Murray Leinster - Questo è un Gizmo

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Fra i romanzi che trattano il tema dell’invasione, questo dell’abilissimo Leinster è al tempo stesso uno dei più semplici e dei più avvincenti. Dall’inizio in sordina, si passa a poco a poco al terrore di massa, in un crescendo di tensione congegnato magistralmente. E questi “gizmo” sibillanti che rotolano sui deserti d’America spingendo davanti a sé nubi di polvere rossa, sono ben degni di figurare nella galleria di creature della spazio che Urania ha fino ad oggi raccolto.

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La Warren contava molto sul medico condotto del paese: e intendeva convincerlo dell’esistenza dei Gizmo e spiegargli come agivano. Se riusciva a persuaderlo, molte vite sarebbero state risparmiate. Poi c’era l’uomo dal cranio calvo, a cui Lane aveva salvato la vita, e lei era riluttante a lasciarlo tornare a casa, a rischiare di nuovo la vita, quando poteva proteggersi facilmente. E c’erano altre vite da salvare.

Così, non uscì subito dall’ambulatorio. Lane e Burke l’aspettavano, e intanto i colori del tramonto diventarono di fuoco, poi si smorzarono, e fu notte.

Sul sedile posteriore Burke fumava sempre il suo sigaro puzzolente e a volte si agitava irrequieto.

La notte era incantata. Le uniche luci erano le stelle e i rettangoli luminosi della casa del dottore. Lontane, indistinte, si scorgevano le finestre illuminate del paese.

Finalmente la porta della casa del medico si aprì gettando uno sprazzo nel buio e sulla soglia apparve la Warren, stanchissima, che si diresse verso la macchina e vi salì.

— Possiamo andare, Dick — disse, sfinita. — Sono riuscita a convincere il medico. Mentre c’ero io, sono arrivate una dozzina di chiamate urgenti. Mi sembra di aver parlato per secoli! Lui ha dato buoni consigli ai suoi pazienti contro i Gizmo. Non avrei potuto fare di meglio nemmeno io, sapendo quel che so. L’ho invitato a controllare quanto gli dicevo, ma mi ha creduto sulla parola. Conosceva i miei lavori, un vero biologo, insomma. Ha telefonato al direttore del giornale di Roanoke che conosce personalmente, gli ha detto chi ero, e che quanto affermavo era vero.

Lane mise in moto, dirigendosi a nord. Erano in ballo da oltre trentasei ore, senza un istante di riposo. A Monterey avrebbero potuto fermare e riposarsi un po’, ma c’era ancora un’ora di strada, o anche di più.

— E allora con il giornale? — domandò alla scienziata.

— Mi hanno intervistata per telefono. — disse la Warren, con amarezza. — Un signore gentilissimo, che non ha creduto una sola parola di quanto gli ho detto. Ha chiesto di parlare di nuovo col dottore, il quale gli ha giurato che era tutto vero e che la sua esperienza di oggi l’aveva convinto della verità di quanto affermavo, almeno per gl’incidenti. I morti per incidenti stradali oggi superano il migliaio Dick, e non sono tutti lì! Il giornalista ha chiamato il direttore: la mia storia è divertente, hanno dichiarato, e non importa se per caso è vera. La pubblicheranno sul giornale di domani, o della sera. In versione un po’ ridotta, verrà presentata come un bizzarria. E…

— Cosa? — Sollecitò Lane, ma lo indovinava.

— Il titolo sarà: “Spiriti in guerra con gli uomini. Lo afferma una nota scienziata” — poi aggiunse con amarezza: — Vorrei non appartenere più al genere umano.

In fondo, non si poteva dare tutti i torti al giornale.

Quella notte però si verificò un nuovo fatto che indusse a considerare i Gizmo in modo diverso. Una prova indiscutibile e che, con ogni probabilità avrebbe fatto scoppiare la guerra.

10

Nella notte, la confusione arrivò al massimo. Non fu soltanto Hot Springs a sbarrare le porte, anche se fu tra le prime, ma a Hot Springs veniva molta gente facoltosa e la cittadina, mettendosi in quarantena, diventava, era chiaro, una località sicura dove spendere in pace i propri quattrini.

Fin quando perdurava quello stato di cose, si poteva stare tranquilli. Ma ben presto altre città si misero in isolamento e con la stessa ferma decisione.

Erano soprattutto i paesetti e le cittadine: una grande città non poteva isolarsi totalmente, se non a rischio di morire di fame. Il consiglio municipale delle città sedeva in permanenza, cercando un compromesso tra la presunta necessità di isolarsi e il bisogno di rifornirsi. E si trovarono compromessi alquanto singolari.

Ad Albany, ad esempio, furono adottate misure di emergenza che consideravano reato aprire il negozio o uscire di casa. A Reno, l’ordinanza municipale imponeva magnifiche precauzioni sanitarie per gli abitanti permanenti, ma escludeva dalla quarantena quanti erano di passaggio. A Tucson, si costituì un consiglio di tre membri, con pieni poteri, per la protezione della salute pubblica. Ad Athens, invece, erano proibite le riunioni di più di tre persone, fatta eccezione per i servizi religiosi.

D’altra parte, le autorità governative ordinarono ai laboratori di prodotti biologici di tenersi pronti per cominciare entro ventiquattro ore a produrre i vaccini, appena si fosse individuato il virus. Squadre di ricercatori furono inviate a stanare il male dal suo covo, per così dire, e a prendere a rischio della vita i campioni per poterli esaminare. Molti morirono. Alcuni, probabilmente, prima di cadere soffocati individuarono la reale natura dell’agente apportatore di morte, ma pochi, sicuramente, ci credettero.

Un buon numero di osservazioni fu fatto a Chicago, negli aeroporti, nelle stazioni meteorologiche e ai centri radar. Erano registrazioni ufficiali, molto serie, di fatti strani, anormali, irragionevoli, assurdi, inspiegabili: fatti indubbiamente significativi, ma senza i dati che Lane e la Warren tentavano disperatamente di diffondere, c’era ben poco da capire.

La prima osservazione ufficiale fu fatta al principale aeroporto di Chicago, poco dopo la mezzanotte. Le luci del campo splendevano nella notte senza nuvole, e le bizzarre antenne radar si muovevano ininterrottamente, avanti e indietro, girando sui loro sostegni. Un ronzio monotono, lontano, nell’aria, e nel cielo apparve una luce intermittente, rossa e bianca, che correva tra le stelle. Gli edifici dell’aeroporto erano illuminati a giorno e gettavano ombre nere, dove la luce non arrivava. Le finestre mandavano barbagli e un segnale luminoso ruotava adagio, lanciando i suoi raggi neh” oscurità. Lungo le strade dell’aeroporto guizzavano i fari delle macchine.

Nel buio, apparvero i due fanali d’atterraggio, e dietro quegli occhi gialli e abbaglianti, qualcosa scivolò rombando verso il suolo, e quando toccò terra, nelle luci del campo apparve un gigantesco sigaro d’alluminio con le ali tozze. Rallentò, girò e filò goffamente verso l’arrivo.

Tutto normale. Il riflesso luminoso sopra la città era ben visibile all’orizzonte. Lungo le vie guizzavano lampi di luce. Niente d’insolito, insomma. Tranne sugli schermi radar.

Qualcuno vi posò sopra l’occhio e rimase attonito. Chiamò altri, e tutti osservarono gli schermi. Allora un uomo si precipitò al telefono e chiamò freneticamente la Difesa Aerea Civile. Un attimo dopo, altri telefonavano alla base aerea e ci fu chi venne di corsa per riferire quel che aveva visto. Dappertutto incredulità, terrore e confusione. E anche scoppi di rabbia. Lo schermo registrava una situazione o assurda o molto grave.

Qualcosa avanzava verso Chicago, secondo il radar, sorvolando il lago Michigan; la “cosa” era enorme e sembrava si muovesse deliberatamente, a una velocità di cinquanta chilometri all’ora. Aveva una forma… una testa bulbosa e una specie di coda che svaniva nel nulla per poi riapparire, ma non si riusciva a capire la struttura delle varie parti. Proveniva a quel che pareva dalle zone più desertiche del Wisconsin, ed ora si dirigeva su Chicago.

I telefoni squillavano, e le onde corte correvano nell’etere. Si sparse la voce che fosse un Gizmo, quell’immagine già tante volte apparsa sugli schermi radar e di cui non si conosceva la causa, una zona cioè di superionizzazione dell’atmosfera. Ma quello era il capostipite di tutti i Gizmo: la testa bulbosa aveva un diametro di tre chilometri, si elevava a dodicimila metri e scendeva a meno di mezzo metro da terra. Era lungo quindici, trenta, quarantamila metri a seconda di dove lo si misurava. Aveva senz’altro una direzione e se non cambiava rotta, sarebbe presto arrivato sopra Chicago. Non c’era cosa in terra, in cielo o in mare che potesse presentare quell’aspetto sugli schermi radar.

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