«Peccato che non abbiamo una sonda da sparargli», disse Props. «Avete mai pensato a cosa sarebbe successo se il 7.794 vi avesse colpito di rimbalzo?»
«Non ci è mai successo. Ma siamo riusciti a dare agli astronomi un sacco di informazioni utili, per cui abbiamo corso volentieri il rischio… In ogni modo, non mi sembra che un centesimo di secondo valga la pena. Grazie lo stesso.»
«Capisco. Una volta visto un asteroide, li hai visti tutti…»
«Non è vero, Chips. Quando ero su Eros…»
«Come ci hai raccontato almeno una dozzina di volte…»
La mente di Poole si escluse dalla discussione fin quando non fu altro che un rumore di fondo senza alcun significato. Era tornato indietro di mille anni, rammentando l’unico momento di eccitazione della missione della Discovery prima del disastro finale. Benché lui e Bowman sapessero perfettamente che il 7.794 era solo un pezzo di roccia privo di vita e di aria, tutto ciò non aveva influenzato minimamente i loro sentimenti. Era l’unica materia solida che avevano incontrato da quella parte di Giove e l’avevano osservata con le stesse emozioni di marinai che, dopo un lungo viaggio, costeggiassero una terra sulla quale non potessero scendere.
Ruotava lentamente su se stesso e c’erano chiazze variegate di luce e di ombra distribuite a casaccio sulla superficie. A volte scintillava come una finestra lontana, quando superfici lisce o sporgenze di materia cristallina lampeggiavano nel sole…
Ricordò anche la tensione che aumentava nell’attesa di sapere se la loro mira era stata precisa. Non era facile colpire un bersaglio così piccolo, distante duemila chilometri, che si muoveva alla velocità relativa di venti chilometri al secondo.
Poi, contro la parte scura dell’asteroide, c’era stata un’improvvisa, abbagliante esplosione di luce. La piccola sonda — uranio 238 puro — aveva impattato con la velocità di un meteorite: in una frazione di secondo tutta la sua energia cinetica si era trasformata in calore. Uno sbuffo di gas incandescente era apparso brevemente nello spazio e le telecamere della Discovery avevano registrato le linee dello spettro in rapida estinzione, alla ricerca di segnature rivelatrici di atomi luminescenti. Poche ore più tardi, sulla Terra, gli astronomi conobbero per la prima volta la composizione della crosta di un asteroide. Non vi furono grosse sorprese, ma diverse bottiglie di champagne cambiarono di mano.
Lo stesso capitano Chandler non aveva partecipato granché alla discussione molto democratica che si era svolta attorno al tavolo semicircolare: a lui bastava che il suo equipaggio si rilassasse ed esprimesse le proprie sensazioni in quell’atmosfera informale. C’era solo una regola non detta: niente discorsi seri durante i pasti. Se c’erano problemi tecnici od operativi, dovevano affrontarli altrove.
Poole era rimasto sorpreso — e un po'’ scioccato — nello scoprire che l’equipaggio conosceva i sistemi del Goliath molto superficialmente. Spesso aveva fatto domande alle quali avrebbero dovuto rispondere con facilità, e invece gli avevano detto di rivolgersi alla banca dati dell’astronave. Ma dopo un po'’ capì che il tipo di addestramento intensivo ricevuto ai suoi tempi non era più possibile: i sistemi di bordo erano troppo complessi perché la mente di un uomo o di una donna potessero padroneggiarli. I diversi specialisti dovevano sapere solo quello che facevano i loro equipaggiamenti, non come lo facevano. L’affidabilità dipendeva dalle riserve e dal controllo automatico, e l’intervento umano avrebbe potuto essere più dannoso che utile.
Fortunatamente nessun intervento fu necessario durante quel viaggio; quando il nuovo sole di Lucifero dominò il cielo sopra di loro, il viaggio terminò senza che nulla fosse successo, come ogni comandante avrebbe potuto sperare.
PARTE III
I MONDI DI GALILEO
(Estratto, solo testo, Guida turistica al sistema solare esterno, v. 219.3)
Ancor oggi, i giganteschi satelliti di quello che un tempo era Giove ci propongono grandi misteri. Perché ci sono quattro mondi, orbitanti attorno alla stessa primaria e molto simili nelle dimensioni, ma così diversi per molti altri aspetti?
Solo nel caso di Io, il satellite più interno, la spiegazione è convincente. È così vicino a Giove che le onde gravitazionali che investono di continuo il suo interno producono colossali quantità di calore, al punto che la superficie di Io è semifusa. È il mondo più attivo dal punto di vista vulcanico di tutto il sistema solare; le carte di Io hanno una vita di soli pochi decenni.
Benché nessuna base permanente umana sia mai stata insediata in un ambiente così instabile, ci sono stati numerosi atterraggi e c’è un continuo controllo robotizzato. (Per il tragico destino della Spedizione 2.571, si veda Beagle 5.)
In origine Europa, seconda per distanza da Giove, era interamente coperta da ghiaccio e mostrava poche caratteristiche in superficie, con l’esclusione di una complicata rete di crepacci. Le forze gravitazionali che dominavano Io erano molto meno potenti qui, ma produssero abbastanza calore da dare a Europa un oceano globale di acqua allo stato liquido, in cui si sono evolute molte strane forme di vita. (Si veda Veicolo Spaziale Tsien, Galaxy, Universe.) Dalla conversione di Giove nel minisole Lucifero, tutta la copertura di ghiaccio si è in pratica fusa e un esteso vulcanismo ha creato numerose isolette.
Come è ben noto, non ci sono stati atterraggi su Europa per quasi mille anni, ma il satellite è sottoposto a continua sorveglianza.
Anche Ganimede, la luna più grande del sistema solare (5.260 chilometri di diametro), ha subito le conseguenze della creazione di un nuovo sole, e le sue regioni equatoriali sono calde quanto basta ad alimentare forme di vita terrestri, anche se non ha ancora un’atmosfera respirabile. La maggior parte della sua popolazione è attivamente impegnata nel terraforming e nella ricerca scientifica; l’insediamento principale è Anubis City (pop. 41.000), vicino al Polo Sud.
Callisto invece è del tutto diverso. L’intera superficie è coperta da crateri d’impatto di ogni dimensione, talmente numerosi che si sovrappongono. Il bombardamento dev’essere continuato per milioni d’anni, perché i crateri più recenti hanno completamente cancellato quelli più vecchi. Non ci sono basi permanenti su Callisto, ma sono state create numerose stazioni automatiche.
Frank Poole non aveva l’abitudine di dormire oltre l’orario, ma strani sogni lo avevano tenuto sveglio. Passato e presente si intrecciavano inestricabilmente; a volte era sulla Discovery, a volte sulla Torre Africana — e talvolta era di nuovo un ragazzino in mezzo ad amici che pensava di aver scordato da tempo.
Dove sono? si domandò mentre lottava per riacquistare lucidità, come un nuotatore che cerchi di tornare alla superficie. C’era una finestrella proprio sopra il suo letto, coperta da una tendina non abbastanza spessa da impedire alla luce di entrare dall’esterno. C’era stato un periodo, attorno alla metà del XX secolo, in cui gli aerei erano talmente lenti da dover offrire comodi sedili di prima classe per dormire: Poole non aveva mai provato questo genere di lussi che alcune agenzie turistiche pubblicizzavano ancora ai suoi tempi, ma non gli era difficile immaginare di sperimentare proprio una situazione del genere.
Scostò la tendina e guardò fuori. No, non si era svegliato nei cieli della Terra, anche se il paesaggio che gli scorreva sotto non era diverso da quello dell’Antartide. Ma il Polo Sud non aveva mai esibito due soli che si levavano contemporaneamente proprio mentre il Goliath si dirigeva verso di loro.
L’astronave orbitava a meno di cento chilometri da quello che poteva sembrare un immenso campo arato, coperto da una leggera spolverata di neve. Ma chi aveva arato doveva essere in stato di ebbrezza — oppure il sistema direzionale doveva essere impazzito — perché i solchi serpeggiavano in ogni direzione, a volte intersecandosi gli uni con gli altri o ritornando indietro. Qua e là il terreno era costellato da cerchi appena accennati — crateri fantasmi creati dall’impatto di meteoriti molti coni fa.
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