Peron sentì il resto dei risultati, ma si registrarono appena nella sua mente. Era sopraffatto dal piacere e dal sollievo. Una parte della sua mente rimase perplessa quando il vincitore del secondo posto, Kallen, venne annunciato, poiché riuscì a fatica a riconoscere quel nome. Si chiese come avessero potuto superare insieme tante difficili prove senza essersi mai parlati. Ma ogni cosa, la folla, il colosseum, gli altri contendenti, parevano lontani mille miglia, miraggi nella luce gialla e sfavillante del sole.
L’ultimo nome comparve, e un ultimo immane rombo si levò dalla folla. Lum! Lum di Minacta aveva vinto il primo posto! Nessuno gli avrebbe invidiato il trionfo, ma sarebbe stato una triste delusione per tutti quei genitori che sollecitavano i loro figli e figlie a vivere in modo sano e laborioso, così da essere i vincitori dei Giochi. Chi mai avrebbe voluto essere il vincitore, se questo significava crescere per diventare grandi, carnosi e rozzi d’aspetto come il vincitore di quest’anno?
C’era trambusto in fondo alla fila: due delle ragazze accanto a Lum l’avevano abbracciato, poi cercarono di sollevarlo sulle proprie spalle per portarlo in trionfo verso la folla. Ma dopo pochi istanti divenne ovvio che Lum era troppo pesante. A sua volta lui si sporse in avanti, afferrò una ragazza per ciascuna delle proprie braccia, e le sollevò. Gli si appollaiarono una per spalla, e lui avanzò a grandi passi verso la barriera. Sollevò alte le mani e fece una piroetta, mentre la folla impazziva.
— Su, vieni, infelicità! — La voce era arrivata dal fianco di Peron. Era Elissa, che l’afferrò per un braccio quando lui si voltò verso di lei. — Hai l’aria di essere sul punto di addormentarti. Andiamo dentro a festeggiare, siamo i vincitori ! Dovremmo comportarci come tali.
Prima che Peron potesse sollevare obiezioni, Elissa lo trascinò in avanti per raggiungere gli altri. La grande festa stava per aver inizio. Vincitori e perdenti, tutti si erano dimenticati di ogni stanchezza. Adesso che la contesa era finalmente finita, e i punteggi erano stati assegnati, la folla li avrebbe trattati tutti come vincitori. E lo erano davvero! Erano tutti sopravvissuti ai test più duri e snervanti che il Planetfest poteva offrire. E adesso avrebbero festeggiato fino a quando Cassay non fosse disceso dal cielo… fino a quando non fosse rimasta soltanto la fioca luce rossa di Cassby a far loro da guida fino ai dormitori.
Adesso, il Planetfest era finito per altri quattro anni. Poche persone si erano anche soltanto soffermate sul fatto che il vincitore finale non era stato ancora scelto. Le ultime prove si svolgevano fuori del pianeta, lontano dall’eccessivo chiasso della pubblicità… molto lontano, dove non veniva fatto nessun annuncio.
Ma i contendenti conoscevano bene questa verità: una fase più dura e ignota adesso li aspettava, e lì l’unico premio sarebbe stata la consapevolezza di aver vinto. Ma i premi in denaro, i festeggiamenti indetti in loro onore da intere province, lo scrosciante applauso del pubblico, e le generose pensioni per le famiglie, non erano basati sui risultati ottenuti dai contendenti fuori del pianeta. Perciò per la maggior parte degli abitanti di Pentecoste, quasi per tutti, in pratica, salvo per gli stessi finalisti, i giochi planetari erano finiti per altri quattro anni.
E il nome di Lum, sì, Lum di Minacta, si ergeva su tutti gli altri.
— Sono certo che avrete la sensazione di averne passate tante. Bene, è mio compito informarvi, qui, che i tempi duri stanno per cominciare soltanto adesso. Accettate la parola di Eliya Gilby, voi non avete ancora visto niente. Paragonati ai test fuori del pianeta, quei giochetti di merda del Planetfest vanno bene soltanto per bambini.
L’oratore era un uomo magro, dai capelli grigi, rivestito di cuoio nero costellato dal lucido ottone della Guardia del Sistema. Sul suo volto campeggiava un sorriso sardonico che poteva venir interpretato ugualmente come pietà, disprezzo o dispepsia. Mentre parlava era incapace di rimaner fermo. Camminava su e giù davanti al gruppo silenzioso, e per tutto il tempo le sue mani erano parimenti in movimento; si tirava la cintura, si aggiustava il colletto, o si sfregava un occhio iniettato di sangue.
I vincitori del Planetfest che costituivano il suo pubblico erano in forma assai migliore. Le offerte di bevande, droghe e stimolanti da parte dei sostenitori che li avevano festeggiati erano state numerose, ma i molti anni di preparazione per le prove avevano insegnato ai contendenti l’autocontrollo. E un tranquillo sonnellino fino a mezzogiorno, senza dover far piani per la prossima prova, era stato un ristoro oltre che un lusso. Si guardavano, mentre la guardia parlava, scambiandosi dei segreti sorrisi. Il capitano Gilby era in condizioni terribili. Dall’aspetto non doveva aver rifiutato nessuna offerta di beveraggi gratuiti. Non c’era alcun dubbio che stesse ancora soffrendo i postumi di una sbornia, e anche molto brutta, dopo una lunga notte di bagordi.
Il capitano Gilby mosse la testa da lato a lato con molta lentezza. Grugnì, sospirò, e si schiarì la gola. — Per l’inferno. Va bene, procediamo. È mio compito cercare di spiegarvi i Cinquanta Mondi. Ma posso dirvi già adesso che non c’è nessuna vera maniera di sapere a cosa assomiglino fino a quando non ci sarete stati voi stessi di persona. Prendetemi in parola, ho fatto dei viaggi fuori del pianeta, con altri gruppi di voi vincitori, per tutto il sistema di Cass. E tutti mi dicono, una volta che hanno visto la realtà, che le mie fotografie sono inutili. E io sono d’accordo. Ma i miei capi non vogliono ascoltare questi discorsi, e così è proprio questo che avrete. Fotografie. Vi danno soltanto una pallida idea, ma è tutto quello che avrete fino alla prossima settimana.
Tirò su col naso e si chinò cautamente in avanti, sollevando da terra una grande custodia piatta. — Diamo un’occhiata a qualche fotografia di Barcham, vicino a Cassay. Ecco un vero buco d’inferno per voi, se volete la mia opinione. Suppongo sia troppo sperare che qualcuno di voi ne sappia già qualcosa?
Wilmer si guardò intorno, poi, esitante, sollevò una mano. — Io.
Gilby lo fissò. — Ma davvero? Ti dispiace dirmi come, dal momento che questo genere di conoscenze non dovrebbe essere di dominio pubblico, giù su Peniecoste?
— Mio zio è stato uno dei vincitori del Planetfest, dodici anni or sono. L’anno scorso gli ho chiesto di parlarmi delle prove fuori del pianeta.
— Ancora prima di cominciare la prima selezione per il Planetfest! Piccolo bastardo presuntuoso che non sei altro… Allora, parlaci di Barcham.
— Dune di sabbia, proprio come mostrano le fotografie. Una vita vegetale primitiva, nessun animale, poca atmosfera. È caldo come l’inferno, salvo ai poli. Caldo come il piombo fuso. — Wilmer esitò, poi aggiunse: — Non la mia scelta per una prova. Se dovesse aver luogo là, questo significherebbe tute anticaldo per tutto il tempo.
— Adesso non cercar d’influenzare gli altri — l’interruppe Gilby con voce pacata. Mentre Wilmer parlava, era arrivato un vassoio di bevande calde, e il capitano le stava occhieggiando con desiderio. — Ma il resto che hai detto è giusto. Caldo abbastanza da farti evaporare le palle in due minuti, se la tua tuta dovesse guastarsi. E tu hai le palle. Barcham si trova soltanto a centoventi milioni di chilometri da Cassay. Diamo un’occhiata a un altro, un po’ più lontano. Questo è Gimperstand. Ne sai niente?
Gilby aveva sollevato due fotografie. Una mostrava la ripresa dallo spazio d’una sfera verde-bruno, l’altra una giungla lussureggiante di rampicanti incredibilmente aggrovigliati. Wilmer scosse la testa e nessun altro parve pronto a parlare.
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