Greg Bear - L'ultima fase

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L'ultima fase: краткое содержание, описание и аннотация

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Vergil Ulam, brillante ricercatore dei Genetron Labs, sta lavorando segretamente ad un esperimento che promette risultati sensazionali, e cioè la produzione di nuclei intelligenti di materia cellulare, capaci di evolversi e di apprendere con straordinaria rapidità. Ma quando Ulam infrange le norme di sicurezza del laboratorio e viene licenziato, si rifiuta di distruggere il frutto delle sue ricerche, come gli è stato ordinato, e decide invece di iniettarsi nel sangue le colonie cellulari, e diventare così egli stesso la cavia di un nuovo straordinario esperimento. Ma sarà il primo di un incredibile processo di mutazione e trasformazione, i cui limiti non sono facilmente immaginabili, perché infatti è subito chiaro che questa forma di intelligenza virale può assorbire e riplasmare qualsiasi materia vivente. Un’epidemia assolutamente inattaccabile, un vero e proprio universo di miliardi di cellule senzienti in frenetica espansione, che lentamente inghiottono l’America del Nord, trasformandola in uno scenario “alieno” che suscita al tempo stesso orrore e meraviglia. Ma si può parlare di catastrofe? O non è piuttosto un nuovo gradino nella scala dell’evoluzione? E che ne sarà dell’umanità, letteralmente trasfigurata da questi microscopici organismi che rappresentano una nuova dimensione di ciò che si può concepire come “vita”?
Nominato per il premio Nebula in 1985.
Nominato per i premi Hugo, Campbell e BSFA in 1976.

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Edward chiamò ancora Gail dalla derivazione telefonica della cucina. La trovò alzata e sul punto di recarsi a scuola. Le chiese di telefonare in ospedale e di avvertire che lui stava troppo male per andare al lavoro.

— Sei costretto a cercare una scusa? Allora la cosa è seria. Cosa sta succedendo a Vergil. Non riesce a cambiarsi i pannolini da solo?

Edward non disse niente.

Dopo una lunga pausa lei chiese: — Va tutto bene?

Doveva essere sincero? Decise di no. — Benissimo — rispose.

— Cultura! — esclamò Vergil, sbucando da dietro il divisorio della cucina. Lui la salutò e riattaccò in fretta. — Nuotano continuamente in un bagno d’informazioni. Vi contribuiscono. È una specie di gestalt sociale. La gerarchia è assoluta. Mandano fagociti appositi alla caccia delle cellule che non interagiscono. Virus specifici contro un individuo o un gruppo. Non c’è fuga. Una volta attaccata dal virus la cellula si spacca e si dissolve. Ma non è esattamente una dittatura. Penso che in effetti godano di libertà maggiore della nostra. Sono così diversi… voglio dire da individuo a individuo, sempreché siano esseri individuali; ma lo sono in modi che non si possono paragonare ai nostri. Questo ha un senso per te?

— No — disse sottovoce Edward, massaggiandosi le tempie. — Vergil, mi stai portando allo stremo. Non potrò sopportare tutto questo per molto. Non capisco, e non sono neppure sicuro di cominciare a…

— Neppure adesso?

— Va bene, ammettiamo che tu mi stia dando la giusta interpretazione, l’esatta e completa versione della realtà. Ti sei preoccupato d’immaginarne le conseguenze?

Vergil lo fissò, guardingo. — Mia madre — disse.

— Che c’entra lei?

— C’entra chiunque debba pulire la tazza di un cesso.

— Per favore, sii chiaro. — La disperazione rese fievole la voce di Edward.

— Non sono mai stato molto bravo in questo — mormorò Vergil. — Nell’immaginare a cosa possa portare un avvenimento.

— Non hai paura?

— Sono terrorizzato — disse lui. Il suo sogghigno divenne maniacale. — Ed esilarato. — S’inginocchiò accanto alla sedia di Edward. — All’inizio volevo controllarli. Ma loro sono molto più abili di me. Ma chi sono io, uno sciocco confusionario, per tentare di ostacolarli? Loro stanno facendo qualcosa di molto importante.

— Che succederebbe se ti uccidessero?

Vergil si distese sul pavimento, allargando braccia e gambe. — Un cane morto! — dichiarò. Edward sentì l’impulso di dargli un calcio. — Guarda, non voglio che tu pensi che ti stia scavalcando, ma ieri sono andato a parlare con Michael Bernard. Mi ha ricevuto nella sua clinica privata, mi ha preso un sacco di campioni. Biopsie. Già non si distingue più dove mi ha tolto pezzetti di pelle, di tessuto muscolare e osseo: è tutto guarito. Cicatrizzato, ha detto lui. Mi ha chiesto di non parlarne con nessuno. — La sua espressione tornò a farsi sognante. — Città di cellule. Edward, loro costruiscono tubature come strade attraverso i tessuti, si spostano, mandano informazioni, trasformano altri tipi di cellule…

— Smettila! — esplose Edward, con voce rotta. — Che cosa è risultato da quegli esami?

— Da come la mette Bernard, io avrei dei linfociti «gravemente deformati». Gli altri dati non sono ancora pronti. Capisci, è stato soltanto ieri. Perciò non sei il solo a lambiccarti il cervello.

— E lui cosa pensa di fare?

— Sta cercando di convincere la Genetron a riassumermi. E a ridarmi il laboratorio.

— È questo che vuoi?

— Non si tratterebbe soltanto di avere un laboratorio a disposizione. Lascia che ti faccia vedere. Da quando ho interrotto il trattamento con le lampade la mia pelle sta cambiando di nuovo. — Sempre disteso sul pavimento si aprì la vestaglia.

Sull’intero corpo di Vergil l’epidermide era un fitto reticolo di strisce bianche. Si girò. Sulla schiena le linee si stavano ispessendo e formavano creste sporgenti.

— Mio Dio! — ansimò Edward.

— Sto diventando sempre meno adatto a girare in luoghi che non siano un laboratorio chiuso — dise Vergil. — Non avrei l’animo di mostrarmi in pubblico.

— Tu… tu puoi parlare loro, dirgli di smetterla. — Edward fu però subito conscio di quanto suonavano ridicole quelle parole.

— Si, certo che potrei, ma questo non significa che mi ascolterebbero.

— Pensavo che tu fossi il loro Dio.

— Quelli che si sono piazzati sui miei neuroni non sono i pezzi grossi. Sono i ricercatori, o almeno hanno funzioni analoghe. Loro sanno chi sono io, e che sono qui, ma non è detto che possano convincere i livelli superiori della loro gerarchia.

— Sono in dissidio fra loro?

— Qualcosa del genere. — Si rimise la vestaglia e andò alla finestra, sbirciando dalle tendine come in cerca di qualcuno. — Mi sono rimasti soltanto loro. E loro non hanno paura di niente. Edward, prima d’ora non mi ero mai sentito così vicino a qualcuno o a qualcosa. — di nuovo un sorriso di beatitudine. — Io sono responsabile per loro. La loro grande madre. Sai, fino a qualche giorno fa non avevo neppure un nome per identificarli. Una madre dovrebbe dare un nome alle sue creature, no?

Edward non rispose.

— Ho dato un’occhiata attorno… dizionari, libri di testo e così via. Poi mi è venuta l’ispirazione: Noociti. Dalla parola greca «noos», che significa «mente». Noociti. Suona un po’ macabro, vero? L’ho detto a Bernard. Credo che gli sia sembrato un buon nome…

Edward sollevò le braccia, esasperato. — Non hai la più pallida idea di quello che stanno facendo! Hai detto che sono come una società…

— Un migliaio di società.

— Sì, e le società si evolvono in modo drammatico. La guerra, le dispute sui confini… — Da quando era arrivato aveva cercato di controllare una paura sempre crescente, ma adesso era come se cercasse di aggrapparsi a una pagliuzza. Lui non aveva la competenza per destreggiarsi nell’enormità di quel che stava accadendo. E neppure Vergil. Vergil era l’ultimo individuo che Edward stimasse abbastanza riflessivo e analitico da esaminare le cose nella loro reale estensione.

— Ma io sono l’unico che rischia — osservò Vergil.

— Questo non lo sai. Gesù, ragazzo, guarda quello che ti stanno facendo!

— Io lo accetto — disse stoicamente lui.

Edward scosse il capo come davanti a una sconfitta. — E va bene. Bernard farà riaprire il laboratorio alla Genetron, tu ti trasferirai lì e reciterai la parte della cavia nei tuoi stessi esperimenti. E poi?

— Mi daranno il trattamento che merito. Adesso sono qualcosa di più che il buon vecchio Vergil I. Ulam. Sono una stramaledetta galassia, una super-madre.

— Un super-ospite, vorrai dire.

Vergil glielo concesse con una scrollata di spalle.

Edward aveva un groppo in gola. — Non posso far nulla per te — disse. — Non posso parlarti, né convincerti, né aiutarti. Sei più testardo che mai. — Il termine gli parve perfino benevolo: come poteva «testardo» descrivere il comportamento esibito da Vergil? Provò l’impulso di spiegarsi meglio, ma emise soltanto un ballettio confuso. — Devo andarmene — riuscì infine a dire. — Qui non posso fare niente di utile.

Vergil annuì. — Suppongo di no. Sarebbe impossibile.

— Già. — Edward deglutì a vuoto. Vergil fece un passo avanti e parve sul punto di mettergli una mano su una spalla. D’istinto lui indietreggiò.

— Se non altro, vorrei la tua comprensione — disse Vergil, riabbassando la mano. — Questa è la cosa più importante che io abbia mai fatto. — Il suo volto si contorse in un sogghigno. — Non so fino a quando potrò fronteggiarli. Faccia a faccia con loro, intendo. E non so se mi uccideranno oppure no. C’è una tensione reciproca, Edward.

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