Arthur Clarke - 3001 Odissea finale

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3001 Odissea finale: краткое содержание, описание и аннотация

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In «3001 Odissea finale» Clarke conclude con un ultimo affascinante episodio la leggendaria saga di fantascienza iniziata con «2001 Odissea nello spazio» facendo fare al lettore un balzo di mille anni nel futuro e rivelandogli una verità che possiamo comprendere soltanto adesso.
Fondendo mirabilmente fantasia e precisione scientifica Clarke ci regala un altro indimenticabile capolavoro sui misteri insondabili dell'universo e sull'eterno, appassionante confronto tra l'uomo e l'ignoto.
Arthur C. Clarke è considerato fra i più grandi scrittori di fantascienza di tutti i tempi. Personalità straordinaria, non solo nel campo della narrativa, scrisse un articolo nel 1945 che portò all'invenzione della tecnologia satellitare. Si spegne il 19 marzo 2008 a Colombo, nello Sri Lanka che tanto amava e in cui viveva da decenni.

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«Grazie, professor Thirugnanasampanthamoorthy», disse la dottoressa Oconnor, senza perdere un colpo. «Le spiacerebbe spiegare meglio?»

«Certamente. Se il monolito è davvero, come tutti sembrano pensare, una macchina senza consapevolezza — e di conseguenza con una limitata capacità di autocontrollo — forse abbiamo già l’arma con la quale sconfiggerlo. Chiusa a chiave nella Caverna.»

«E un modo per trasportarla… Halman!»

«Esattamente.»

«Un momento, dottor Thi… Non sappiamo nulla, assolutamente nulla, dell’architettura del monolito. Come possiamo essere sicuri che una cosa progettata dalla nostra primitiva specie possa essere efficace contro di esso?»

«Non si può… ma ricordate questo. Per quanto sia sofisticato, il monolito deve obbedire esattamente alle stesse leggi universali di logica formulate da Aristotele e Boole secoli fa. Ecco perché potrebbe — anzi, dovrebbe! — essere vulnerabile alle cose chiuse nella Caverna. Dobbiamo assemblarle in modo che almeno una di esse funzioni. È la nostra unica speranza, a meno che qualcuno non ci suggerisca un’alternativa migliore.»

«Scusatemi», intervenne Poole, perdendo alla fine la pazienza.. «Qualcuno è così gentile da dirmi che cosa sia e dove si trovi questa famosa Caverna di cui state parlando?»

36. LA CAMERA DEGLI ORRORI

La storia è piena di incubi, alcuni naturali, alcuni creati dall’uomo.

Alla fine del XXI secolo, la maggior parte dei flagelli naturali — vaiolo, peste nera, Aids, i virus orrendi nascosti nella giungla africana — era stata eliminata o almeno tenuta sotto controllo dai progressi della medicina. Tuttavia, non era saggio sottovalutare l’ingegnosità di Madre Natura, e nessuno dubitava che il futuro avrebbe riservato altre spiacevoli sorprese biologiche all’umanità.

Perciò era sembrata una precauzione sensata riservare alcuni campioni di tutti quegli orrori allo studio degli scienziati — ovviamente attentamente sorvegliati, in modo che non avessero la possibilità di diffondersi di nuovo e di portare la distruzione nel seno della razza umana. Ma come si poteva essere del tutto certi che non si verificasse un pericolo del genere?

C’era stato, comprensibilmente, un grido di allarme verso la fine del XX secolo quando avevano proposto di conservare gli ultimi virus del vaiolo nei Centri di Controllo delle Malattie degli Stati Uniti e della Russia. Per quanto fosse improbabile, c’era una possibilità limitata che potessero diffondersi in seguito a incidenti come terremoti, guasti e persino sabotaggi deliberati da parte di terroristi.

Una soluzione che accontentò tutti (tranne alcuni estremisti del movimento «Salvate il deserto lunare!») fu quella di mandarli sulla Luna e conservarli in un laboratorio posto in fondo a un pozzo lungo un chilometro scavato nella montagna isolata chiamata Pico, una delle vette più alte del Mare Imbrium, o Mare delle Piogge. E lì, con il passare degli anni, si erano aggiunti i più eminenti esempi delle deviazioni dell’ingegnosità umana… della pazzia, naturalmente.

C’erano gas e nebbiogeni che, anche a dosi microscopiche, provocavano una morte lenta o istantanea. Certi erano stati inventati da cultori di religioni i quali, pur in preda a turbe mentali, erano riusciti ad acquisire un notevole sapere scientifico. Molti di loro credevano che la fine del mondo fosse alle porte (e che, naturalmente, solo i loro seguaci si sarebbero salvati). Nel caso che Dio fosse così distratto da non eseguire quanto programmato, volevano essere sicuri di poter ovviare alla Sua malaugurata omissione.

I primi assalti di questi micidiali cultori erano stati attuati su bersagli vulnerabili come metropolitane affollate, esposizioni mondiali, stadi sportivi, concerti di musica pop… decine di migliaia di persone rimasero uccise e molte di più ferite, prima che quella follia venisse posta sotto controllo nei primi anni del XXI secolo. Come succede spesso, dal male venne il bene, perché costrinse gli organi mondiali per l’applicazione delle leggi a cooperare come non avevano mai fatto prima, poiché persino gli Stati meno propensi a collaborare e che in realtà erano stati i promotori del terrorismo politico non erano in grado di tollerare questa varietà così casuale e del tutto imprevedibile di attentati.

Gli agenti chimici e biologici usati in quegli attacchi — come anche quelli utilizzati nelle precedenti forme di guerra — andarono a raggiungere la letale collezione di Pico. Anche i loro antidoti, qualora esistessero, vennero immagazzinati insieme con essi. La speranza era che nessuna di queste sostanze dovesse mai più preoccupare l’umanità, ma erano ancora a disposizione, benché sotto stretta sorveglianza, in caso di disperate emergenze.

La terza categoria di elementi immagazzinati dentro la Caverna di Pico, benché potesse essere classificata come flagelli, non aveva mai ucciso o ferito nessuno… almeno direttamente. Prima della fine del XX secolo non se ne conosceva l’esistenza, ma in pochi decenni avevano fatto danni per miliardi di dollari e spesso rovinato esistenze con la stessa efficacia di una qualsiasi infermità del corpo. Erano le malattie che attaccavano il servo più recente e più versatile dell’umanità, il computer.

Con nomi ricavati da dizionari di medicina — virus, prioni, tenie — erano programmi che spesso imitavano, con sorprendente accuratezza, il comportamento dei loro parenti organici. Alcuni erano innocui: poco più che scherzose battute, escogitate per sorprendere o divertire gli operatori con messaggi e immagini inaspettati sui loro schermi. Altri erano molto più maligni: provocatori di catastrofi deliberatamente progettati.

Nella maggior parte dei casi il loro scopo era del tutto mercenario; erano le armi che sofisticati criminali usavano per ricattare banche e organismi commerciali che ora dipendevano completamente dall’efficacia dei loro sistemi. Non appena giungeva l’avvertimento che le loro banche dati sarebbero state cancellate automaticamente a un dato momento, se non avessero trasferito alcuni megadollari su qualche conto cifrato anonimo, la maggior parte delle vittime decideva di non rischiare disastri irreparabili. Pagavano in silenzio, spesso — per evitare imbarazzi in pubblico o anche nel privato — senza notificarlo alla polizia.

Questo comprensibile desiderio di riservatezza rendeva facile ai rapinatori in rete l’esecuzione dei loro colpi; anche quando venivano presi, erano trattati con cortesia da sistemi legali che non sapevano come comportarsi di fronte a crimini così nuovi — e, dopotutto, non avevano fatto del male a nessuno, no? Ovviamente, dopo aver scontato una breve pena, molti criminali venivano segretamente stipendiati dalle loro stesse vittime in base al vecchio assunto che i migliori guardacaccia sono proprio i bracconieri.

Questi criminali del computer erano spinti unicamente dall’avidità e certamente non intendevano distruggere le organizzazioni che saccheggiavano: nessun parassita di buon senso uccide il proprio ospite. Ma c’erano all’opera altri, e più pericolosi, nemici della società…

Di solito, si trattava di disadattati — perlopiù adolescenti maschi — che operavano da soli e, cosa del tutto ovvia, nel segreto più assoluto. Il loro scopo era quello di creare programmi che provocassero semplicemente distruzioni e confusioni, una volta disseminati per l’intero pianeta dalle emittenti via cavo e dalle reti radio oppure su supporti fisici come dischetti e CDROM. Poi si godevano il caos che ne derivava, crogiolandosi nel senso di potere che dava alle loro spregevoli psicologie.

A volte, questi geni pervertiti venivano scoperti e adottati dai servizi d’informazione nazionali per i loro scopi segreti — di solito l’ingresso nelle banche dati dei rivali. Questo utilizzo era decisamente innocuo, poiché le organizzazioni coinvolte avevano almeno un po'’ di senso di responsabilità civica.

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