Tutte le conversazioni erano cessate. Tutti si rendevano conto dei significato di quel momento. Stavano guardando La Nave, la struttura mistica, quasi mitica, che aveva trasportato i loro antenati attraverso il vuoto dalla Terra, da un luogo che era così lontano nel tempo e nello spazio da trovarsi al di là di ogni immaginazione.
— Dateci una buona occhiata — disse Gilby alla fine. La sua lezione continuava, ma il suono della sua voce era diverso. — Quella è stata la sola casa dei vostri antenati per quindicimila anni, il triplo del tempo che noi finora abbiamo vissuto su Pentecoste. La Nave ha vagato da sistema a sistema senza mai trovare un luogo che potesse costituire una nuova casa. Ha visitato quarantanove soli e cento pianeti, e dovunque c’erano mondi ghiacciati e morti, o deserti ardenti. Cass era il cinquantesimo sistema, e trovarono Pentecoste: era proprio adatto a sostenere la vita umana. Il paradiso, eh? Sapete cosa successe allora?
Tutti rimasero silenziosi, sopraffatti dalla strapotente presenza della Nave che riempiva sempre di più lo schermo davanti a loro.
— Si misero a discutere — proseguì Gilby. Smise di giocherellare con la propria spallina per toccarsi il cinturone con la pistola. — Nella Nave si misero a litigare per decidere se dovevano o no lasciarla, e atterrare su Pentecoste. La Nave era la casa e metà della gente non voleva lasciarla. Ci vollero duecento anni prima che avvenisse il trasferimento finale sul pianeta e La Nave venisse lasciata deserta. L’ultimo atto fu quello di spostarla su un’orbita più alta, dove avrebbe potuto girare per sempre intorno a Pentecoste.
Si erano avvicinati a un paio di chilometri e stavano spiraleggiando lentamente intorno all’immenso scafo metallico. La superficie era ruvida, opaca, il segno di eoni d’impatti meteoritici e di raschiamenti di polvere interstellare.
— Nessuna possibilità di salire a bordo? — domandò Wilmer. Come un bambino aveva premuto il naso contro l’oblò trasparente.
Gilby sorrise. — È un santuario. I visitatori non sono permessi. I viaggiatori originari hanno stabilito soltanto una situazione in cui La Nave potrebbe venir riaperta e utilizzata di nuovo. Ed è un situazione alla quale preferiamo non pensare. La Nave verrà riaperta e rinfrescata se mai le armi nucleari dovessero venir usate su Pentecoste.
Indicò l’oblò. — Guardate là fuori adesso, e fissatela nella vostra memoria. Non la vedrete un’altra volta.
Mentre parlava, avvertirono un’accelerazione crescente che li schiacciò all’indietro contro i sedili. Il loro vascello spaziale oltrepassò La Nave, che rimpicciolì rapidamente. Stavano puntando ancora di più verso l’esterno, verso il vasto serraglio di pianeti che ruotavano intorno e al di là di Cassay, e insieme costituivano i Cinquanta Mondi.
Visto attraverso i migliori telescopi della Terra, il sistema di Eta Cassiopeae era stato soltanto due punti gemelli di luce. Appariva come una sorprendente binaria rosso e oro, uno scintillante gioiello di topazio e granato a meno di venti anni-luce di distanza da Sol. Non c’era ingrandimento da parte degli osservatori della Terra che potesse fornire qualche particolare strutturale dei suoi componenti stellari. Ma per i sensori multipli di Eleonora , che seguiva una lunga traiettoria curva rallentata verso il componente più luminoso di Cassiopea-A, si era rivelato un sistema dalla stupefacente complessità.
Cassiopea-A era una stella giallo-oro, tipo stellare GO V. Un po’ più luminosa e un po’ più massiccia di Sol. La sua compagna era una nana rossa, meno massiccia e venticinque volte meno luminosa.
Densa, rosso-ruggine e povera di metalli, Cassiopea-B manteneva la propria distanza dalla compagna più luminosa. Non si avvicinava mai a meno di dieci miliardi di chilometri. Viste dai pianeti vicini a Cass-A, le deboli e rugginose ceneri della compagna apparivano troppo deboli per avere una qualunque influenza. Ma iì campo gravitazionale aveva una vasta estensione. Gli effetti gravitazionali di Cass-B esercitavano una profonda influenza sull’intero sistema. La famiglia planetaria che ruotava intorno a Eta Cassiopeae si rivelò un autentico zoo con una stupefacente varietà di esemplari. Più di cinquanta pianeti traballavano e giravano intorno alla coppia di stelle. Le loro orbite mostravano tutte le inclinazioni e le eccentricità possibili. I pianeti entro qualche centinaio di milioni di chilometri da Cass-A mostravano una regolarità orbitale e dei cicli stabili, con periodi di rivoluzione ben definiti e orbite quasi circolari. Ma i mondi esterni non mostravano una simile regolarità. Alcuni di loro seguivano delle orbite che avevano sia Cass-A che Cass-B come fuochi, e i loro anni potevano durare parecchi secoli terrestri. Altri, imprigionati in risonanza con entrambe le primarie, intessevano delle curve complicate attraverso lo spazio, senza mai ripetere l’identico disegno. Talvolta viaggiavano in solitario isolamento a milioni di chilometri da entrambe le stelle; talvolta si tuffavano vicino alla cauterizzante superficie di Cass-A.
I viaggiatori della Eleonora avevano concluso che un incontro ravvicinato con un pianeta gigante aveva avuto la sua parte nell’accrescere la complessità del sistema. Milioni di anni prima un gigante gassoso si era avvicinato troppo. Aveva sfiorato la stessa fotosfera di Cass-A. Prima i gas volatili si erano dissolti, poi le irresistibili forze mareali avevano causato il completo sconvolgimento del nucleo rimasto. Gli ejecta di quella disintegrazione erano stati scagliati in tutte le direzioni, per diventare parte dei Cinquanta Mondi.
Per i visitatori che si avvicinavano al sistema, le sregolate variazioni dei mondi esterni erano parse dapprima dominare qualunque altra cosa. Il complesso binario di Cassiopea era apparso un candidato assai improbabile per l’attenzione umana. Là dove le orbite variano all’impazzata, la vita non ha la possibilità di svilupparsi. I cambiamenti sono troppo estremi. Le temperature giungono a fondere lo stagno, poi solidificano l’azoto. Una volta che s’insedia la vita, questa è tenace, e può adattarsi a molti estremi. Ma c’è una fragilità nella creazione originaria che richiede un lungo periodo di variazioni strettamente controllate.
Le sonde automatiche erano state spedite fuori da Eleonora , ma soltanto perché questa era la procedura seguita da molti secoli. Le prime a tornare confermarono l’impressione di mondi spogli e cicatrizzati, desolati e privi di vita. Ma quando i rapporti elettronici furono ritrasmessi dalla sonda lanciata verso Pentecoste, parvero fin troppo buoni per esser veri. Qui c’era un’orbita planetaria stabile, vicina a un cerchio perfetto, a centonovanta milioni di chilometri da Cass-A. E Pentecoste era un vero analogo della Terra, con vegetazione nativa e vita animale, temperature accettabili, un’inclinazione dell’asse di diciotto gradi, una giornata di ventiquattr’ore, un’atmosfera respirabile, un’estensione oceanica del quaranta per cento, una massa che era inferiore a quella della Terra soltanto del dieci per cento, e un periodo orbitale lungo soltanto il quattro per cento in più di un anno terrestre.
Era difficile credere che Pentecoste potesse esistere in mezzo alla stordente variabilità costituita dai Cinquanta Mondi. Ma le sonde non mentivano mai. Finalmente, dopo eoni passati a viaggiare tra le stelle, e interminabili delusioni, l’umanità aveva trovato una nuova casa.
I Cinquanta Mondi contenevano diversità enormi. Peron lo sapeva. Erano di ogni dimensione, forma, orbita e ambiente. Non ce n’erano due che sembrassero simili anche alla lontana, neppure i pianeti gemelli del doppietto di Dobelle. E la maggior parte di essi non andavano d’accordo con l’idea che la gente aveva di quello che poteva essere un posto desiderabile per farci una vacanza e ancora meno il luogo per un’altra prova.
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