«Non è più o meno in quella zona» osservò a un tratto, in tono quasi annoiato «che s’è perso quel battello pieno di turisti?»
«Sì» rispose Lawson, dopo un considerevole ritardo.
«Io di geografia lunare me ne intendo poco, per la verità. Avete un’idea, voi, di dove diavolo siano finiti quei poveracci?»
Perfino l’individuo più scorbutico, Spenser l’aveva scoperto da un pezzo, resiste difficilmente alla tentazione di dare schiarimenti, se gli vengono chiesti come un favore, e se gli consentono di affermare la propria superiorità. Il trucco funzionava nove volte su dieci. Funzionò anche con Lawson.
«Sono laggiù» disse Tom, indicando il centro dello schermo. «Quelle sono le Montagne Inaccessibili, e quello, tutt’attorno, è il Mare della Sete.»
Spenser guardava, con interesse autentico, i nettissimi contorni in bianco e nero delle montagne verso le quali stavano cadendo. Sperava che il pilota, umano o elettronico che fosse, conoscesse il suo mestiere. Poi si rese conto che si stavano dirigendo verso il territorio più pianeggiante, a sinistra dello schermo. I monti, e la curiosa zona grigiastra che li circondava, si allontanavano rapidamente dal centro dello schermo.
«Porto Roris» disse Tom, senza esserne richiesto, indicando un segno nero appena visibile all’estrema sinistra. «È là che dobbiamo atterrare.»
«Bene. Non mi entusiasmava molto l’idea di atterrare su quelle montagne» osservò Spenser, deciso a tenere la conversazione sul binario giusto. «Quei poveri diavoli… Non li troveranno di certo, se si sono smarriti in quel labirinto. Del resto, pare che siano stati sepolti da una valanga, no?»
Tom fece una risatina ironica. «Cosi si crede» commentò.
«Perché, non è vero?»
Troppo tardi, Tom ricordò le istruzioni ricevute. «Non posso dirvi di più» replicò.
Spenser lasciò cadere l’argomento. Ormai aveva saputo quanto bastava per convincersi di una cosa.
Clavius City avrebbe aspettato. Il punto focale doveva esser, Porto Roris, e gli conveniva fermarsi lì.
Ne fu ancora più convinto, quando, con un sospiro d’invidia, notò che il dottor Lawson sbrigava le formalità di quarantena, dogana, immigrazione e cambio in tre minuti esatti.
Se un ficcanaso avesse potuto origliare alla porta del Selene, sarebbe rimasto molto perplesso. Nella cabina, con effetto tutt’altro che melodioso, echeggiavano ventuno voci intente a cantare, in altrettanti toni dissonanti: «Tanti auguri a te! Tanti auguri a tee!».
Cessato quello strepito gaio e stonato, il commodoro giudicò che il compleanno della signora Williams era stato festeggiato abbastanza, e richiamò l’attenzione dei passeggeri.
«Signore e signori!» cominciò. «Proporrei di passare al prossimo numero del nostro programma. Sono lieto di annunciarvi che il Comitato Ricreativo, formato dalla signora Schuster e dal professor Iaya… ehm… e dal professore, ha avuto un’idea che dovrebbe riuscire divertente. Il Comitato propone che ognuno di noi si sottoponga, a turno, a un piccolo processo. La corte avrà il compito di trovare una risposta a questo interrogativo: qual è il vero motivo che ci ha portati sulla Luna? Naturalmente, qualcuno potrebbe anche trovarsi imbarazzato a rispondere. Non mi stupirei, se una buona metà dei presenti fosse venuta qui per sfuggire alla polizia, o magari alla moglie. Siete liberi di rifiutarvi di rispondere, ma poi non prendetevela se, dalla vostra reticenza, trarremo le conclusioni più nere. Che cosa ve ne pare della trovata?»
Alcuni l’accolsero con discreto entusiasmo, altri con ironiche risate di disapprovazione, ma nessuno si oppose in modo aperto. Quasi automaticamente, il commodoro venne eletto presidente del tribunale; altrettanto automatica fu l’elezione di Irving Schuster a pubblico ministero. Il doppio sedile di destra della prima fila era stato girato in modo da fronteggiare l’aula: sarebbe servito da cattedra per il giudice e il pubblico ministero. Appena tutti gli altri si furono sistemati, e il cancelliere (ossia Pat Harris) ebbe ordinato il silenzio, il presidente fece un piccolo discorso.
«Signori, voi non siete chiamati per stabilire la colpevolezza di nessuno» dichiarò, cercando di restare serio. «Questa è infatti una semplice istruttoria. Se qualcuno dei testi ha la sensazione che il mio dotto collega voglia intimorirlo, può chiedere l’intervento della corte. Cancelliere, chiamate il primo teste, per favore.»
«Ehm… Vostro Onore… e chi è il primo teste?» domandò il cancelliere.
Ci vollero dieci minuti di discussione tra la corte, il pubblico ministero e i membri più cavillosi del pubblico per stabilire quel punto importantissimo. Finalmente si decise di tirare a sorte, e la sorte designò come primo teste David Barrett.
Sorridendo, il teste avanzò dal fondo della cabina e andò a deporre nello stretto passaggio davanti al giudice. Irving Schuster, che in camicia e mutande non aveva un aspetto molto legale, si schiarì la voce.
«Vi chiamate David Barrett?»
«Esatto.»
«Qual è la vostra professione?»
«Ingegnere agricolo, in pensione.»
«Signor Barrett, dite a questa corte per quale motivo siete venuto sulla Luna.»
«Ero curioso di vedere com’era, e avevo il tempo e i quattrini necessari.»
Irving Schuster fissò Barrett obliquamente, attraverso le sue grosse lenti. Nella sua carriera aveva notato che quel modo di guardare metteva sempre in agitazione i testimoni. Portare occhiali era quasi un segno di eccentricità, in quell’era di lenti a contatto, ma i dottori e gli avvocati, specie i più vecchi, preferivano sfoggiare gli occhiali; anzi, gli occhiali erano diventati il simbolo delle professioni mediche e legali.
«Eravate curioso di vedere com’era» ripeté Schuster. «Questa non è una spiegazione. Perché eravate curioso?»
«La domanda mi pare formulata in modo così vago da non consentirmi di rispondere. La si può applicare a tutto.»
Il commodoro Hansteen sorrideva, soddisfatto. Proprio quello che lui voleva: indurre i passeggeri a chiacchierare e a discutere liberamente di argomenti che potessero essere di interesse generale, ma che non sollevassero accanite controversie, o malumori.
«Riconosco che la domanda poteva essere formulata con maggior pertinenza» ammise il pubblico ministero. «Cercherò di formularla in modo diverso. Sarebbe esatto dire che vi sentivate attratto dalle bellezze panoramiche della Luna?»
«Sì, il panorama faceva parte dell’attrattiva. Avevo visto film e volantini di propaganda, e mi domandavo se la realtà fosse davvero emozionante come veniva descritta.»
«E ora vi pare di poter dire che lo è?»
«Direi che abbia superato tutte le mie aspettative» fu l’asciutta risposta.
Dal resto del pubblico si levò una fragorosa risata. Il commodoro Hansteen si affrettò a battere sullo schienale del suo sedile.
«Silenzio!» gridò. «Se ci saranno altri schiamazzi, dovrò far sgomberare l’aula!»
Il che, come Hansteen si aspettava, venne accolto da una risata ancora più fragorosa. Il commodoro lasciò che tutti si sfogassero. Appena il baccano accennò a diminuire, Schuster riprese a parlare, usando il suo più bel tono da «terzo grado».
«Molto interessante, signor Barrett. Avete percorso tutta la strada tra la Terra e la Luna, sostenendo spese non indifferenti, solo per vedere il panorama. Dite, signor Barrett, avete visto il Gran Canyon del Colorado?»
«No. E voi?»
«Vostro Onore!» si appellò l’avvocato Schuster. «Il teste ostacola l’interrogatorio.»
Hansteen guardò severamente Barrett, il quale non sembrava per nulla mortificato.
«Non siete voi che conducete l’inchiesta, signor Barrett. Il vostro compito è quello di rispondere alle domande che vi vengono rivolte, non di farne a vostra volta.»
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