Esaminò con attenzione i sistemi di radici di quelle piante, tutti assai diversi tra loro, e prelevò con cura un’ulteriore quantità di terreno dai punti dove prima spuntava ciascuna delle piantine, in modo che nel vivaio, sotto di esse, ci fosse un sufficiente spessore di terreno. Uno alla volta trasferì nel vivaio i suoi esemplari, mettendoli forse un potroppo vicini tra loro per accontentare un giardiniere terrestre, ma piantandoli saldamente nel terreno, in modo che rimanessero in piedi, così come lo erano prima. Una volta o due guardò con desiderio i cespugli più grandi, ma rinunciò a prenderli. Erano troppo alti, e un breve controllo gli mostrò che avevano le radici troppo lunghe.
Aveva riempito circa un terzo della superficie quando arrivò la famiglia Wing. Roger ed Edie erano piuttosto avanti rispetto agli altri; i due bambini piccoli sarebbero arrivati probabilmente insieme a loro se quel luogo non fosse stato così lontano da casa. Invece, dato che cominciavano a essere un po stanchi, arrivarono con i genitori.
Ken non li sentì sopraggiungere; il microfono della sonda non era molto sensibile, e questa volta Roger non emise nessun richiamo nel vedere l’alieno. I ragazzi si avvicinarono quanto più poterono, cercando di capire cosa stesse facendo. L’attività di Ken era abbastanza ovvia, ma fu soltanto dopo avere soddisfatto la sua curiosità che Roger lo salutò.
«Siete in anticipo» disse.
«Perché non mi avete avvertito che stavano arrivando?» li interruppe dall’altoparlante la voce di Laj Drai.
«Non li ho visti; stavo lavorando» rispose con calma Ken. «Però, se volete che entriamo in comunicazione con questi indigeni, vi prego di non dire niente. Non sono in grado di capire quando sono io quello che parla, e un numero eccessivo di suoni finirebbe per confonderli.»
S’interruppe, e osservò attentamente il resto del gruppo di esseri umani che si avvicinava. La dimensione della signora Wing e di suo marito lo sorprese un poco; gli occorsero alcuni secondi per capire che gli individui che aveva visto per primi erano probabilmente dei bambini. Gli adulti erano molto più impressionanti, se uno si lasciava impressionare dalla dimensione; Ken si disse che ciascuno di essi doveva pesare più di un sarriano. Almeno il venticinque per cento in più, supponendo che riempissero totalmente le loro strane coperture e che la loro carne avesse pari densità.
Inoltre, nel modo di comportarsi degli indigeni più adulti c’era qualcosa di autorevole; una serietà di intenti, una decisione che, si disse Ken, mancava negli esemplari immaturi. Per la prima volta, Ken pensò agli indigeni della Terra come a delle creature «probabilmente civili».
E senza dubbio le azioni dell’indigeno più massiccio indicavano la presenza di una mente ben disciplinata. Wing padre non perse tempo. Sedette davanti a Ken, tirò fuori un taccuino su cui aveva già scritto le parole che Roger diceva di avere insegnato all’alieno e le passò in rassegna. Osservando Ken, le pronunciò una alla volta; lo scienziato rispose indicando ogni volta l’oggetto corrispondente.
Accertatosi che capiva quelle parole, l’uomo diede subito inizio a una lezione di lingua, con una precisione di intenti e un’efficacia d’esecuzione che indussero Ken a pensare a lui come a un fratello spirituale prima ancora che iniziasse tra loro una vera e propria comunicazione. A questa non si giunse in un colpo solo, ma occorse un tempo assai inferiore a quello che molti potrebbero credere necessario. Come potrebbe confermare chiunque insegni per professione la propria lingua agli stranieri, di gran parte delle cose di tutti i giorni si può discutere soddisfacentemente servendosi di un vocabolario inferiore alle mille parole. La situazione in cui si trovava Ken non era di tutti i giorni, in nessun senso del termine, ma tra l’abilità della signora Wing nel disegno e la disponibilità dei bambini a illustrare praticamente le azioni richieste, i progressi da entrambe le parti furono soddisfacenti.
Per l’intera lezione, Ken era rimasto nello stesso punto, e aveva riscaldato la roccia su cui posava i piedi; di conseguenza passarono almeno tre ore prima che sentisse la prima fitta di dolore causata dal freddo. Quando la sentì, comunque, gli venne in mente che da quando erano arrivati gli indigeni non aveva più riempito la sua scatola di campioni di vegetazione; e, dopo avere educatamente atteso che Wing padre terminasse una spiegazione, indicò la zona vuota. L’uomo annuì, e gli mostrò con la mano la roccia.
Da quando era iniziata la lezione, Ken non aveva più prestato attenzione alle azioni dei due bambini più piccoli; aveva pensato che giocassero, come facevano anche i bambini della sua razza. Adesso si sorprese nel vedere posate sulle rocce, a poca distanza dal vivaio, alcune decine di piante delle più varie forme e dimensioni. Evidentemente i bambini avevano visto che cosa stava facendo, e avevano deciso di aiutarlo. Con crescente sorpresa, scoprì che tra gli esemplari non c’erano duplicati. Quella razza doveva davvero essere intelligente; non aveva visto nessuno degli adulti dare ordini. Con un’espressione orale di gratitudine che certamente non sarebbe stata compresa dai suoi compagni, cominciò goffamente a infilare le piante nella cassa, servendosi della sua striscia di metallo. Quando raccolse la prima, la indicò con il manipolatore libero e disse:
«Parola!»
Tutti capirono cosa volesse dire, e Roger rispose: «Felce.»
Dopo avere osservato per un istante quanto fossero goffe le sue azioni, Wing padre gli indicò di allontanarsi dalla cassa, e mise al lavoro i bambini. Ken li osservò con grande interesse, perché per la prima volta notava quanto fosse efficace, come organo prensile, la mano umana. In particolare, le agili dita delle ragazze infilavano saldamente le piantine nel terreno, a una velocità e con una facilità tali che lui stesso non sarebbe riuscito a uguagliarle, neppure senza l’impedimento dell’armatura e della temperatura diversa.
Ogni volta che prendevano un esemplare, lo chiamavano con il suo nome. In seguito risultò che qualche nome era stato usato più volte, anche per piante che si assomigliavano soltanto superficialmente, o che non si assomigliavano affatto. Gli occorse qualche tempo per risolvere quella sorta di indovinello, anche se sapeva già che la lingua degli indigeni comprendeva sia i nomi individuali sia quelli di genere.
Pochissimi minuti furono sufficienti per coprire di piantine ben sistemate l’intera base della scatola; e non una sola volta Ken udì la parola così importante per Laj Drai che li ascoltava. Quanto a lui, preferiva così: la menzione del «tafacco» da parte di un indigeno in un posto dove Drai poteva udirlo avrebbe intralciato gravemente i piani di Ken.
Anche se aveva già prelevato dal vano di carico della sonda i contenitori con gli esemplari raccolti durante la sua visita precedente, fu soltanto nel rimettere a posto i contenitori vuoti che Ken scoprì la radio collocata laggiù da Feth. Per un momento si irritò sia con se stesso che con il meccanico, perché si era ormai dimenticato dell’avviso che Feth gli aveva rivolto alla partenza; poi si disse che era meglio così. Se Drai aveva continuato ad ascoltare fin dall’inizio della lezione di lingua, ormai doveva essere convinto che Ken non aveva grilli per la testa. Non c’erano state interruzioni che potessero insospettirlo.
Mentre nella mente di Ken passavano questi pensieri, anche Wing padre stava facendo le sue riflessioni. Sembrava evidente che lo straniero… non si erano ancora comunicati i rispettivi nomi… era sul piede di partenza. Quel viaggio era stato un’uscita abbastanza piacevole per la famiglia, questo è vero; ma una ripetizione quotidiana sarebbe stata un po troppo anche per una cosa piacevole, e a casa c’erano molti oggetti che potevano venire utili nelle lezioni di lingua. Pareva dunque giunto il momento di compiere il tentativo che in precedenza aveva suggerito agli altri membri della famiglia: cercare di convincere l’alieno ad atterrare più vicino alla casa.
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