Riportò lo sguardo sul tabellone. Gli indicatori stavano venendo collocati sulla grande proiezione, mostrando i nomi dei concorrenti rimasti. Peron li contò mentre venivano collocati. Soltanto settantadue: l’ultima serie di prove era stata ferocemente difficile, sufficiente ad eliminare del tutto più di un quarto dei finalisti. Non ci sarebbe stato nessun festeggiamento al Planetfest per loro. Era probabile che fossero già sulla strada del ritorno verso le loro città natali, troppo delusi per aspettare di scoprire chi sarebbero stati i fortunati vincitori.
Peron corrugò la fronte e guardò di nuovo la fila dei finalisti. Dov’era Sy? Era possibile che non fosse riuscito a finire? No, eccolo là, sdraiato a poca distanza dietro gli altri. Come al solito non era facile accorgersi della sua presenza, si fondeva senza dar nell’occhio con qualunque scena, così Peron aveva impiegato un po’ di tempo ad accorgersi della sua presenza. Non avrebbe dovuto esser difficile distinguerlo con quei suoi capelli neri, gli occhi verdi e luminosi, e l’avambraccio destro un po’ deforme. Ma per qualche ragione era difficile vederlo. Poteva immergersi nello sfondo, osservando con calma ogni cosa con quell’espressione cinica e compiaciuta che Peron trovava così irritante… forse perché sospettava che Sy fosse davvero superiore ? Era comunque certo, che in ogni cosa che richiedesse capacità mentali Sy l’aveva battuto senza alcuno sforzo (e aveva battuto anche chiunque altro, stando al giudizio approssimativo di Peron); e là dov’erano necessarie l’agilità o la forza fisica, Sy riusciva in qualche modo a compensare lo svantaggio del braccio più debole. Capire come ci riuscisse era un mistero. Non era mai fra i primi in quelle prove in cui la forza fisica era essenziale, ma, visto il suo handicap, era molto più in alto in classifica di quanto chiunque sarebbe mai riuscito a credere.
In quel momento Sy ignorava la proiezione e stava concentrando tutta la sua attenzione sui suoi compagni e rivali. Era chiaro che stava valutando le loro condizioni. Peron ebbe l’improvviso sospetto che Sy già sapesse di essere tra i primi venticinque e stesse già guardando avanti, preparando i suoi piani per i test fuori del pianeta che avrebbero determinato i venti vincitori finali.
Peron desiderò di poter provare così tanta fiducia in se stesso. Era sicuro (ma lo era davvero?) di trovarsi fra i primi trenta. Sperava di essere tra i primi venti, e nei suoi sogni si vedeva addirittura quarto o quinto. Ma con contendenti selezionati dall’intero pianeta, e con una concorrenza di calibro così elevato…
La folla ruggì. Era ora! Finalmente compariva il punteggio. Le proiezioni vennero messe insieme con lentezza e scrupolo. I giudici conferivano in grande segreto, sapendo che i risultati si sarebbero diffusi all’istante sull’intero pianeta, e che un solo errore sarebbe bastato a rovinare la loro reputazione, e gli individui responsabili delle proiezioni erano influenzati dall’identica ossessione di cautela e accuratezza. Ogni cosa veniva controllata e ricontrollata prima di finire sul tabellone.
Peron aveva guardato le registrazioni dei recenti Planetfest, più e più volte, ma questo era diverso e più elaborato. Le prove si tenevano ogni quattro anni. Di solito i premi consistevano in incariclìi elevati nel governo di Pentecoste, e forse una possibilità di vedere i Cinquanta Mondi. Ma i giochi ventennali come quello salivano ad un significato completamente nuovo. Certo, c’erano sempre i soliti premi. Ma non erano quelli veri. C’era quel premio assai più grande di cui si mormorava: la possibilità d’incontrare gli Immortali e di lavorare con loro.
E questo cosa significava? Chi erano gli immortali? Nessuno era in grado di dirlo. Nessuno di coloro che Peron conosceva ne aveva mai visto uno, ne aveva mai incontrato uno. Erano le supreme figure del mistero, quelli che vivevano per sempre, quelli che tornavano ad ogni generazione per portare conoscenze dalle stelle. Stelle che, si diceva, gli Immortali erano in grado di raggiungere in pochi giorni, in conflitto con tutto ciò che gli scienziati di Pentecoste credevano delle leggi dell’universo.
Peron stava ancora riflettendo su ciò, quando il frastuono della folla, separata dai contendenti da una solida barriera e da file di guardie armate, risvegliò per intero la sua attenzione. Il primo vincitore, al venticinquesimo posto, era stato appena annunciato. Era una ragazza, Rosanne. Peron la ricordava dalla Lunga Camminata attraverso il deserto di Talimantor, quando in coppia con lui aveva formato una temporanea alleanza per cercare acqua nel sottosuolo. Era una ragazza allegra e instancabile, appena al di sopra del limite minimo di età: sedici anni. E adesso aveva portato una mano al petto fingendo di barcollare e di perdere i sensi per il sollievo di essere riuscita a farcela, sia pure per il rotto della cuffia.
Adesso tutti gli altri contendenti fissavano il tabellone con rinnovata intensità. Il metodo degli annunci era ben fissato dalla tradizione, ma non c’era un solo partecipante alle prove che non avrebbe desiderato uno svolgimento diverso. Dal punto di vista della folla era molto soddisfacente annunciare i vincitori in ordine ascendente, in modo che il nome del contendente arrivato primo veniva annunciato per ultimo. Ma durante le prove, ogni singolo concorrente si formava un’idea approssimativa delle proprie possibilità attraverso il confronto diretto con i suoi avversari. Era facile sbagliarsi di cinque posti, ma errori più grandi di questo erano improbabili. Nel proprio intimo un contendente sapeva se era giù al novantesimo posto. Ma anche così, la speranza rimaneva sempre. Ma a mano a mano che i nomi venivano annunciati, e la ventiquattresima, ventitreesima, ventiduesima posizione venivano occupate, la maggior parte dei concorrenti veniva colta dal panico e da una tristezza crescente, o da ipotesi inverosimili. Possibile che si fossero classificati così in alto? O, cosa più probabile, erano già stati eliminati?
Gli annunci proseguirono costanti, lenti e spietati. Ventesima posizione. Diciassettesima. Quattordicesima.
Erano arrivati alla decima: Wilmer. Era un giovane alto e magro, la testa del tutto glabra. O si rasava tutti i giorni, o era prematuramente calvo. Era sempre affamato e sempre sveglio. Il resto di loro ci aveva scherzato sopra: Wilmer imbrogliava, si rifiutava di mettersi a dormire fino a quando tutti gli altri non si erano assopiti. Poi, dormiva più in fretta degli altri, il che non era leale. Wilmer accettava tutto questo di buonumore. Poteva permetterselo. Avendo bisogno di meno ore di sonno degli altri, poteva passare più tempo a prepararsi per le prossime prove.
Adesso si distese sulle pietre e chiuse gli occhi. Aveva sempre detto che quando quello stadio delle prove fosse finito, avrebbe dormito per dieci giorni di seguito. La lista avanzò fino al numero cinque. Era Sy. Il giovane dai capelli scuri appariva più freddo che mai, senza nessun segno visibile di piacere o di sollievo. Era in piedi, con la testa leggermente inclinata, cullando il gomito sinistro, quello debole, con la mano destra, senza guardare nessuno.
Peron senti lo stomaco che gli si serrava. Aveva superato la posizione che si era aspettato di occupare, adesso era a un livello al quale soltanto le sue speranze più avventate lo avevano portato.
Quarto posto: Elissa. La ragazza lanciò un grido di gioia. Peron sapeva che avrebbe dovuto sentirsi soddisfatto, ma adesso non c’era in lui nessuno spazio per il piacere. Serrò le mani l’una sull’altra per impedire che tremassero, e aspettò. La proiezione era statica, non cambiava mai. Il colosseo pareva colmo di un terribile silenzio, anche se Peron sapeva che la folla stava applaudendo freneticamente.
Terzo posto. Le lettere comparvero lentamente: P-e-r-o-n d-i T-u-r-c-a-n-t-a. Peron senti i polmoni che gli si rilassavano con un lungo rantolo torturante. Senza esserne conscio, aveva trattenuto il fiato per parecchi secondi. Ce l’aveva fatta! Il terzo posto. Il terzo posto! Nessuno della sua regione si era mai classificato così in alto, mai in quattrocento anni di giochi, durante i Planetfest.
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