Murray Leinster - Questo è un Gizmo

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Fra i romanzi che trattano il tema dell’invasione, questo dell’abilissimo Leinster è al tempo stesso uno dei più semplici e dei più avvincenti. Dall’inizio in sordina, si passa a poco a poco al terrore di massa, in un crescendo di tensione congegnato magistralmente. E questi “gizmo” sibillanti che rotolano sui deserti d’America spingendo davanti a sé nubi di polvere rossa, sono ben degni di figurare nella galleria di creature della spazio che Urania ha fino ad oggi raccolto.

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Un ottimo sistema per procurarsi il sostentamento. Lane intanto faceva un quadro della situazione: adagio ma inesorabilmente quelle masse di mostri invisibili dilagavano su tutto. L’odore del mattatoio li avrebbe attirati da ogni parte, sarebbero calati sulla preda ciecamente. Per ora avevano attaccato la macchina perché disturbati ma, privi d’intelligenza com’erano, non facevano nessuna distinzione tra uomini e animali. Tuttavia erano a quanto pareva, capaci di collera: attaccavano rabbiosamente quando uno di loro era prigioniero, e sembravano anche terribilmente vendicativi.

Forse avevano inseguito lui e la Warren attraverso i monti, dove Burke li aveva presi a bordo, spinti dalla rabbia; e sempre per rabbia dei loro compagni morti s’erano lanciati contro il distributore con quelle enormi nubi di polvere. Non avevano zanne né artigli per difendersi. Compivano movimenti di massa, sotto la spinta del furore, della fame, forse della paura, come altre creature, come le api o le mandrie di bisonti…

Lane, filando nelle tenebre, lasciò a poco a poco cadere quelle ipotesi. Si immaginava masse di Gizmo dilaganti sulla Terra a far strage di ogni essere vivente. E se lo stormo calava su una città…

La prima notizia del genere fu segnalata da St. Joseph, nel Missouri.

11

L’incidente di St. Joseph non trovò posto nei giornali. Vi era, nei sobborghi della città, un grandissimo allevamento di polli specializzato non in uova, ma nella produzione di polli da vendere. Le bestie erano sistemate all’aperto e avevano dei ripari dove passavano la notte. Il pollaio costeggiava la strada per un bel tratto, e dei cartelli avvertivano gli automobilisti di passaggio che li c’erano polli vivi, polli eviscerati, polli spennati, polli congelati, quarti di pollo. In una vetrina c’erano anche due spiedi, e si poteva entrare a mangiare polli arrosto.

Un mattino, alle nove, il panico si diffuse tra i pennuti in pieno pollaio. All’estremità della cinta metallica, le povere bestie cominciarono a starnazzare disperatamente, a stramazzare a terra una dopo l’altra, a sbattere le ali istericamente. Altre fuggirono disperate, dall’altra parte del recinto. I sorveglianti corsero a vedere quel che capitava. Fino ad allora le imprese dei Gizmo a St. Joseph si sapevano per sentito dire, e la gente era inquieta, ma non terrorizzata.

Uno degli addetti aprì la porta nell’ultimo recinto ed entrò.

I polli, tra sussulti frenetici, erano ammucchiati contro la rete di fondo. L’uomo sentì dei sibili e avanzò per liberare le povere bestie che rischiavano di morire soffocate nella calca. Afferrò una gallina che si dimenava freneticamente senza un grido. La bestia si contorceva, col becco spalancato, senza un suono, con gli occhi fuori dalla testa. In quel momento il sorvegliante sentì nell’orecchio un sibilo, la gallina smise di dimenarsi, diede ancora qualche guizzo convulso, ormai in agonia. Senza apparente motivo, la povera bestia cessai di vivere.

Poi, di colpo, qualcosa sfiorò il volto dell’uomo. Un sibilo acuto e frenetico e lui non poté più respirare. Rimase paralizzato per lo spavento, mentre i polli starnazzavano pazzamente, tutto intorno. Uno gli sbatté sulla faccia e gli salvò la vita. Il sibilo si fece più acuto: l’uomo riuscì di nuovo a tirare il fiato.

Scappò di corsa.

Senza ancora ben connettere, balbettò che certe cose avevano tentato di soffocarlo, e che in certi recinti i polli morivano mentre in altri se ne stavano ancora tranquilli. La morte invisibile avanzava adagio, inesorabilmente, lungo i vari recinti, e uno dopo l’altro i polli stramazzavano a terra soffocati.

Troppi erano stati i testimoni del fatto, troppo chiara la successione degli avvenimenti, per considerarli frutto di un’epidemia. Erano presenti quelli che stavano comperando polli e gli uomini che lavoravano alla fattoria: c’era anche una guardia, l’unico che collegò i sibili con la morte dei polli e concluse che le bestie erano state uccise da uno sciame d’insetti, troppo piccoli per essere visibili a occhio nudo. Premessa sbagliata, è vero, ma il ragionamento filava. La guardia concluse che se si respirava attraverso un pezzo di stoffa, gli insetti non sarebbero entrati nei polmoni. E provò a farlo per poter salvare i presenti: un uomo intelligente e coraggioso, quel poliziotto.

La nube mortale calò sull’intera fattoria, dopo che la gente era stata allontanata. Avanzò terribile, inesorabile, toccò l’abitato che confinava con la cascina. Vi furono due morti.

La guardia aveva cercato di avvertire tutti, aveva spedito quelli che già sapevano ad avvertire gli altri, ma due ostinati, pieni di sospetto, non vollero ascoltarlo. Tutti gli altri si salvarono. Sui due terzi di un quartiere nuovo calarono i Gizmo invisibili che sibilavano rabbiosamente e avanzavano seminando la morte.

Poi, alla cieca, senza ragione, così come era entrato nell’abitato, lo stormo mostruoso svanì, lento, sinistro, in direzione dei boschi vicini, dove fece strage di api selvatiche, di conigli, di larve, di formiche, d’insetti.

Tutto questo non comparve sui giornali. La gente era già troppo spaventata, e si dovettero prendere precauzioni per impedire che l’allarme si diffondesse. Bisognava prevenire il panico, ma i mezzi usati per contenere il terrore ebbero effetti curiosi, sotto un certo aspetto. Per esempio, la Warren non riuscì assolutamente a mettersi in contatto con Washington per comunicare quel che era più opportuno fare.

Le comunicazioni telefoniche dalle varie province, infatti, erano state interrotte perché il panico dalle campagne non si diffondesse in città. Quando la Warren volle chiamare Washington, le dissero che tutte le linee erano occupate. E lo stesso avvenne per le altre sei volte che Lane si fermò per tentare da altri telefoni.

— Hanno appena trasmesso il giornale radio — disse Lane, mentre la Warren usciva sconfitta per la settima volta da una cabina telefonica. — Non una parola sugli avvenimenti di St. Louis o di Kansas City. Forse pensano che la gente se ne dimentichi se non ne sente parlare. Tentano anche di minimizzare il fatto di Chicago. I batteriologi, dicono, ritengono di aver isolato il germe sospetto. E l’altra notte davano la colpa ai russi! Non una parola su tutti quegli incidenti stradali! Per due terzi del radiogiornale hanno trasmesso notizie estere.

— Non riesco ancora a parlare con Washington — brontolò la Warren, delusa. — Non ci lasceranno entrare in città, Dick, ma andiamo avanti lo stesso. Ormai rinuncio alle soluzioni razionali, però qualcosa dobbiamo fare!

— Questo sì — promise Lane.

L’ultimo fiasco la Warren lo fece a pochi chilometri da Winchester. Tentò ancora a Martinsburg, dove almeno si poteva liberamente entrare in città. Pranzarono molto tardi, e tentarono di nuovo inutilmente di parlare con Washington.

Ormai era il terzo giorno che provavano diversi tentativi per fare una cosa che normalmente si sarebbe sbrigata nel giro di una giornata. Anzi, quel terzo giorno fu quasi una ripetizione del primo.

Via sbarrata per Hagerstown: persero ore e ore per trovare qualche strada senza posti di blocco. Bloccata anche Chambersburg, e di nuovo dovettero fare un lungo giro. Lane voleva provare con l’autostrada della Pennsylvania ma al distributore dove si fermò a fare il pieno, in un gruppetto di case dette “Green Village”, gli dissero che era chiusa al traffico. “Quarantena o qualcos’altro” riferì l’uomo che manovrava la pompa.

Lane fece qualche domanda. Sì, nelle cascine di Chippensburg la notte scorsa era morto tutto il bestiame. E anche due uomini. Lane pensò che se c’erano poche vittime umane ciò era dovuto esclusivamente al fatto che i Gizmo non erano intelligenti. Proprio come gli avvoltoi, trovavano cibo nei cadaveri e potevano benissimo attaccare gli uomini, ma in fondo preferivano sempre gli esseri inferiori.

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