Murray Leinster - Questo è un Gizmo

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Fra i romanzi che trattano il tema dell’invasione, questo dell’abilissimo Leinster è al tempo stesso uno dei più semplici e dei più avvincenti. Dall’inizio in sordina, si passa a poco a poco al terrore di massa, in un crescendo di tensione congegnato magistralmente. E questi “gizmo” sibillanti che rotolano sui deserti d’America spingendo davanti a sé nubi di polvere rossa, sono ben degni di figurare nella galleria di creature della spazio che Urania ha fino ad oggi raccolto.

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Il fatto era incontestabile: non si trattava dell’osservazione di un singolo che poteva anche sbagliare, erano registrazioni di apparecchi elettronici, immagini formate sul rivestimento fosforescente degli schermi radar, impressionati dagli elettroni accelerati, controllati a loro volta dall’eco delle onde suscitate dall’originale dell’immagine. Ora il fosforo, non può inventare, gli elettroni non sono colti dal panico. Cioè, più semplicemente, un’immagine radar è la replica fedele — esatta, senza interpretazioni — di qualcosa che esiste realmente.

Non soltanto i radar dell’aeroporto rivelavano la presenza della “cosa”, ma anche quelli della stazione meteorologica, da un diverso punto di vista, e con diversa prospettiva, certo: ma era pur sempre la stessa cosa. E nulla di simile esisteva sulla terra. Una squadra di bombardieri sarebbe apparsa come una chiazza sugli schermi e questa invece era una nube, un oggetto solido, di enormi dimensioni. E poi non poteva essere solido! Era troppo grosso. E neanche poteva essere una nube: non era spinta dal vento. Si muoveva per conto proprio, anche se il vento poteva forse influire sul suo corso.

I piloti corsero agli apparecchi; i motori rombarono sulle piste e gli aerei decollarono e scomparvero nella notte. Tutti i campi, anche i più lontani, entrarono in allarme. Metà delle forze aeree disponibili sui vicini aeroporti militari si alzarono in volo e mossero direttamente contro la cosa enorme, che provocava preoccupanti segnalazioni del radar.

La trovarono e non videro nulla, benché i radar di bordo ne tracciassero i contorni. Lanciarono i missili, si buttarono dentro, avanti, indietro, di fianco. Nessun nucleo, niente di solido, nulla di percettibile. Secondo certi piloti i motori del loro jet funzionavano meglio, quando erano in mezzo alla cosa, ma per altri, invece, era peggio.

Qualche apparecchio fece ritorno alla base, subito sostituito da un altro. La “cosa” segnalata dal radar era troppo vasta, e gli aerei che l’attraversavano non la disturbarono minimamente. Continuava tranquilla ad avanzare su Chicago.

Un pilota riferì che le fiamme dei jet gli sembravano più lunghe del solito, ma del resto non ne era ben sicuro. Osservazione probabilmente inesatta: i Gizmo, volando a sciami, avevano bisogno di spazio tra l’uno e l’altro proprio come gli stormi d’uccelli. Il radar naturalmente non registrava migliaia di singoli esseri distinti, ma ne riproduceva la struttura generale.

Alle due e venti del mattino, la massa dei Gizmo raggiunse Chicago. Le sirene avevano svegliato la gente e le stazioni radio-televisive che avevano già concluso le trasmissioni, le ripresero per diffondere la notizia dell’inspiegabile evento.

Nulla di grave, in realtà, ma si consigliava di evitare gli ingorghi di traffico e s’invitavano i cittadini di Chicago a non uscire di casa. Sarebbero stati tenuti continuamente al corrente; e le autorità avrebbero tempestivamente comunicato le eventuali misure protettive, in caso di bisogno.

Lo stormo di Gizmo calò sul mattatoio.

Il rombo degli apparecchi che volteggiavano disperatamente all’interno della nube invisibile fu soverchiato dalle strida delle povere bestie prigioniere, quando arrivarono i Gizmo. Chiusi nei recinti, gli animali condannati mugghiavano disperatamente, con quei sibili addosso. L’urlo di disperazione corse sulla città, e a Chicago lo udirono tutti i cittadini, svegliati dalle sirene, atterriti dalle notizie trasmesse per radio. Un guardiano del mattatoio telefonò dalla cabina vetrata di dove sorvegliava i recinti delle bestie. Si sentivano come dei sibili, insistenti e penetranti. Davanti a lui le povere bestie si agitavano disperatamente, si buttavano una sull’altra, cozzavano nel vuoto, con grida mai sentite prima.

L’uomo s’interruppe di colpo, ci fu un rumore di cose in frantumi, e la comunicazione fu troncata.

Al mattino i recinti erano pieni di bestie morte. Mucche, pecore… — anche le pecore avevano lottato disperatamente — e maiali. Tutti morti. Tra i caduti, qualche uomo, una ventina appena, guardiani e sorveglianti. Certi operai che stavano facendo riparazioni all’interno di una delle maggiori celle frigorifere non sentirono nulla, né le sirene, né la radio, neppure le grida disperate degli animali morenti. Continuarono tranquillamente il lavoro e quando uscirono si trovarono in un silenzio di morte. Il giorno spuntava e quegli uomini si videro davanti cataste di bestie morte. C’erano anche la polizia, i vigili del fuoco, i medici che osservavano con prudenza la scena.

Ci fu allora una serie di reazioni, insieme stravaganti e prevedibili. Era evidente che qualcosa di insospettato, qualcosa d’invisibile, di letale e dotato di volontà, era in azione. Tutto un settore dell’opinione pubblica chiese a gran voce la guerra immediata con l’Unione Sovietica, certamente la causa di tutto. Un altro settore, meno numeroso, spiegava tutto coi dischi volanti, che esistevano sicuramente: il bestiame di Chicago era stato ucciso dagli invasori spaziali e bisognava mandare davanti alla Corte Marziale quei piloti dell’Aeronautica Militare che negavano di averli visti in volo su Chicago. Altri davano la colpa alle industrie locali e parlavano di inquinamento. C era un certo numero di persone fermamente convinte che la morte del bestiame fosse dovuta a qualche germe, trasportato dal vento. Che la nube segnalata dal radar andasse contro vento, questo non scuoteva minimamente la loro fiducia: era chiaro che i rilievi fatti sulla direzione e sulla velocità del vento dovevano essere sbagliati.

I giornali si sfogavano con titoli a caratteri cubitali, ma poi si limitavano a riferire i fatti. Strano che una breve notizia da Roanoke nella Virginia non trovasse posto neppure nelle ultime edizioni. Ma in fondo c’era da parlare della reazione della popolazione di Chicago e dare i particolari degli avvenimenti già narrati.

Certo, una delle cose più straordinarie della mente umana è la capacità di credere fermamente e contemporaneamente a due cose contraddittorie. Dopo la strage di Serenity, dopo il numero eccezionale di persone morte nel sonno il martedì, c’erano stati la strage degli animali nel campo di granoturco del Minnesota, l’enorme aumento di decessi per incidenti stradali il mercoledì, e il massacro del bestiame a Chicago nelle prime ore del venerdì mattina. Era evidente che un’epidemia, forse un’afta epizootica, faceva strage fra gli animali e colpiva anche gli uomini. D’altra parte, era altrettanto evidente che nel fatto di Chicago era intervenuto qualcosa di ben diverso da una malattia. E tra la strage di Chicago e quella del Minnesota c’era un’assoluta somiglianza, anche per come le povere bestie erano morte. E rientrava perfettamente nel quadro la morte per soffocamento degli automobilisti. Si era notato che le vittime d’incidenti stradali non viaggiavano mai a forte velocità nel momento della disgrazia. Se ne andavano tranquillamente a meno di cinquanta all’ora, con i finestrini aperti. Pareva logico dedurne che era al lavoro lo stesso nemico.

Qualcuno forse arrivò a questa conclusione, ma furono ben pochi: la pubblica opinione continuò fermamente a credere a un morbo misterioso che uccideva uomini e animali indistintamente, o a un altro fattore — forse i Russi, forse gli abitanti di un altro pianeta — una cosa viva, però, che faceva strage di uomini e di animali. Le cittadine si barricarono dietro i posti di blocco, stabilirono ferree quarantene, non molto sensate, e richiesero l’installazione di batterie antiaeree.

Le città più grandi presero misure ancor più rigide.

Particolarmente richiesti i missili teleguidati.

Se poi qualcuno osava dire che il bestiame di Chicago non era morto per malattia veniva denunciato per aver negato una verità di fede. Ma chi faceva osservare che, se il bestiame era morto di malattia, le batterie antiaeree erano del tutto inutili, veniva considerato un sovversivo.

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