Gli altri tre rimasero silenziosi per un lungo momento. Stavano guardando Peron con ansia. Alla fine si rese conto che stavano soltanto aspettando che lui parlasse. Rimase anche lui silenzioso fino a quando, infine, Lum lanciò un’occhiata al proprio orologio.
— Altri cinque minuti, poi dovremo andare. — La sua voce era rispettosa. — Prosegui, Maestro, vai avanti e raccontaci il resto. Sono certo che finora hai ragione. Comincio a sentire di aver sempre meno diritto al numero uno in classifica.
Peron guardò con attenzione ognuno degli altri. Elissa teneva gli occhi rivolti verso il basso, fissando pensierosa il tavolo. Kallen e Lum erano entrambi visibilmente eccitati.
— Tanto per cominciare — riprese Peron, — se noi sappiamo che c’è un infiltrato del governo nel gruppo, potrebbero essercene altri, perciò non diciamo niente a nessuno, a meno che non siamo assolutamente sicuri dell’altro contendente. Ciò significa, gente che conoscevamo da prima, o gente con la quale abbiamo lavorato durante le prove e che non possono essere dei concorrenti fasulli. Che ne dite di Sy?
Kallen scosse la testa. — È un concorrente genuino — bisbigliò. — E anche sorprendente. Ho passato un po’ di tempo con lui durante alcune delle prove. È assai più intelligente e pieno di risorse di chiunque altro di noi, ma a causa di quel braccio rinsecchito vede il mondo attraverso uno specchio distorcente. Dovremmo dirglielo, anche se questo confermerà tutti i suoi peggiori sospetti sulla gente.
Era il discorso più lungo che Kallen avesse mai fatto al gruppo. Parve rendersene conto e sorrise a Elissa con fare imbarazzato.
— D’accordo. Sy è dei nostri — disse Lum. — E chi altro, Peron?
Era sconcertante venir trattato come un’autorità. Peron si succhiò un’unghia e rifletté intensamente.
— Non dobbiamo far niente — disse infine, — salvo tenere gli occhi aperti e la bocca chiusa. Vedi, è ovvio da quello che Kallen ti ha detto che ad un certo punto apprenderemo i misteri delle prove fuori del pianeta. I vincitori precedenti devono esserne stati informati. Così lo diranno anche a noi, e scopriremo cosa succede ai vincitori una volta che la competizione fuori del pianeta si sarà conclusa. Non c’è nessun indizio che possa succederci qualcosa di brutto, soltanto che succede qualcosa che il governo non vuole far sapere al pubblico. Tendo a esser d’accordo con mio padre che questa in sé è già una brutta cosa. Ma fino a quando non sapremo di cosa si tratta, non possiamo essere in disaccordo con essa. Così, è semplice: per il momento cercheremo di definire quanti sono quelli del nostro gruppo di venticinque di cui possiamo veramente fidarci. E d’ora in avanti metteremo in discussione qualunque cosa ci dicano.
— Pensi che dovremmo discutere di questo con altri? — Lum si alzò in piedi. — Da parte mia, preferirei di gran lunga non dirlo a nessun altro.
— Ci servono tutti gli occhi e gli orecchi che possiamo trovare — dichiarò Peron. — Faremo attenzione.
Si mossero tutti insieme verso l’uscita, senza pronunciar nessun’altra parola fino a quando non si trovarono fuori dalla mensa diretti verso il quartier generale delle comunicazioni di Planetfest.
Lum e Kallen erano andati avanti, lasciando che Peron ed Elissa camminassero fianco a fianco nella fredda aria autunnale. Piccola Luna era già sorta e lontano, vicino all’orizzonte, il fuoco rosso di Cassby proiettava lunghe ombre ocra attraverso la luce sempre più scura del crepuscolo.
Elissa si arrestò e sollevò gli occhi al cielo: era limpido, e le stelle stavano lentamente comparendo in mezzo all’imbrunire.
— Fra pochi giorni saremo lassù — osservò Peron. La prese sottobraccio. — Vedremo i Cinquanta Mondi e forse anche la Nave. L’ho saputo da quando avevo quattro anni.
— Lo so… Anch’io. Mia zia non crede neppure che ci sia una Nave. Dice che siamo qui su Pentecoste da sempre.
— Cosa le hai detto?
— Niente. Per una persona che abbia quel punto di vista, la logica è irrilevante. Crederà sempre quello che sceglie di credere, non importa quale sia l’evidenza. La sua religione dice che Dio ci ha messi qui su Pentecoste, e per lei quella è la fine della discussione.
— E tu? — Peron era conscio che lei si era fatta molto vicina a lui. — Tu cosa pensi?
— Tu sai cosa penso. La mia maledizione è una mente logica e un sacco di curiosità. È per questo che sto dando una buona occhiata. Una volta che saliremo lassù, lontano dal pianeta, il cielo cambierà del tutto. — Elissa sospirò. — Quando pensavo di uscire dal pianeta, quando ero piccola, mi pareva quasi la stessa cosa che andare in paradiso. Pensavo che là ogni cosa sarebbe stata diversa. Nessun controllo, niente agenti addetti alla sicurezza, ogni cosa chiara e semplice. Adesso ci sarà un’altra orribile competizione.
Peron annuì. — È per questo che non ci consentono di essere concorrenti una volta superati ì vent’anni. Per dare il tuo meglio al Planetfest, è fatale se metti troppo in discussione quello che fai. Le prove hanno bisogno di una mente sgombra.
— Che noi non avremo più. Abbiamo lasciato la culla e non serve a niente tornare indietro. Speriamo di trovare delle compensazioni.
Elissa gli prese la mano e gli fece scorrere delicatamente la punta delle proprie dita sul palmo. — Vieni, finiamo quell’intervista. Poi potrai portarmi a fare una passeggiata, quella che eri sul punto di chiedermi quando è arrivato Lum.
Per la maggior parte del viaggio il capitano Gilby li aveva arringati senza sosta. Aveva fatto loro notare le caratteristiche della Nave, soffermandosi sui particolari relativi a tutto ciò che poteva andare storto durante la fase di ascesa; aveva detto loro, più e più volte, che il mal di caduta libera era del tutto psicologico, al punto che avrebbero dato qualunque cosa pur di andare a vomitare in privato; e aveva chiesto a ognuno dei venticinque d’indicare la propria regione d’origine su Pentecoste a mano a mano che l’orbita li portava a sorvolarla, tirando su sdegnosamente col naso quando sbagliavano. Riconoscere dallo spazio una regione familiare era risultato più difficile di quanto ognuno di loro avesse previsto. La coltre di nubi, la foschia, e l’obliquità dell’angolo visuale avevano alterato tutti i consueti elementi d’identificazione.
Ma alla fine, quando il vascello spaziale si trovò novemila chilometri sopra Pentecoste e si stava avvicinando alla Nave, Gilby si azzittì. Qui, aveva da tempo imparato a lasciare che l’evento in sé sopraffacesse i contendenti, senza il suo aiuto.
Il vascello che li aveva portati su dalla superficie di Pentecoste era più grande di quanto chiunque si fosse aspettato. Un vascello capace di trasportare trenta persone non pareva dovesse essere tanto grande, pur sapendo in teoria quanta capacità fosse necessaria per il combustibile. La realtà li aveva fatti ammutolire. Avrebbero cavalcato verso lo spazio in groppa a un mastodontico obelisco, il quale torreggiava per un’altezza di venti piani sopra a piatta pianura del deserto di Talimantor.
Adesso, si trovavano ad affrontare un ulteriore cambiamento di scala. La Nave era dapprima comparsa sullo schermo come un punto luminoso, molto al di sopra e davanti a loro. A mano a mano che si erano avvicinati lentamente ad essa, e le caratteristiche si erano fatte visibili, le dimensioni della Nave si erano rivelate in tutta la loro realtà, anche se era impossibile capirle razionalmente. Stavano guardando un ovoide irregolare, una palla rigonfia, ricoperta di foruncoli, peli e graffi, come un frutto screziato dalle malattie. Altri particolari si fecero visibili quando arrivarono più vicini. Ognuno di quei piccoli capezzoli sul suo ventre era in realtà un molo di attracco completo, in grado di accogliere un vascello delle dimensioni di quello sul quale viaggiavano; le sporgenze sul lato, sottili come capelli, erano torri di atterraggio; i graffi regolari erano composti da una moltitudine di punti, ognuno dei quali era un boccaporto d’accesso allo scafo.
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