì, sono abbastanza uguali per quel che riguarda voi. Solo… sì, ma lei sta meglio adesso? Ieri sera lei non stava bene.
A quella domanda non ci fu risposta.
Interrogare
— Lui non vi ha dentro di sé. Nessuno vi ha. Lei sta bene? Noi siamo gli unici. Io vi ho creato. Nessun altro che noi vi ha in sé.
Il silenzio restò profondo e assoluto.
Edward posteggiò l’auto fuori dal Museo d’Arte Moderna di La Jolla, e attraversò lo spiazzo di cemento fino a un telefono pubblico accanto a una fontana di bronzo. Dall’oceano saliva una nebbia che velava i contorni color crema della St. James Church, in stile spagnolo, e imperlava di umidità le foglie degli alberi. Inserì nel telefono la sua carta di credito e chiese il numero della Genetron Inc. L’informazione gli fu data da una voce elettronica, e lui fece la chiamata.
— Per favore, mi metta in contatto col Dr. Michael Bernard — disse alla centralinista.
— Chi lo desidera, prego?
— Questo è il suo Servizio Risposte. Abbiamo una chiamata di emergenza, e sembra che il suo apparecchio non funzioni. Pochi minuti dopo Bernard fu in linea. — Che diavolo significa? — chiese con calma. — Io non ho un Servizio Risposte.
— Mi chiamo Edward Milligan. Sono un amico di Vergil Ulam. Penso che abbiamo un certo problema da discutere.
All’altro capo del filo ci fu un lungo silenzio. — Lei lavora al Mount Freedom, non è così, Dr. Milligan?
— Sì.
— Si trova lì?
— Non esattamente.
— Oggi non posso vederla. Domattina andrebbe bene?
Edward rifletté su tutto il suo andare e venire, sul tempo che perdeva, su Gail che si preoccupava. Niente sembrava più molto importante. — Sì — rispose.
— Alle nove in punto, alla Genetron. 60895 North Torrey Pine Road.
— Benissimo.
Nel grigiore che offuscava l’aria Edward tornò all’auto. Mentre apriva la portiera e sedeva al volante ebbe un pensiero improvviso: quella notte Candice non era rientrata a casa.
Al mattino era stata lì, invece.
Vergil le aveva mentito su di lei, di questo non ebbe alcun dubbio. Perciò che ruolo stava giocando la ragazza?
E dove si trovava?
Gail trovò Edward profondamente addormentato sul divano, mentre fuori sibilava una pungente brezza invernale. Sedette al suo fianco e gli toccò un braccio finché lui aprì gli occhi.
— Ehilà — disse lei.
— Ehilà a te. — Sbatté le palpebre e si guardo attorno. — Che ore sono?
— Sono appena arrivata a casa.
— Le quattro e mezzo. Cristo. Ho dormito finora?
— Io non ero qui — disse Gail. — Lo hai fatto?
— Mi sento ancora a pezzi.
— Dunque, cos’ha combinato Vergil stavolta?
Lui si costrinse a esibire una maschera di tranquillità. Le accarezzò una guancia con un dito, in un gesto che lei contestava definendolo «lisciare il pelo alla gatta».
— C’è qualcosa che non va — affermò Gail. — Hai intenzione di parlarmene, o dobbiamo far finta che tutto sia normale?
— Non so cosa dirti — rispose Edward.
— Oh, Signore! — con un sospiro lei si alzò. — Ho capito: vuoi divorziare per risposarti con la signora Baker. — La signora Baker pesava 150 chili, e non s’era accorta d’essere incinta fino al quinto mese.
— Non ancora — la informò Edward.
— Un commosso grazie. — Gail gli sfiorò lievemente la fronte. — Sai bene che farti il terzo grado mi dà il mal di testa.
— Be’, non c’è poi molto di cui io possa parlare, così… — Le prese la mano e gliela sbaciucchiò.
— Riconosco il tuo istinto protettivo all’opera. Sei ripugnante — disse lei. — Di conseguenza mi farò il tè. Ne vuoi un po’? — Attese di vederlo annuire e sparì in cucina.
Lui si chiese perché non rivelarle tutto. Un vecchio amico si stava trasformando in una galassia.
Invece di farlo cominciò a liberare il tavolo di cucina.
Quella notte, incapace di dormire, seduto contro un cuscino poggiato alla spalliera del letto, Edward abbassò gli occhi sulla forma immobile di Gail e cercò di determinare cosa c’era di reale, e di irreale, in quello che aveva saputo.
Io sono un medico, si disse. Una professione tecnica, scientifica. Si suppone che uno come me sia immune da cose come la paura del futuro.
Vergil Ulam si stava trasformando in una galassia.
Che sensazione avrebbe provato lui ad avere dentro di sé un miliardo di cinesi? Nell’oscurità sogghignò, e nello stesso istante fu sul punto di gemere. Ciò che Vergil aveva in sé era enormemente strano, piuttosto che enormemente cinese. Al di là di qualunque cosa lui — o Vergil — potesse mai capire. Forse definitivamente incomprensibile.
Che razza di psicologia, o di personalità, poteva mai sviluppare una cellula… o un gruppo di cellule, se era per questo? Cercò di ricordare le sue nozioni scolastiche sugli ambienti in cui le cellule umane si potevano muovere: il sangue, i vasi linfatici, molti tessuti, il fluido intestinale, il fluido cerebrospinale… Non poteva immaginare un organismo sociale, complesso come il corpo umano, che in un ambiente così chiuso non finisse con l’impazzire per la noia. Le strutture erano relativamente semplici, le necessità semplici, e le funzioni erano svolte da cellule, non da esseri umani. Forse lo stress sarebbe diventato il fattore chiave… l’ambiente era benevolo con le cellule a lui familiari, mortale con quelle estranee.
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