Ursula Le Guin - I venti di Earthsea

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La moglie di Alder il guaritore è morta, ma ogni notte invoca il marito dalle terre oltre il muro e tenta di attraversarne la soglia proibita. Nonostante il suo dolore, Alder comincia a temere che i trapassati cercheranno di entrare in massa in Earthsea, e per scongiurare il pericolo cerca l’aiuto di tre straordinari personaggi: Tehanu la donna bruciata, Tenar la sacerdotessa e il giovane Lebannen, apprendista re nel regno di Havnor. Insieme al drago Irian, capace di trasformarsi in donna, questo piccolo gruppo di eroi affronterà la rischiosa missione che ha come meta il Bosco Immanente di Roke, il luogo più sacro dell’arcipelago…

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Ursula Le Guin

I venti di Earthsea

Nell’Ovest oltre l’Ovest
oltre la terra
la mia gente sta danzando
sull’altro vento.

Canzone della donna di Kemay

1

Riparando la brocca verde

Vele lunghe e bianche come ali di cigno portarono la nave Farflyer nell’aria estiva, attraverso la baia, dalle scogliere di Armed Cliffs verso Gont Port. L’imbarcazione scivolò sull’acqua cheta oltre il molo, una creatura del vento così sicura e aggraziata che un paio di cittadini intenti a pescare sul vecchio pontile la accolsero acclamando, agitando la mano per salutare i membri dell’equipaggio e l’unico passeggero in piedi a prua.

L’uomo era di corporatura sottile, con uno zaino smilzo e un vecchio mantello nero, probabilmente uno stregone o un modesto commerciante, non certo una persona ragguardevole. I due pescatori osservarono il trambusto sul molo e sul ponte della nave mentre la Farflyer si preparava a scaricare le stive, e si limitarono a lanciare un’occhiata al passeggero con scarsa curiosità quando questi lasciò la nave e uno dei marinai fece un gesto alle sue spalle, pollice e indice e mignolo della mano sinistra puntati tutti verso di lui, a significare: "Mi auguro di non vederti mai più!".

L’uomo esitò sul molo, mise in spalla lo zaino e s’incamminò per le strade di Gont Port. Erano vie piene di attività, e subito giunse al mercato del pesce, tra schiamazzi di venditori e clienti che contrattavano, avanzando sulle pietre del selciato che luccicavano di squame e di acqua salmastra. Se aveva una direzione da seguire, ben presto si smarrì in mezzo ai carretti e alle bancarelle, alla folla e agli occhi spenti del pesce morto.

Una vecchia piuttosto alta si scostò da una bancarella dopo avere oltraggiato la freschezza delle aringhe e la veridicità della pescivendola. Vedendo che la donna lo fissava torva, lo straniero chiese male accorto: — Saresti così gentile da indicarmi che strada prendere per andare a Re Albi?

— Diamine, vai ad affogarti in una pozza di broda per maiali, tanto per cominciare — sbottò la vecchia, e si allontanò a grandi passi, lasciando l’uomo stupefatto e allibito. Ma la pescivendola, approfittando della circostanza per dimostrare la propria virtù, vociò: — Re Albi, eh? Vuoi andare a Re Albi, eh? Basta chiedere! La casa del vecchio mago, ecco cosa cerchi a Re Albi, secondo me. Sì, dev’essere così. Bene, vai là a quell’angolo e poi sali per via delle Anguille finché non arrivi alla torre…

Dopo che lo straniero ebbe lasciato il mercato, delle strade ampie in salita lo portarono oltre la massiccia torre d’osservazione, fino a una porta della città. Due draghi di pietra a grandezza naturale sorvegliavano il passaggio, denti lunghi quanto il suo avambraccio, occhi scolpiti che fissavano torvi e ciechi la città e la baia. Una sentinella in ozio gli disse che girando a sinistra in cima al viale, si sarebbe trovato a Re Albi. — Prosegui e attraversa il villaggio per raggiungere la casa del vecchio mago — aggiunse il guardiano.

Così il forestiero arrancò lungo la strada, che era piuttosto ripida, e camminando osservò i pendii più scoscesi e il picco lontano del monte Gont, che sovrastava l’isola come una nuvola.

La via era lunga ed era una giornata assai calda. Ben presto l’uomo si tolse il mantello nero e proseguì a capo scoperto in maniche di camicia; non aveva pensato di procurarsi dell’acqua o comprare del cibo, forse per un eccesso di diffidenza e ritrosia, essendo un uomo che non aveva dimestichezza con le città e che non si sentiva a proprio agio con gli sconosciuti.

Dopo parecchie miglia raggiunse un carro che aveva visto a lungo davanti a sé sulla strada polverosa, come una macchia scura in una nuvola di polvere. Il carretto cigolava e scricchiolava, trainato lentamente da un paio di piccoli buoi che parevano vecchi, rassegnati e grinzosi come tartarughe. Lo straniero salutò il carrettiere, che assomigliava ai suoi animali. Quello non disse nulla, ma batté le palpebre.

— Per caso, non c’è una sorgente lungo la strada? — chiese il forestiero.

L’altro scosse lentamente la testa. Trascorso parecchio tempo, disse: — No. — E alcuni istanti dopo, soggiunse: — Non c’è nessuna sorgente.

Proseguirono entrambi, arrancando. Scoraggiato, lo straniero stentava a procedere più veloce dei buoi; l’andatura era di circa un miglio all’ora, forse.

Si rese conto che il carrettiere, muto, gli stava porgendo qualcosa: una grossa brocca di creta, fasciata di vimini. La prese e, constatato che era molto pesante, bevve a volontà; quando la restituì, ringraziando, il peso della brocca era diminuito pochissimo.

— Sali — disse poco dopo quello.

— Grazie. Continuo a piedi. Quanto dista ancora Re Albi?

Le ruote cigolarono. I buoi fecero un sospiro profondo, prima uno, poi l’altro. La loro pelle impolverata aveva un odore gradevole sotto il sole caldo.

— Dieci miglia — rispose il carrettiere. Rifletté, e disse: — O dodici… — Dopo una pausa, concluse: — Non meno di una dozzina.

— Meglio che continui a piedi, allora — fece lo straniero.

Ristorato dall’acqua, riuscì a distanziare i buoi, ma gli animali, il carro e il carrettiere erano ormai parecchio indietro quando sentì l’uomo che nuovamente gli si rivolgeva. — Stai andando dal vecchio mago — disse. Se era una domanda, non sembrava richiedere una risposta. Il viaggiatore proseguì.

Quando aveva imboccato la strada, vi si posava ancora la grande ombra della montagna, ma quando girò a sinistra verso il piccolo villaggio che immaginava fosse Re Albi, il sole sfolgorava nel cielo a ovest, e sotto di esso il mare era come acciaio.

C’erano delle casette sparse, una piccola piazza polverosa, una fontana da cui zampillava un rivoletto d’acqua. Lo straniero si diresse verso di essa, bevve più volte unendo le mani, mise la testa sotto lo zampillo, si strofinò i capelli con l’acqua fresca e lasciò che gli scorresse lungo le braccia; si sedette poi sul bordo di pietra della fontana, osservato in silenzio e con attenzione da tre ragazzini sporchi, due maschi e una femmina.

— Non è il maniscalco — disse uno di loro.

Il viaggiatore si pettinò i capelli bagnati, con le dita.

— Andrà a casa del vecchio mago, stupido — disse la ragazzina.

— Iaauuhh! — fece il bambino, e torse la faccia in una smorfia orribile tirandola con una mano, mentre con l’altra artigliava l’aria.

— Attento, Stony — disse il secondo ragazzine.

— Ti porto là — propose la bambina al viaggiatore.

— Grazie — annuì lo straniero, e si alzò stancamente.

— Non ha nessun bastone, vedi? — disse uno dei due maschi, e l’altro replicò: — Mai detto il contrario. — Con occhi cupi, osservarono entrambi il forestiero che seguiva la bambina e usciva dal villaggio. Si muovevanoverso un sentiero che andava a nord passando tra pascoli rocciosi che digradavano erti a sinistra.

Il sole sfolgorava sul mare. Lo straniero era abbagliato, e l’orizzonte elevato e il vento che soffiava gli procuravano un senso di vertigine. La ragazzina era una piccola ombra saltellante davanti a lui. Si fermò.

— Andiamo — lo esortò lei, ma si fermò a sua volta. Lui la raggiunse lungo il sentiero. — È là — indicò. Lo straniero vide una casa di legno vicino all’orlo della scogliera, ancora un po’ distante.

— Io non ho paura — disse la ragazzina. — Vado a prendere le loro uova spessissimo, e poi il padre di Stony le porta al mercato. Una volta lei mi ha dato delle pesche: la vecchia signora. Stony dice che le ho rubate, ma io non rubo mai. Su, vai. Lei non c’è. Non c’è nemmeno l’altra.

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