La confusione avrebbe potuto essere istruttiva, pensava Lane con ironia, se non avesse avuto degli inconvenienti per la gente che aveva cose importanti da fare come lui e i suoi due compagni.
Lane, la Warren e Burke passarono la notte nell’unico motel di Monterey, con Mostro nella camera della Warren, e Burke che russava sonoramente nella stanza di Lane. Al mattino appresero che in Virginia gli incidenti stradali erano stati numerosissimi e che il governatore aveva ordinato di chiudere al traffico il confine tra i due Stati: provvedimento illegale, ma necessario.
Lane lasciò la Statale 220 e puntò a destra verso la valle del Shenandoah. A Staunton lo bloccarono gli agenti, dovette imboccare una strada di campagna, e di nuovo fu fermato a Harrisonburg, dove una guardia gli ficcò una pallottola nel parabrezza. Burke svenne.
Furono costretti a un lungo giro ozioso intorno a Harrisonburg, e persero tre ore per raggiungere la Panoramica, che non attraversava nessuna città e poteva servire per un bel tratto. Ma non la presero e preferirono proseguire per le strade di campagna. Tutto tranquillo a New Market. In giro c’erano cani e bambini e la gente che se ne andava per i fatti propri: la solita cittadina di provincia nel solito pomeriggio estivo. Luray invece era bloccata al traffico. Di nuovo, si persero in un intrico di piste che avevano tracce di gomme, ma non dovevano aver mai visto un bulldozer. Guadarono varie volte piccoli corsi d’acqua, seguirono segnali sbagliati, finirono in cascine oltre cui non andava la strada. Allora dovevano far marcia indietro e provare con un’altra derivazione.
Viaggiavano ormai da quattordici faticosissime ore, quando finalmente sbucarono a Strasburg. L’allarme, li, non era ancora arrivato. Vi passarono la notte, e il mattino dopo, alle quattro, erano di nuovo in macchina. Le notizie le seppero dalla radio, che riferiva la confusione generale.
Chicago non era stato l’unico obiettivo di una nube di Gizmo, segnalata dal radar. Il mattatoio di Kansas City era un disastro. Nel Texas, mentre si caricava del bestiame, erano arrivati quei sibili, tra il mugghiare disperato degli animali impazziti. Nelle regioni centrali il bestiame da allevamento moriva sul terreno sconvolto. Al mercato dei suini di Saint-Louis non si sapeva come eliminare le bestie morte e come proteggere la gente, in caso di un ritorno del morbo.
I tre decisero di dirigere su Winchester e poi su Washington. La dottoressa Warren era conosciuta in campo scientifico: a questo punto bastava che parlasse di quanto avevano scoperto, che eventualmente ne desse una dimostrazione pratica davanti a qualche influente burocrate e tutto sarebbe stato a posto. Lane inoltre aveva sempre di riserva il suo amico.
Mentre alle quattro del mattino si lasciavano alle spalle Strasburg immersa nel sonno, la radio annunciava che sul Giardino Zoologico Rock Creek di Washington era arrivata una delle solite nubi segnalate dal radar, dopo aver risalito sopravvento il Potomac, e avere fatto strage di tutti gli animali. Non un cane, non un gatto in tutta una zona di Washington.
Il giornale radio annunciò che la popolazione lasciava la città, spaventata soprattutto dal fatto che gli aerei avevano fatto fuoco contro la nube tentando di spazzarla, prima che arrivasse su Washington, e non c’erano riusciti.
Ponti e strade erano congestionati dal traffico; si stavano prendendo misure per facilitare lo sfollamento.
Quando la radio tacque, Lane disse con disappunto: — Si cambia programma: non andiamo più a Washington.
— Ma devo andare a Washington, Dick! — obiettò la Warren. — Lasciate che parli per mezz’ora con un biologo del Ministero dell’Agricoltura e vi assicuro…
— C’è il coprifuoco, dopo il tramonto — rispose secco Lane. — Misura d’emergenza per la difesa dei civili, lo chiamano. Vogliono cercare di frenare l’esodo dalla città. Probabilmente dappertutto è lo stesso. L’altro ieri ci sono state almeno un migliaio di vittime per incidenti stradali, causati dai Gizmo. E ieri le cose non sono certo andate meglio. Hanno parlato d’incidenti durante il giornale radio?
— No — disse spaventata la Warren. — Ma credete che le cose vadano tanto male da censurare le notizie? Forse le autorità hanno paura a lasciar uscire la gente dalle città, e di dover spiegare il perché…
— Non invidio quei signori, in questo momento — rispose Lane. — Può capitare benissimo, come è già capitato, che i Gizmo, dopo gli animali, se la prendano con gli uomini. Per ora la gente muore in città, e perciò gli altri vogliono scappare. Se i Gizmo uccidono lungo le strade la gente è indotta a restare a casa, ma se gliene spiegate il motivo, si sentirà sempre in pericolo.
Si fermò un istante. Erano le quattro passate del mattino, mancava ancora qualche ora all’alba. I fari foravano le tenebre. Ora correvano lungo la nazionale 11, non molto affollata di solito, a una quindicina di chilometri da Strasburg. Avevano incontrato soltanto due macchine. In quel punto la strada era in discesa, poi, duecento metri più in là, riprendeva a salire appena passato il ponte sul torrente in fondo alla valle. Un posto come tanti altri, lungo una strada normalissima nelle prime ore del mattino.
Faceva fresco, e c’era una leggera foschia giù nella valle.
Lane si accorse che la foschia non era immobile, si agitava, sembrava ribollisse. Alzò gli occhi alla china un po’ più avanti. Alla luce dei fari si scorgeva un moto ondulato. Qualcosa deformò il raggio, come se ci fossero masse di gas riscaldato.
— Le torce! — gridò Lane.
Schiacciò l’acceleratore e la macchina iniziò la discesa, aumentando la velocità, e attraversò nebbia e ondulazioni. Subito tutt’attorno risuonarono i sibili rabbiosi. La macchina correva e i sibili si facevano sempre più violenti. All’interno, brillò la fiamma di una torcia.
La Warren l’agitò, qualcosa arse in una fiammata azzurrognola. Un gran puzzo e i sibili divennero un urlo stridulo. Qualcosa sigillò naso e labbra di Lane. Tenne il fiato, continuando a guidare furiosamente, e la macchina superò la china e si lanciò in piano, sempre più in fretta. Filava sugli ottanta quando la Warren passò la torcia davanti al volto di Lane. La cosa avvampò, con un sibilo.
— Grazie — mormorò Lane mentre l’aria spazzava via l’odore. — Forse ci seguiranno per un po’, ma non importa. Come va lì dietro?
La Warren protestò: — Avrei potuto prenderne uno! Ma non avevo la federa.
— Burke? — domandò Lane improvvisamente. — Tutto bene?
La Warren passò la torcia davanti al volto contratto e spaurito di Burke. Un lampo, e Burke si abbandonò spossato.
— Muoiono così per le strade — osservò Lane — e non soltanto nei fondovalle, ma dappertutto. I Gizmo non sono intelligenti e non hanno volontà, ma la cosa non migliora la situazione.
Non la migliorava, certo, ma la rendeva più comprensibile. I Gizmo avevano l’istinto della caccia, non si accontentavano più di rifiuti, e la loro linea d’azione era evidente. Erano esseri capaci di muoversi a gruppi o a sciami, e come sempre avviene tra esseri socievoli ci sono sempre degli isolati che commettono singolarmente dei crimini. Ce ne sono anche a cui la caccia non interessa. Ma in complesso i Gizmo avevano tutti la tendenza a cacciare di notte e a nutrirsi di giorno. Nelle foreste native si muovevano in masse, con leggeri, macabri sibili, e fluttuavano invisibili tra gli alberi e nel sottobosco. In un certo senso pascolavano quando si muovevano in cerca di preda su una lunga linea frontale e profonda, spazzando via tutto: uccelli, insetti, ogni essere animato. Se s’imbattevano in un grosso branco, i Gizmo lo circondavano, approfittavano del panico che impediva alle povere bestie di fuggire, e le uccidevano.
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