Hal Clement - Pianeta di ghiaccio

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Pianeta di ghiaccio: краткое содержание, описание и аннотация

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Per la famiglia Wind, i monti dell'Ovest americano sono un ambiente di vita ideale e una fonte di benessere, dopo che babbo Wind ha scoperto la sua miniera d'oro segreta. Per i Sarriani, abituati a respirare zolfo volatile, il Pianeta di Ghiaccio è uno dei tanti mondi inabitabili dell'universo. Perfino le loro navette automatiche inviate verso le pianure azzurre che formano gran parte del pianeta cessano subito le comunicazioni. Di parere diverso sono invece alcuni contrabbandieri che, dalla loro base su Mercurio, da quasi trent'anni ottengono dal Pianeta di Ghiaccio preziose quantità di una potentissima droga allucinogena in cambio di modeste quantità di metalli preziosi. Tutto potrebbe ancora filare per il meglio (secondo il metro di questa Cosa Nostra dello spazio) se un giorno le autorità di Sarr non infiltrassero un loro scienziato nella banda di spacciatori, e se finalmente le barriere di gelo che isolano due culture aliene non crollassero in qualche modo. Per la prima volta in Italia uno storico romanzo classico firmato dal maestro dell'esobiologia.

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Per qualche minuto parve che Lee intendesse rimanere a sorbirsi quelle chiacchiere, ma Feth ebbe all’improvviso l’ispirazione di chiedere al pilota la sua opinione su qualche particolare. Dopo un po di quel trattamento, Ordon Lee tornò a veleggiare verso la sua cabina di comando.

«Non è stupido» commentò Feth, guardando la sua figura allontanarsi «ma è tanto insicuro delle sue conoscenze! Allora, cosa volete nascondere a Drai?»

«Mi è venuto in mente» disse Ken «che il nostro datore di lavoro vorrà ascoltare tutto quello che si dirà sul Pianeta Tre, non appena instaureremo una decente comunicazione con gli indigeni. Ho delle vaghe idee sulle sue possibili intenzioni riguardo a quelle creature, e preferirei che Drai non udisse tutte le nostre conversazioni.

«Poiché al momento non abbiamo il modo di evitarlo, vorrei sapere se è possibile collegarmi all’altoparlante della sonda senza che le mie parole giungano qui. La cosa migliore, suppongo, sarebbe quella di poter accendere e spegnere il contatto a volontà, in modo da fargli ascoltare quanto basta perché non abbia sospetti.»

«Penso che si possa fare. D’accordo» disse lentamente il meccanico. «Temo che occorra più lavoro del previsto, però. Non sarebbe più semplice portare con voi, nella sonda, un altro trasmettitore? Dalla tuta potete collegarvi con il trasmettitore e il ricevitore, e potete passare a volontà da uno all’altro degli altoparlanti.»

«E non si accorgeranno della mancanza dell’apparecchio?»

«No, a meno che Drai non cominci a prestare molta più attenzione che in passato alle scorte di materiale elettronico.»

«D’accordo, facciamo come dite. Passiamo a un altro argomento. Ho già parlato, mi pare, di sospendere l’armatura verticalmente, invece che orizzontalmente, in modo da farmi trasportare invece di dover trascinare tutto quel peso sotto una forte gravità. Vero?»

«Sì. Non ci sono problemi.»

«La nuova sistemazione avrà un ulteriore effetto positivo. L’unico disagio da me provato sul pianeta è stato il freddo ai piedi, diversamente da quanto temevamo. Se sarò sospeso alla sonda, non dovrò toccare il terreno, e non ci saranno perdite di calore per conduzione.

«Un’ultima cosa che mi è venuta in mente riguarda la guida della sonda. Non si potrebbe costruire un quadro di comando così piccolo che io possa utilizzarlo per muovermi da solo sulla superficie del pianeta, invece di dirvi ogni volta dove voglio essere spostato?»

Feth aggrottò la fronte. «Ho pensato anche a questo, mentre cercavo di tenere la sonda accanto a voi» disse. «A dire il vero, dubito di poterlo costruire… non voglio dire che non si possa fare un quadro di comando così piccolo: dico solo che non posso farlo con i materiali che ho a disposizione. Comunque, vedrò cosa si potrà combinare quando ritorneremo su Uno. Suppongo che non abbiate niente in contrario a comunicare a Drai questi due ultimi suggerimenti.»

«Niente in contrario» disse Ken. «Queste notizie dovrebbero farlo felice. Pensate che sia troppo sperare che sia disposto a scendere laggiù di persona, una volta accertato che il viaggio non comporta rischi?»

Nell’udire il suggerimento dello scienziato, Feth gli rivolse un aperto sorriso. «Temo che per instillargli tanta fiducia nei suoi simili» disse «ci voglia uno psicologo assai migliore di noi. E poi, a cosa potrebbe servire? Non ci sarebbe niente da guadagnare a lasciarlo laggiù, anche se la cosa suona molto piacevole, ed è inutile minacciarlo, perché non si sognerebbe mai di mantenere una promessa sgradevole che gli è stata estorta con un ricatto.»

«Non mi aspettavo molto dall’idea» ammise Ken. «Benissimo, visto che siamo d’accordo sul resto, è meglio portare quei campioni su Uno, prima che congelino, e allestire un vivaio. Se riusciremo a coltivare qualcosa, Drai per qualche tempo starà tranquillo.»

La sonda che aveva riportato Ken e i suoi campioni galleggiava ai limiti del campo di repulsione fin dal momento in cui Ken si era staccato da essa. Feth ritornò in cabina di comando e cominciò a pilotare la piccola nave in modo da farla accostare allo scafo della nave più grande, perché venisse trascinata anch’essa dal campo propulsivo della Karella; e Lee, dietro richiesta di Ken, si diresse di nuovo verso il Sole.

A un migliaio di chilometri al di sopra della superficie di Mercurio, la sonda venne di nuovo lasciata libera, e Feth la fece scendere lentamente fino a un punto d’atterraggio posto nei pressi delle caverne: in quella zona era stata montata in passato una telecamera, e Feth se ne servì per orientarsi durante la discesa. Feth preparò le cose in modo che circa un metro della parte anteriore della sonda rimanesse al sole, mentre il resto era all’ombra di una grande massa di roccia. Questa disposizione, secondo lui, doveva mantenere all’incirca la temperatura desiderata, almeno per qualche ora.

Non appena la Karella fu scesa a terra, Feth e Ken si affrettarono a recarsi nel laboratorio. Laggiù venne rapidamente preparata una cassa metallica che misurava alla base un metro quadro e che era alta una sessantina di centimetri. Feth saldò attentamente tutti gli spigoli e controllò la loro tenuta sotto la piena pressione atmosferica. Prepararono anche un coperchio di vetro, che venne reso ermetico mediante la plastica al silicone per uso nel vuoto che veniva di solito impiegata nelle astronavi; anche il coperchio venne controllato a una pressione atmosferica corrispondente a milleduecentocinquanta millimetri di mercurio. Erano intenti a costruire una seconda cassa, simile alla prima ma grande a sufficienza per contenerla, quando fece la sua comparsa Drai. A quanto pareva, aveva finalmente notato che la nave aveva fatto ritorno.

«Bene, ho saputo da Lee che avete effettivamente parlato con un indigeno. Ottimo lavoro, ottimo. Avete scoperto qualcosa su come fabbricano quel loro tafacco?»

«Non abbiamo ancora imparato a sufficienza la loro lingua» rispose Ken, cercando di non sembrare sarcastico. «E seguivamo una linea d’indagine leggermente diversa.»

Indicò il vivaio che stavano costruendo. Drai lo guardò e aggrottò la fronte, come se cercasse di indovinarne lo scopo.

«È un piccolo ambiente in cui vogliamo riprodurre le condizioni del Pianeta Tre; una sorta di esperimento» spiegò. «La cassa più grande sta all’esterno, e tra l’una e l’altra facciamo il vuoto. Feth dice che con uno dei refrigeratori a fluoruro di solfo da lui costruiti qualche anno fa riuscirà a mantenerlo alla temperatura del pianeta. Inoltre abbiamo prelevato un campione di aria del Pianeta Tre sufficiente a riempire il doppio di quel volume, a temperatura e pressione locali.»

Drai continuava a mostrarsi perplesso. «Ma non è un po piccolo per uno degli indigeni?» chiese. «Lee dice che dalla vostra descrizione sono alti un metro e mezzo. E non mi ha accennato a piani di questo tipo.»

«Indigeni?» fece Ken. «Credevo che voleste coltivare la vegetazione del Pianeta Tre. Cosa ce ne facciamo, qui, di un indigeno?»

La faccia di Drai si rischiarò. «Oh, capisco» disse. «Non sapevo che aveste già raccolto campioni di vegetazione. Comunque, ora che penso alla cosa, avere con noi un indigeno o due potrebbe anche essere utile. Se è una razza civile, potremmo servircene per farci dare uno stupendo riscatto in tafacco… e potremmo impiegarli nelle caverne, dopo averle messe nelle giuste condizioni ambientali, per prendersi cura del tafacco e per raccoglierlo. Grazie per avermi suggerito l’idea.»

«Finora» obiettò Ken «non so fin dove esattamente giunga l’intelligenza degli indigeni, ma non credo che siano talmente stupidi da entrare in qualche trappola da noi allestita. Se la cosa non vi disturba, preferirei lasciare questo espediente come ultima risorsa… sarà già abbastanza complicato prendere dai loro attuali contenitori il terriccio e i semi da me raccolti e trasferirli in questo vivaio senza esporli alla nostra atmosfera o al vuoto dello spazio. Far entrare un indigeno in una di quelle caverne sarebbe cento volte più difficile.»

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