Arthur Clarke - 3001 Odissea finale

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3001 Odissea finale: краткое содержание, описание и аннотация

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In «3001 Odissea finale» Clarke conclude con un ultimo affascinante episodio la leggendaria saga di fantascienza iniziata con «2001 Odissea nello spazio» facendo fare al lettore un balzo di mille anni nel futuro e rivelandogli una verità che possiamo comprendere soltanto adesso.
Fondendo mirabilmente fantasia e precisione scientifica Clarke ci regala un altro indimenticabile capolavoro sui misteri insondabili dell'universo e sull'eterno, appassionante confronto tra l'uomo e l'ignoto.
Arthur C. Clarke è considerato fra i più grandi scrittori di fantascienza di tutti i tempi. Personalità straordinaria, non solo nel campo della narrativa, scrisse un articolo nel 1945 che portò all'invenzione della tecnologia satellitare. Si spegne il 19 marzo 2008 a Colombo, nello Sri Lanka che tanto amava e in cui viveva da decenni.

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GioveLucifero era dall’altra parte del Sole, e l’orbita del Goliath, pressoché rettilinea, li avrebbe portati vicino a Venere. Poole era ansioso di constatare con i propri occhi, e senza ausilio ottico, se il pianeta gemello della Terra stesse cominciando ad assomigliare a quanto gli avevano descritto, dopo secoli di terraforming.

Da un’altezza di un migliaio di chilometri, la Città delle Stelle assomigliava a una gigantesca striscia metallica attorno all’equatore terrestre, punteggiata da gru, cupole a pressione, ponteggi con attaccate astronavi non ancora finite, antenne e altre strutture più enigmatiche. Diminuiva rapidamente mentre il Goliath si dirigeva verso il Sole, e adesso Poole riuscì a vedere quanto fosse incompleta: c’erano enormi interruzioni collegate solo da una ragnatela di impalcature, che probabilmente non l’avrebbero mai cinta definitivamente.

E ora stavano scendendo sotto il piano dell’anello; nell’emisfero nord si era a metà inverno, per cui l’esiguo alone della Città delle Stelle era inclinato di più di venti gradi rispetto al Sole. Poole riusciva già a vedere le Torri dell’America e dell’Asia, fili luccicanti che si estendevano verso il cielo e oltre, al di là della bruma azzurra dell’atmosfera.

Quasi non si accorse del tempo, mentre il Goliath acquistava velocità, muovendosi ancor più rapidamente di qualsiasi cometa scesa verso il Sole dallo spazio interstellare. La Terra, quasi piena, occupava ancora il suo campo visivo e ora riusciva a vedere in tutta la sua lunghezza la Torre Africana, il suo rifugio durante quella vita che adesso abbandonava — forse per sempre, non poté fare a meno di pensare.

Quando furono a cinquantamila chilometri di distanza, si mise a osservare l’intero complesso della Città delle Stelle, una stretta ellisse che circondava la Terra. Benché il lato più lontano fosse appena visibile, simile a un filo di luce sullo sfondo delle stelle, incuteva timore pensare che la razza umana avesse ora tracciato quel segno sui cicli.

Poi Poole si ricordò degli anelli di Saturno, infinitamente più maestosi. Gli ingegneri astronautici avevano ancora una strada molto lunga da percorrere, prima di rivaleggiare con le creazioni della natura.

O, se era la parola giusta, di Deus.

15. PASSAGGIO SU VENERE

Quando si svegliò la mattina seguente, erano già arrivati a Venere. Ma la falce enorme e abbagliante del pianeta ancora avvolto dalle nuvole non era l’oggetto più impressionante in quel cielo: il Goliath galleggiava sopra un’interminabile distesa di stagnola arricciata che brillava alla luce solare in tonalità sempre diverse mentre il rimorchiatore spaziale la percorreva da una parte all’altra.

Poole ricordò che alla sua epoca era esistito un artista che aveva avvolto interi edifici con fogli di plastica: chissà quanto gli sarebbe piaciuto cogliere l’occasione di avvolgere miliardi di tonnellate di ghiaccio in un involucro luccicante. Era l’unico modo con cui si potesse proteggere il nucleo di una cometa dall’evaporazione nel suo viaggio lungo decenni verso il sistema solare.

«Sei fortunato, Frank», gli aveva detto Chandler. «Questa è una cosa che non ho mai visto nemmeno io. Dovrebbe essere spettacolare. L’impatto avverrà tra poco più di un’ora. Gli abbiamo dato una spintarella, solo per assicurarci che cada nel posto giusto. Non vogliamo che qualcuno si faccia male.»

Poole lo guardò sbalordito.

«Vuoi dire che… c’è già gente su Venere?»

«Più o meno cinquanta scienziati pazzi, vicino al Polo Sud. Naturalmente si sono trincerati per bene, ma dovremmo scuoterli un tantino… anche se il Terreno Zero è dall’altra parte del pianeta. O dovrei dire «Atmosfera Zero»… ci vorranno giorni prima che qualcosa che non sia il botto giunga alla superficie.»

Mentre l’iceberg, scintillante e lampeggiante nel suo involucro protettivo, rimpiccioliva nella sua discesa su Venere, Poole fu assalito da un ricordo improvviso e lancinante. Gli alberi di Natale della sua infanzia erano adorni di ornamenti perfettamente simili, delicate bolle di vetro colorato. E il paragone non era affatto azzardato: per molte famiglie sulla Terra, quella era ancora la stagione dei doni, e il Goliath stava portando un regalo inestimabile a un altro mondo.

L’immagine radar del tormentato paesaggio di Venere — i misteriosi vulcani, le cupole appiattite e i canyon stretti e sinuosi — dominava lo schermo principale del centro di controllo del Goliath, ma Poole preferiva affidarsi solo ai propri occhi. Benché il mare compatto di nuvole che copriva il pianeta non rivelasse nulla dell’inferno sottostante, voleva constatare che cosa sarebbe successo quando la cometa rubata fosse giunta al suolo. In un lasso di pochi secondi, le miriadi di tonnellate di idrati congelati che avevano acquistato velocità per decenni nella loro discesa da Nettuno avrebbero scaricato tutta la loro energia.

Il lampo iniziale fu più brillante di quel che si aspettava. Strano che un missile fatto di ghiaccio potesse produrre temperature che dovevano essere attorno a qualche decina di migliaia di gradi! I filtri dell’oblò assorbivano tutte le pericolose lunghezze d’onda più corte, ma il violento blu della palla di fuoco dichiarava senza ombra di dubbio di essere più caldo del Sole.

Si raffreddava rapidamente mentre si espandeva attraverso il giallo, l’arancione, il rosso. L’onda d’urto si sarebbe ora diffusa verso l’esterno alla velocità del suono… e che suono sarebbe stato!… per cui in pochi minuti era probabile che apparissero tracce visibili del suo passaggio sulla faccia di Venere.

Ed eccole! Solo un sottile anello nero, simile a un insignificante sbuffo di fumo, che non dava alcuna idea della furia ciclonica che doveva essersi scatenata in ogni direzione dal punto d’impatto. Mentre Poole osservava, si estese lentamente benché, data la grandezza, non si potesse cogliere la sensazione di un movimento visibile: dovette aspettare un minuto intero prima di essere sicuro che fosse diventato più grande.

Ma, trascorso un quarto d’ora, era il segno più visibile sul pianeta. Sebbene molto più debole — grigio sporco, invece che nero — l’onda d’urto era adesso un cerchio frastagliato di più di mille chilometri. Poole immaginò che avesse perduto la simmetria originaria mentre oltrepassava la grande catena montagnosa che giaceva sotto di essa.

La voce del capitano Chandler risuonò vivace nel sistema di comunicazioni interne dell’astronave.

«Collegamento con Base Afrodite. Lieto di sentire che non stanno gridando aiuto…»

«… ci ha scosso un tantino, ma ce lo aspettavamo. I monitor indicano già un po'’ di pioggia sulle Montagne Nokomis… evaporerà presto, ma è un inizio. E sembra che ci sia stata un’improvvisa alluvione nella Fenditura di Beate… troppo bello per essere vero, ma controlleremo. C’era già stato un lago temporaneo di acqua in ebollizione dopo l’ultima consegna…»

Non li invidio, si disse Poole, ma certamente li ammiro. Sono la dimostrazione che lo spirito d’avventura esiste ancora in questa società forse troppo confortevole e ben adattata.

«… e grazie ancora per aver mollato quel piccolo carico nel posto giusto. Con un po'’ di fortuna… e se riusciamo a mettere quello schermo solare nell’orbita sincronica… tra non molto avremo mari permanenti. E poi potremo impiantare la barriera corallina, creare il limo e cacciare dall’atmosfera l’eccesso di biossido di carbonio… spero di vivere abbastanza per vederlo!»

Anch’io lo spero, pensò Poole in silenziosa ammirazione. Si era immerso spesso nei mari tropicali della Terra, osservando misteriose e variopinte creature a volte talmente bizzarre che era difficile credere di poter trovare qualcosa di più singolare, persino sui pianeti di altri soli.

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