Charlene si morse il labbro. C’era la terribile tentazione di non fare niente, di lasciare JN con una temperatura corporea vicina al punto di congelamento, mentre loro deliberavano. Ma la temperatura della camera stava ancora scendendo. Nel giro della prossima mezz’ora dovevano far riprendere i sensi a Judith Niles, oppure tentare il Modo Due.
— Qual è l’ultimo rapporto sul Jinx? — chiese d’un tratto Charlene.
— Sta bene.
— D’accordo. Allora dico, procediamo pure. Aspettare non servirà a nulla.
Se gli altri due erano rimasti sorpresi da quell’improvviso cambiamento di atteggiamento, nessuno dei due ne parlò. Si aggiustarono le maschere sul viso e tornarono subito dentro la camera. La temperatura all’interno era già scesa di un altro grado. I monitor registravano un ritmo del polso di quattro battiti al minuto per Judith Niles, e il sangue raffreddato veniva spinto pigramente attraverso le vene contratte.
Cominciò lo stadio finale. Sarebbe stato compiuto sotto il controllo del computer, con gli umani presenti soltanto per fornire un intervento svincolato dalla macchina se le cose fossero andate storte. De Vries iniziò la sequenza di controllo, poi si avvicinò alla figura immobile sopra il tavolo e appoggiò delicatamente il palmo della mano sulla fronte fredda.
— Buona fortuna, Judith. Faremo del nostro meglio. E comunicheremo con te, Dio volendo, quando arriverai là.
Rimase a fissare il suo viso per molto tempo. Le iniezioni di farmaci esattamente calibrate e la massiccia trasfusione di sangue chimicamente modificato era già iniziata. Adesso i monitor mostravano schemi strani, periodi stabili che si alternavano con cambiamenti improvvisi della velocità delle pulsazioni, delle conduttività epidermica, dell’equilibrio ionico, e dell’attività del sistema nervoso. Le proiezioni dell’oscilloscopio mostravano picchi e valli imprevedibili nei ritmi del cervello, a mano a mano che i cicli delle onde s’innalzavano, scendevano, si fondevano.
Perfino agli occhi esperti degli osservatori ogni cosa sui monitor appariva strana e poco familiare. Però non era una sorpresa. Come aveva richiesto, Judith Niles si stava imbarcando per uno strano viaggio. Avrebbe esplorato una regione dove il sangue era prossimo al punto di congelamento, dove le reazioni chimiche del corpo procedevano ad una frazione del loro ritmo usuale, dove soltanto pochi animali ibernati e nessun essere umano si erano mai avventurati per ritornare poi alla vita.
Il cuore raggelato rallentò ancora, e il sangue si mosse pigramente lungo le arterie e le vene raffreddate. D’un tratto il corpo sul tavolo fremette e si contrasse, poi fu di nuovo calmo. I monitor tremolarono a mo’ di avvertimento.
Ma adesso non ci sarebbe stato nessun ritorno. La ricerca era iniziata. Durante le prossime ore, Judith Niles sarebbe stata impegnata in un’impresa disperata. Doveva trovare un nuovo plateau di stabilità fisiologica, laggiù, dove nessun essere umano si era mai spinto prima; e la sua unica guida era una pista indistinta lasciata da un orso kodiak.
— Qualunque tecnologia sufficientemente avanzata è indistinguibile dalla magia.
— Espressione proverbiale, attribuita al filosofo/scrittore pre-Volo Isaac (?) Clarke, 1984 (?) – 2100 (?) (Vecchio Calendario; Biblioteca dell’Archivio Centrale, Pentecoste). (Memoria a bolle difettosa; sezione delle registrazioni inaffidabile).
Pentecoste
L’ultimo nuotatore era emerso rabbrividendo dal fiume sotterraneo e adesso sarebbe stato possibile mettere insieme i risultati finali. Peron Turca si strinse il caldo mantello intorno alle spalle e guardò indietro lungo la fila.
Eccoli là. Quattro mesi di selezioni preliminari li avevano ridotti ad appena un centinaio, dalle molte migliaia che si erano originariamente iscritti alle prove. E nei prossimi minuti il numero sarebbe stato ridotto ancora una volta a un esultante venticinque.
Tutti erano infangati, stanchi e sporchi fino alle ossa. La prova finale era stata micidiale, spingendo mente e corpo fino al limite. La nuotata sott’acqua di quattro miglia, nella più totale oscurità, lottando contro correnti raggelanti attraverso un labirinto di caverne interconnesse, era stata fisicamente molto ardua. Ma la pressione mentale, sapendo che le scorte di ossigeno sarebbero durate soltanto per cinque ore, era stata assai peggiore. Adesso la maggior parte dei concorrenti erano accasciati sulle piastrelle di pietra, intenti a riscaldarsi alla luminosa luce del sole, sfregandosi i muscoli doloranti e sorseggiando bevande zuccherate. Ci sarebbe voluto un po’ di tempo perché il punteggio venisse calcolato, ma già la loro attenzione stava passando dalla folla rumorosa alla gigantesca proiezione che formava da sola una delle pareti esterne del colosseum.
Peron si schermò gli occhi contro lo splendore mattutino di Cassay e studiò a turno ognuna delle facce della lunga fila. Ormai sapeva chi erano i veri avversari, e dalle loro espressioni cercò di valutare le proprie possibilità. Lum si trovava all’estremità opposta, accovacciato al suolo, a gambe incrociate. Stava mangiando frutta e appariva annoiato e sudato. Per qualche motivo la calda estate di Pentecoste aveva lasciato indenne la sua pelle. Il pallore dell’inverno lo faceva risaltare in mezzo agli altri.
Dieci giorni prima Peron lo aveva incontrato e l’aveva scartato giudicandolo troppo molle e troppo grasso e pesante, un giovane dalla corporatura rozza, grossolana, che era riuscito a piazzarsi fra i cento concorrenti arrivati in finale per un capriccio del caso. Adesso sapeva che non era così. Quell’apparente grasso era costituito per la maggior parte dei muscoli, e quand’era necessario Lum poteva muoversi con una grazia e una velocità incredibili; e quei volto cicciuto e quegli occhi porcini nascondevano un cervello di prima grandezza e un’immaginazione formidabile. Peron aveva modificato per tre volte il proprio giudizio e ogni volta verso l’alto. Adesso era certo che Lum sarebbe finito in qualche punto assai in alto nella classifica degli ultimi venticinque.
E lo stesso sarebbe stato per quella ragazza, Elissa, a tre posti di distanza alla sua sinistra. Sin dall’inizio Peron l’aveva valutata una concorrente formidabile. Era partita dieci minuti prima di lui durante la prima prova, quando avevano fatto il viaggio notturno attraverso Villasylvia, la foresta più difficile e pericolosa sulla superficie di Pentecoste.
Peron si era sentito molto sicuro di sé. Era nato e cresciuto in mezzo ai boschi. Era forte e il suo senso dell’orientamento era migliore nei confronti di quello di chiunque altro avesse incontrato finora. Dopo due ore di viaggio, quando non era riuscito a raggiungere Elissa, si era convinto che la ragazza dalla pelle scura aveva sbagliato strada e si era smarrita nelle pericolose profondità di Villasylvia. Aveva provato un po’ di dispiacere per lei perché prima di partire la ragazza gli aveva sorriso augurandogli buona fortuna; ma aveva concentrato la maggior parte della sua attenzione ad evitare gli sfrecciatori e i nottilappanti che dominavano la foresta durante le ore dell’oscurità.
Lui aveva realizzato un tempo magnifico, imboccando una pista fortunata che l’aveva riportato alla base senza nessuna deviazione e senza obbligarlo a tornare indietro. Ma era stato un grande shock tornare a casa e scoprire che Elissa era arrivata molto prima di lui, fresca e allegra, intenta a canticchiare fra sé mentre si cucinava la prima colazione.
Adesso Elissa si voltò a guardarlo mentre lui stava ancora fissando la fila nella sua direzione. Gli sorrise, e lui si affrettò a distogliere gli occhi. Se Elissa non avesse figurato tra i vincitori, questa sarebbe stata una cattiva notizia anche per lui, poiché era convinto che, qualunque fosse stato il loro posto in classifica, lei si sarebbe piazzata in qualche punto sopra di lui.
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