A Burke sfuggì un gemito quando la macchina filò per la strada, e lui capì dalle parole di Lane e della Warren, più forti degli incessanti latrati di Mostro, che volevano attirare un gruppo di Gizmo come quello che aveva attaccato Murfree, che aveva formato i turbini di polvere e ucciso la gente nelle macchine.
— Ma signor Lane — protestò Burke, lamentoso — c’è un Gizmo nella federa e ne chiamerà certo degli altri!
— Sì — tagliò corto la Warren — e se arrivano ne faremo sterminio.
— Ma potrebbero essere vortici di polvere! — protestò Burke. — Mio Dio, signor Lane, li state proprio invitando a seguirci!
— Esatto — disse Lane. — Proprio come farebbero gli abitanti della cittadina che voi vorreste organizzare: li attirerebbero, per poi sterminarli.
Sentì un suono strano, tra i guaiti lamentosi, disperati di Mostro: erano i denti di Burke che battevano. Lane s’ingolfò in una discussione tecnica sui metodi da usare per attirare i Gizmo e poi sterminarli.
La Warren disse improvvisamente, con l’aria di scusarsi: — Mi vergogno a dirlo, Dick, ma vorrei fare un tentativo molto poco scientifico. Come scienziata, mi sento fremere, ma vorrei provare ugualmente.
— Forza, tentate — la incoraggiò Lane.
La Warren si tuffò in mezzo a pacchi e pacchetti stipati nel retro della macchina, e ne riemerse con in mano il sacchetto riempito nella drogheria di Murfree, pochi minuti prima dell’attacco dei Gizmo.
— Vorrei provare — disse la Warren, un po’ imbarazzata — un… un rimedio contro gli spiriti. Potrebbe funzionare anche con i Gizmo.
— La scienza è una cosa meravigliosa — commentò Lane. — Si serve persino di rimedi contro gli spiriti in cui non crede!
— Sciocchezze! — disse la Warren. — Questa non è scienza, è superstizione. Però da generazioni i Boeri mettevano pane ammuffito sulle ferite, prima che si scoprisse la penicillina! E anche qui si tratta di pratiche superstiziose contro gli spiriti e i demoni. Io…
E tirò fuori uno spicchio d’aglio. Avvolto nella sua pellicola serica, era assolutamente inoffensivo. — Si è sempre saputo — disse la Warren, per scusarsi — che gli spiriti non potevano sopportare l’odore di aglio e di assafetida, e la gente portava al collo sacchetti di assafetida, che puzzava ancor più dell’aglio. Ho preso dell’aglio, e voglio vedere come reagisce il nostro prigioniero.
E infilò la mano nella federa. L’ostaggio si dimenò nella prigione di percalle, ma il suo sibilo era sempre uguale.
La Warren ritirò la mano, spezzò lo spicchio d’aglio, se lo passò sulla mano, poi la infilò di nuovo nel sacco.
Ci fu come una convulsione del Gizmo, che lanciò un sibilo così stridulo che parve un gemito. Si dimenava furioso. La Warren ritirò la mano mentre la “cosa” continuava a sbattere contro le pareti di tela.
— Si credeva che l’aglio cacciasse gli spiriti — osservò la scienziata con aria soddisfatta — proprio perché tiene davvero lontano i Gizmo. È chiaro che spiriti e Gizmo sono la stessa cosa. Vedete, Dick, come le nostre ricerche, fanno a ogni istante un passo avanti? Ormai abbiamo buone armi contro i Gizmo! Aglio ce n’è dappertutto! E basta che la gente se lo sfreghi addosso per proteggersi. E l’assafetida va ancora meglio: Dick, questo è un grande momento!
— Sì, ripristinare l’uso del sacchetto di assafetida è veramente un grande trionfo della scienza — osservò Lane calmo.
Mostro ululava di spavento, sentendo i sibili del prigioniero torturato dall’aglio. La Warren con tutte le cautele passò la federa a Burke, poi si chinò per confortare un po’ il cane. Invano. La cosa nel sacco gettava sibili rabbiosi che mettevano Mostro in crisi.
Burke dette un gemito. La macchina filava e intanto l’uomo con il cranio pelato mormorava debolmente: — Un medico… Ho avuto un collasso…
Lane guardò nello specchietto e disse alla Warren: — Non vi sembra di vedere delle ondulazioni dietro, sulla strada?
La Warren si girò per guardare, poi annuì gravemente: — Sì, un gruppo di Gizmo ci segue. Li ha certo chiamati il loro amico, ma li elimineremo.
Burke si tolse il sigaro di bocca, e freneticamente ne premette la punta accesa sulla federa. La tela si bucò subito: una fiammata, un lieve sibilo e un gran puzzo.
— L’ho… l’ho ucciso! — ansimò Burke. — non potete far venire i Gizmo sulla mia macchina!
Lane non disse una parola: ormai la cosa era fatta, non c’era niente da dire. La Warren si morse le labbra, e fissò lo spaventatissimo Burke. Poi abbassò un vetro per rinnovare l’aria. Lane domandò.
— Continuano a seguirci?
— No — rispose la Warren. — Vedo sempre quelle specie di onde, ma si sono fermate. Non ci vengono più dietro.
— Bene — concluse Lane, e poco dopo aggiunse: — La casa del dottore, credo.
Era quasi il tramonto, ormai. Seguendo le indicazioni dell’uomo, Lane svoltò in direzione della linda casa del medico, un po’ discosta dalla strada, proprio ai margini del paese.
Su tutto si stendeva una luce rosata, come la si vede talvolta al tramonto.
La Warren scese di macchina. Seria in viso, fece un cenno all’uomo dal cranio pelato così rianimato all’idea del medico che per sbaglio scese di macchina da solo e poi si stupì di non essere crollato esanime.
— Venite! — brontolò la Warren. — Dick, tenete d’occhio Burke. Voglio vedere se si può far qualcosa. Ormai sappiamo come la gente può difendersi: devono semplicemente far uso di quello in cui credevano i loro antenati!
Lane fece cenno di sì. La Warren prese sottobraccio l’uomo calvo e si diresse decisamente verso l’ambulatorio. A vederla, sembrava che trascinasse un malfattore al posto di polizia, non un paziente dal medico. Scomparve nella porta d’ingresso, spingendo avanti l’uomo dal cranio pelato.
Lane accese una sigaretta. Burke si dimenava sul sedile. A occidente, il cielo, da rosso che era, diventava sempre più cupo, e le montagne erano già invase dall’ombra.
Burke, cercando angosciosamente di non attirare l’attenzione su di sé, appena finito un sigaro, subito ne accendeva un altro.
Il sole calava e si sentivano i suoni e le voci del crepuscolo. Certi cani abbaiavano, lontano, e un uccello mandava il suo richiamo in quella mezza luce.
La macchina, raffreddandosi, faceva sentire degli scricchiolii, e la brezza della sera, sfiorando l’erba appena tagliata, portava fin sull’auto un’aria fresca e profumata. Cadeva la notte, e la Warren e l’uomo calvo erano sempre nell’ambulatorio del dottore.
Il sole calò su tutto il paese. Dappertutto la situazione era confusa; in molti posti non s’era verificato niente d’insolito, ma in altri, cani, gatti, canarini giacevano esanimi, e la gente era perplessa e spaventata.
Non si cercava ancora una spiegazione del fenomeno; i veterinari esaminavano perplessi le bestie morte, che a un certo punto non potendo più respirare, avevano lottato ed erano cadute soffocate. Tutti i centri agricoli statali erano tempestati di telefonate e i funzionari rispondevano stancamente che i sintomi descritti erano ormai ben noti, benché tuttora inspiegabili. Per due o tre settimane, s’erano avuti casi isolati, ma negli ultimi giorni erano considerevolmente aumentati.
Ieri e oggi l’epidemia — non poteva essere altro — era esplosa con straordinaria violenza, e ormai minacciava l’industria alimentare — carni e latte soprattutto — del paese. Era prudente astenersi dal bere latte fresco: molte mucche infatti erano morte.
Nessuno pensava ai Gizmo, perché la gente pensa secondo la logica.
E non c’era logica a considerare i Gizmo la causa unica dei vari incidenti stradali e dei morti di Serenity e dell’epidemia che aveva fatto strage tra le bestie delle foreste del Minnesota, del Maine, della Georgia e dell’Oregon, provocandone la morte tra disperate convulsioni.
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