Ursula Le Guin - Su altri piani

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Su altri piani: краткое содержание, описание и аннотация

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L’antologia è composta da racconti legati da un filo conduttore descritto nel primo racconto che fa da introduzione agli altri. L’opera trae spunto dalla possibilità di spostarsi in dimensioni parallele, detti piani, e rappresenta una specie di diario di viaggio narrato in prima persona dall’autrice stessa come se fossero esperienze vissute in prima persona o riferite da autentici conoscenti. Ogni dimensione offre spunto per la descrizione di una realtà fantastica ed affascinante, spesso rappresentazione allegorica e satirica della nostra, ma sempre ricca di poesia, sul filone de
di Jonathan Swift.

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La sua espressione era impassibile; non priva di emozione, ma chiusa.

«Non porti la garza», dissi, notandolo solo allora. «E neanche i bambini. Non sei…»

Lei scosse di nuovo la testa. «Troppo fastidio», disse in tono tranquillo, non ufficiale. «I bambini se la strappano sempre. In ogni caso, qui non abbiamo molti insetti. E qui ce n’è solo uno.»

Vero. Pareva che le mosche fossero rimaste indietro, in città e nei campi che la circondavano, coperti da uno spesso strato di letame.

«Intendi dire che c’è un solo immortale la volta?»

«Oh, no», rispose lei. «Ce ne sono altri, dappertutto. Nel terreno. A volte la gente li trova. Souvenir. Ma quelli sono molto vecchi. Il nostro è ancora giovane, devi sapere.» Guardò l’immortale, con aria stanca, ma con espressione da proprietaria, come una madre guarda un neonato poco promettente.

«I diamanti?» chiesi. «I diamanti sono gli immortali?»

Lei annuì. «Dopo un tempo davvero molto lungo», rispose. Guardò lontano, in direzione degli acquitrini che circondavano il villaggio, e poi tornò a fissarmi.

«È venuto un uomo dal continente, lo scorso anno; uno scienziato. Ha detto che dovremmo seppellire il nostro immortale. In modo che possa trasformarsi in diamante, sai. Ma ha anche detto che per il cambiamento occorrono migliaia di anni. E per tutto il tempo lui patirebbe la fame e la sete sotto la terra e nessuno si occuperebbe di lui. Non è giusto seppellire viva una persona. È dovere della nostra famiglia prenderci cura di lui. E non verrebbe nessun turista.»

Questa volta fui io ad annuire.

L’etica della situazione andava al di là della mia. Io accettavo la sua scelta.

«Vuoi dargli da mangiare?» mi chiese. Evidentemente, c’era qualcosa in me che le piaceva, perché mi sorrise.

« No», dissi; devo ammettere di essere scoppiata in lacrime.

Si avvicinò a me e mi batté la mano sulla spalla.

«È una cosa molto triste», commentò. Tornò a sorridere. «Ma ai bambini piace dargli da mangiare», continuò. «E i soldi sono utili.»

«Grazie della tua gentilezza», dissi, asciugandomi gli occhi, e le diedi altri cinque radio, che lei fui lieta di accettare. Poi girai sui tacchi e attraversai di nuovo i terreni paludosi, fino alla città, dove attesi altri quattro giorni, finché non arrivò dall’ovest la nave sorella e il simpatico giovanotto mi portò a bordo con la sua barca. Lasciai l’Isola degli Immortali, e poco tempo più tardi lasciai anche il piano di Yendi.

Siamo una forma di vita basata sul carbonio, come dicono gli scienziati, ma non so come un corpo umano possa trasformarsi in diamante, a meno che non intervenga qualche fattore spirituale, forse come effetto di sofferenze veramente interminabili.

Forse «diamante» è solo il nome che gli yendi danno a quei grumi di distruzione, una sorta di eufemismo.

Non sono ancora certa di quello che intendesse la donna del villaggio quando ha detto che ce n’era solo uno. Non si riferiva agli immortali. Spiegava perché non proteggeva se stessa e i bambini dalle mosche e perché le pareva che i rischi fossero trascurabili. Forse voleva dire che tra tutti gli sciami di mosche delle paludi dell’isola c’è solo una mosca, una sola mosca immortale, che con la sua puntura infetta di immortalità le vittime.

LA CONFUSIONE DI UÑI

Si sente parlare di piani dove non si dovrebbe andare, di piani che nessuno dovrebbe visitare, neppure per breve tempo.

A volte, nell’orribile cacofonia del bar dell’aeroporto, si sentono gli uomini del tavolino accanto parlare a bassa voce: «Gli ho detto quello che gli gnegn hanno fatto a MacDowell», oppure: «Credeva di potercela fare, su Vavizzua». A quel punto, in genere, si intromette una voce acuta, stridula, enormemente amplificata, che grida: «I passeggeri del volo delle quarundici e trenta per Hhuhh si presentino al cancello tentibei per l’imbarco» o: «Shimbleglood Rrggrrggrr è pregato di mettersi in comunicazione tramite la linea interna», e sommerge tutte le voci, oltre ad allontanare il sonno e la speranza dalle povere anime che ciondolano sulle sedie di plastica azzurra e tubi d’acciaio inossidabile imbullonati al pavimento e che si auguravano di poter riposare brevemente tra i piani e gli aeroplani; ma intanto i discorsi degli uomini seduti al tavolino sont disparu, sono finiti.

Naturalmente poteva trattarsi di semplici vanterie per far sembrare più avventurosa la loro vita. Se gli gnegn o i vavizzua fossero davvero pericolosi, l’Agenzia Interplanaria avvertirebbe la gente di tenersi lontano, un po’ come avverte di non recarsi su Zuehe.

È ben noto che il piano di Zuehe è straordinariamente tenue. I visitatori dotati di massa e solidità ordinarie corrono il rischio di spezzare le delicate trame della realtà di Zuehe, di conseguenza danneggiando interi quartieri e mettendo a repentaglio la serenità dei padroni di casa. Le relazioni interpersonali, intime e piene d’affetto, che per gli zuehe sono tanto importanti, possono subire gravi tensioni e persino giungere alla rottura a causa del peso distruttivo di un trasgressore ignorante e indifferente. Nel frattempo, la sola conseguenza subita dal trasgressore è il brusco ritorno al proprio piano, a volte in qualche posizione particolare o a gambe all’aria, una cosa che può essere imbarazzante, ma dopotutto si è in un aeroporto, dove nessuno ti conosce e dunque la vergogna non conta.

Tutti vorrebbero vedere le torri di pietra di luna che sorgono a Nezihoa e che sono ritratte nella guida di Rornan, le steppe di nebbia interminabile, le scure foreste del Sezu, i leggiadri abitanti di Zuehe, che hanno i capelli color argento brunito talmente fini che la mano non si accorge di toccarli.

È triste che un piano così incantevole non si possa visitare; per fortuna, alcuni di coloro che lo hanno visto sono stati in grado di descrivercelo. Comunque, qualcuno ci va ugualmente. Le persone normal-egoistiche giustificano la loro invasione di Zuehe con la nota scappatoia di ritenersi diversi da tutti quegli altri che vanno su quel piano e lo rovinano. Le persone estremamente egoiste ci vanno per vantarsene, proprio perché è fragile, danneggiabile e di conseguenza è un trofeo.

Quanto agli zuehe, sono troppo gentili, riservati e vaghi per proibire l’ingresso a chiunque. I verbi, nel loro nebuloso linguaggio, non hanno neppure un modo indicativo, tanto meno imperativo. Gli zuehe hanno solo il condizionale. Hanno mille modi per dire forse, chissà, a meno che, anche se, ma se… ma non un o un no deciso.

Così, al solito punto di ingresso nel piano, l’Agenzia Interplanaria ha collocato non un hotel, ma una rete: una grossa, forte rete di nailon. Chiunque arrivi su Zuehe, anche involontariamente, viene catturato, spruzzato di antiparassitario — di quello usato per le pecore — riceve un opuscolo contenente un avvertimento molto chiaro, in 442 lingue, ed è rinviato al suo piano, meno affascinante ma più durevole, dove l’Agenzia si assicura che arrivi a gambe all’aria.

Sono stata su un solo piano che davvero non raccomanderei a nessuno e dove certamente non farò mai ritorno. Non sono certa che sia esattamente pericoloso. Non sono la persona più adatta per giudicare i pericoli. Per farlo, occorre essere coraggiosi. Le emozioni e i brividi, che per alcune persone sono il sale della vita, a me tolgono tutto il gusto di vivere.

Quando sono spaventata, il cibo sa di segatura — il sesso, con la sua vulnerabilità del corpo e dello spirito, è l’ultima cosa che potrei desiderare — le parole sono prive di significato, il pensiero diviene incoerente, l’amore è paralizzato. Una codardia di questo livello, lo so, non è comune. Molte persone dovrebbero appendersi per i denti a una corda consumata, agganciata con un fermaglio per la carta a un pallone che perde aria calda, al di sopra del Grand Canyon, per provare quello che sento io quando salgo sul terzo scalino di una scala a pioli e cerco di mettere il becchime nella mangiatoia degli uccellini.

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