«Non è quello che hai detto a me, a volte» sorrise l’accademico Vasili. «In ogni modo, Woody… sentiamo di che si tratta.»
«Ecco che cosa propongo. Lasciamo che Chandra faccia a modo suo, dopodiché vi saranno due sole possibilità.
«Primo: Hal farà esattamente quello che noi vogliamo — vale a dire controllerà la Discovery durante i primi due periodi di accensione dei propulsori. Ricordate che il primo non è critico. Se qualcosa dovesse andare storto durante l’allontanamento da Io, vi sarebbe tutto il tempo di apportare correzioni. Inoltre avremo così il modo di constatare validamente la disponibilità di Hal… a collaborare.»
«Ma il sorvolo ravvicinato di Giove? È questo che conta realmente. Non soltanto consumeremo laggiù quasi tutto il propellente della Discovery, ma il calcolo dei tempi e dei vettori di spinta dovrà essere assolutamente esatto.»
«Non sarebbe possibile passare al comando manuale?»
«Inorridirei dovendo tentare. Un errore anche minimo e o bruceremmo o ci trasformeremmo in una cometa a lungo periodo. Di ritorno qui soltanto tra un paio di migliaia di anni.»
«Ma se non vi fosse alcun’altra alternativa?» insistette Floyd.
«Be’, supponendo di poter passare tempestivamente al comando manuale, e di disporre di una valida serie di orbite alternative calcolate in precedenza… uhm, forse riusciremmo a cavarcela.»
«Conoscendola, Vasili, sono certo che questo «riusciremmo» significa «riusciremo». Il che mi conduce alla seconda possibilità cui ho accennato. Se risultasse una benché minima deviazione di Hal dal programma… dovremmo intervenire.»
«Vuoi dire… disinserirlo?»
«Precisamente.»
«La cosa non è risultata tanto facile l’ultima volta.»
«Da allora abbiamo imparato non poche lezioni. Lasciate fare a me. Vi garantisco che posso «darvi il comando manuale in mezzo secondo.»
«Non esiste alcun pericolo che Hal sospetti qualcosa?»
«Ora sta scivolando nella paranoia, Vasili. Hal non è umano fino a questo punto. Ma Chandra lo è… volendo concedergli il beneficio del dubbio. Ci dichiareremo tutti completamente d’accordo con il suo piano, diremo di essere spiacenti per aver sollevato obiezioni e di avere l’assoluta certezza che Hal si renderà conto del nostro punto di vista. D’accordo, Tanya?»
«D’accordo, Woody. E mi congratulo con lei per la sua preveggenza; quel piccolo dispositivo è stato un’ottima idea.»
«Quale dispositivo?» domandò Vasili.
«Te lo spiegherò uno di questi giorni. Mi spiace, Woody, ma questo è tutto lo Shemakha che mi resta. Voglio conservarlo… fino al momento in cui saremo in orbita verso la Terra.»
Nessuno crederebbe mai a una cosa simile senza le mie fotografie, pensò Max Brailovsky, orbitando intorno alle due astronavi a una distanza di mezzo chilometro. Sembra quasi comicamente indecente, come se la Leonov stesse violentando la Discovery. E, ora che stava pensando a questo, la tozza e compatta astronave russa sembrava decisamente maschile se paragonata alla delicata e snella nave spaziale americana. Ma quasi tutte le manovre di attracco hanno aspetti decisamente sessuali, ed egli ricordò che uno dei primi cosmonauti — del quale non riuscì a rammentare il nome — era stato rimproverato per la sua troppo vivida scelta delle parole nel momento… ehm… culminante della sua missione.
A quanto poteva arguire dal suo attento esame, tutto era in ordine. Il compito di posizionare le due astronavi e di collegarle saldamente aveva richiesto più tempo del previsto. Forse non sarebbe stato affatto possibile senza uno di quei colpi di fortuna che talora — ma non sempre — favoriscono chi li merita. Sulla Leonov erano stati provvidenzialmente caricati svariati chilometri di nastro fatto con filamenti di carbonio, non più spesso del nastrino con il quale una fanciulla potrebbe fermarsi i capelli, eppur capace di sostenere uno sforzo equivalente a molte tonnellate. Era stato fornito per consentire di applicare strumenti al Grande Fratello qualora tutti gli altri espedienti non avessero avuto successo. Ora avvolgeva la Leonov e la Discovery nel loro tenero amplesso abbastanza saldamente, per impedire vibrazioni e scuotimenti con ogni accelerazione, fino a quel decimo di gravità che era il massimo raggiungibile alla piena potenza dei propulsori.
«Vuoi che controlli qualcos’altro prima di rientrare?» domandò Max.
«No» rispose Tanya. «Tutto sembra essere a posto. E non possiamo perdere altro tempo.»
Questo era vero. Se il misterioso avvertimento doveva essere preso sul serio e tutti, ormai, lo prendevano davvero sul serio avrebbero dovuto iniziare la manovra di fuga entro le successive ventiquattr’ore.
«Bene, allora riporto Nina nella scuderia. Scusami per quello che sono costretto a fare, cara capsula.»
«Non ci avevi mai detto che Nina era una cavalla.»
«Non lo ammetto nemmeno adesso. E mi duole doverla abbandonare nello spazio, soltanto per assicurarci pochi miserabili metri in più al secondo.»
«Tra poche ore potremo essere lietissimi di esserceli assicurati, Max. E, in ogni modo, esiste sempre la possibilità che qualcuno venga qui, un giorno, a ricuperarla.»
Ne dubito moltissimo, pensò Max. E forse, tutto sommato, era opportuno abbandonare lì la piccola capsula spaziale, come elemento permanente della prima visita dell’uomo nel regno di Giove.
Mediante brevi impulsi, accuratamente intervallati, dei getti di guida, egli riportò la Nina accanto alla grande sfera del modulo principale di mantenimento della vita della Discovery; i suoi colleghi, sul ponte di volo, lo sbirciarono appena mentre passava accanto alle finestre ricurve. Il portello spalancato della rimessa capsule sbadigliava davanti a lui, ed egli manovrò con delicatezza la Nina fino al proteso braccio di attracco.
«Tiratemi dentro» disse, non appena le ganasce di bloccaggio si furono chiuse con uno scatto. «Io dico che questa è stata un’attività extraveicolare ben manovrata. Rimane ancora un intero chilogrammo di propellente; sarà sufficiente per portar fuori la Nina per l’ultima volta.»
Normalmente, non v’era alcunché di drammatico nell’accensione dei propulsori quando ci si trovava nello spazio profondo; niente di simile alla fiammata e al tuono — e ai pericoli sempre presenti — del decollo dalla superficie di un pianeta. Se qualcosa andava storto e se i propulsori non fornivano tutta la spinta necessaria… be’, si poteva di solito rimediare protraendo lievemente l’accensione. Oppure si poteva aspettare di aver raggiunto il punto opportuno dell’orbita e ritentare.
Ma questa volta, mentre il conteggio alla rovescia andava avvicinandosi allo zero, la tensione a bordo di entrambe le astronavi divenne quasi palpabile. Tutti sapevano che quello era il primo vero collaudo della docilità di Hal; ma soltanto Floyd, Curnow e gli Orlov conoscevano l’esistenza di un sistema alternativo. Essi stessi tuttavia non erano certi che potesse funzionare.
«Buona fortuna, Leonov» disse il Controllo Missione, dopo aver calcolato il tempo affinché il messaggio giungesse cinque minuti prima dell’accensione. «Speriamo che tutto funzioni alla perfezione. E, se non vi è di troppo disturbo, potreste per favore scattare alcune fotografie ravvicinate dell’equatore alla longitudine 115, passando intorno a Giove? Ve là una curiosa macchia scura — presumibilmente una sorta di rigonfiamento perfettamente rotondo, del diametro di quasi mille chilometri. Sembra l’ombra di un satellite, ma non può esserlo.»
Tanya diede un breve «ricevuto» che riuscì a far capire, pur con un numero considerevolmente ridotto di parole, il più profondo disinteresse da parte sua per la meteorologia di Giove, in quel momento. Il Controllo Missione dimostrava, a volte, di essere addirittura geniale nella mancanza di tatto e nell’intempestività.
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