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Ursula Le Guin: I venti di Earthsea

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Ursula Le Guin I venti di Earthsea

I venti di Earthsea: краткое содержание, описание и аннотация

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La moglie di Alder il guaritore è morta, ma ogni notte invoca il marito dalle terre oltre il muro e tenta di attraversarne la soglia proibita. Nonostante il suo dolore, Alder comincia a temere che i trapassati cercheranno di entrare in massa in Earthsea, e per scongiurare il pericolo cerca l’aiuto di tre straordinari personaggi: Tehanu la donna bruciata, Tenar la sacerdotessa e il giovane Lebannen, apprendista re nel regno di Havnor. Insieme al drago Irian, capace di trasformarsi in donna, questo piccolo gruppo di eroi affronterà la rischiosa missione che ha come meta il Bosco Immanente di Roke, il luogo più sacro dell’arcipelago…

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— Dimmi come sono andate le cose al tuo arrivo a Roke.

Pur se oppresso dalla stanchezza, dall’angoscia e dal timore, Alder possedeva l’eloquenza tipica della propria isola; e quello che tralasciò, per evitare di dilungarsi troppo o raccontare all’arcimago cose risapute, Sparviere poteva immaginarlo benissimo, ricordando la prima volta che egli stesso era giunto sull’isola dei Saggi quando era un ragazzo di quindici anni.

Quando aveva abbandonato la nave al molo della città di Thwil, uno dei marinai aveva tracciato sulla passerella la runa della "porta chiusa", perché quel passeggero non tornasse più a bordo. Alder se ne accorse, ma rifletté che il marinaio aveva valide ragioni per farlo. Lui stesso si sentiva di malaugurio, portatore di qualcosa di oscuro. Questo lo rese più timoroso di quanto non sarebbe stato comunque in una città straniera. E Thwil era una città molto singolare.

— Tutte quelle strade confondono l’animo — commentò Sparviere.

— Confondono eccome, mio signore… Scusa, la mia lingua obbedisce al mio cuore, non alla tua volontà…

— Non importa. Un tempo ero abituato ai titoli. Posso essere il signore capraio, se questo ti facilita il discorso. Continua.

Ricevendo indicazioni sbagliate da quelli a cui si rivolse, o fraintendendo quelle ricevute, Alder vagò nel piccolo labirinto collinare di Thwil con la scuola sempre in vista ma senza riuscire ad arrivare a destinazione, finché, ormai disperato, non giunse a una porta disadorna in un muro spoglio che dava su una piazza. Dopo averlo fissato un po’, si rese conto che quel muro era la meta che stava cercando. Bussò, e un uomo con una faccia tranquilla e occhi sereni aprì.

Alder stava per dire di essere stato inviato dal mago Beryl di Ea con un messaggio per il maestro evocatore, ma non ebbe la possibilità di parlare. Il portinaio lo guardò un istante e disse pacato: — Non puoi portarli in questa casa, amico.

Lui non chiese chi non potesse portare con sé. Lo sapeva. Non aveva quasi chiuso occhio nelle ultime notti, sonnecchiando per brevi periodi e destandosi terrorizzato, appisolandosi di giorno, vedendo il pendio d’erba secca che scendeva fin sul ponte assolato della nave, il muro di pietra sulle onde del mare. E al risveglio, il sogno era dentro di lui, con lui, attorno a lui, velato, e sentiva sempre, debolmente, attraverso i rumori del vento e del mare, le voci che gridavano il suo nome. A quel punto, non sapeva se fosse sveglio o addormentato. Era sconvolto dal dolore, dalla paura, e dalla stanchezza.

— Teneteli fuori e lasciatemi entrare — supplicò. — Abbiate pietà, e lasciatemi entrare!

— Aspetta qui — disse l’uomo, con la stessa pacatezza di prima. — C’è una panca… — Indicò, e chiuse la porta.

Alder andò a sedersi sul sedile di pietra. Ricordava di essersi seduto, e ricordava dei ragazzi sulla quindicina che lo guardavano incuriositi mentre gli passavano accanto ed entravano in quella porta, ma rammentava solo in modo frammentario quanto accadde in seguito.

Il portinaio tornò con un giovane che aveva il bastone e il mantello di un mago di Roke. Poi si ritrovò in una stanza, che a quanto capì era la stanza di una pensione. Arrivò il maestro evocatore e cercò di parlare con lui. Ma ormai non era più in grado di comunicare. Tra il sonno e la veglia, tra la stanza soleggiata e la fosca collina grigia, tra la voce dell’evocatore che pronunciava parole e le voci che lo chiamavano al di là del muro, era incapace di pensare e di muoversi, nel mondo dei vivi. Ma nel mondo tenebroso delle voci che lo chiamavano, sarebbe stato facile fare quei pochi passi che lo separavano dal muro e lasciare che le mani protese lo afferrassero e lo stringessero. Se fosse stato uno di loro, lo avrebbero lasciato in pace, pensò.

Poi, a quanto rammentava, la stanza soleggiata era scomparsa del tutto, e lui era di nuovo sulla collina grigia. Ma con lui c’era l’evocatore di Roke: un uomo grande e grosso dalla pelle scura, con un massiccio bastone di tasso che luccicava in quel luogo buio.

Le voci avevano cessato di chiamare. Le persone, le figure che si accalcavano nei pressi del muro, erano sparite. In lontananza si udiva un fruscio, e qualcosa di simile a dei singhiozzi, che si perdevano nell’oscurità.

L’evocatore si accostò al muro e vi posò sopra le mani.

Le pietre erano state smosse, qui e là. Alcune erano cadute sull’erba secca. Alder pensò che avrebbe dovuto raccoglierle e rimetterle a posto, che avrebbe dovuto riparare il muro, ma non lo fece.

L’evocatore si girò verso di lui e gli chiese: — Chi ti ha portato qui?

— Mia moglie, Mevre.

— Chiamala.

Lui rimase muto. Alla fine aprì la bocca, ma non pronunciò il nome vero della moglie, bensì il nome d’uso, quello con cui le si rivolgeva quando lei era viva. Chiamò: — Giglio… — Il suono della parola non aveva nulla che ricordasse un fiore bianco, sembrava il rumore di un sasso caduto nella polvere.

Silenzio. Le stelle brillavano minuscole e fisse nel cielo nero. Alder non aveva mai guardato il cielo in quel luogo, prima di allora. Non riconobbe quelle stelle.

— Mevre! — gridò l’evocatore, e con voce profonda disse alcune parole nella Vecchia lingua.

Alder si sentì mancare il respiro, reggendosi in piedi a stento. Ma nulla si mosse sul lungo pendio che scendeva nell’oscurità informe.

Poi, qualcosa si avvicinò, qualcosa di più chiaro, che risalì la collina, avvicinandosi lentamente. Alder tremò di paura e di desiderio, e mormorò: — Oh, mio dolce amore…

Ma la figura che avanzava era troppo piccola per essere Giglio. Vide che era una creatura che doveva avere circa dodici anni, un bambino o una bambina, non riuscì a capirlo. La presenza ignorò sia lui che l’evocatore, non guardò mai oltre il muro, e si sedette proprio sotto di esso. Alder si avvicinò e guardò in basso, e vide che la giovane creatura stava cercando di allargare le pietre e di staccarle.

L’evocatore stava sussurrando nella Vecchia lingua. La creaturina alzò una volta lo sguardo con indifferenza, e continuò a smuovere le pietre con dita esili che sembravano prive di forza.

Era una vista così orribile che fu assalito da un capogiro; cercò di allontanarsi, dopo di che ricordava solo di essersi svegliato nella stanza soleggiata, steso sul letto, debole, sofferente e infreddolito.

C’erano delle persone che si prendevano cura di lui: una donna sorridente e distaccata, che era l’affittacamere, e un vecchio tarchiato dalla pelle bruna, venuto con il portinaio. Alder lo scambiò per uno stregone medico. Solo dopo averlo visto con il suo bastone di olivo capì che era l’erborista, il maestro di guarigione della scuola di Roke.

La sua presenza portò sollievo, e l’erborista riuscì a farlo dormire. Preparò un infuso e glielo fece bere, e accese un’erba che bruciava lentamente con un odore simile a quello della terra scura dei pineti, e si sedette accanto a lui, intonando un lungo canto sommesso. — Ma io non devo dormire — protestò Alder, sentendo che il sonno lo pervadeva come una grande onda scura. Il guaritore posò la mano calda sulla sua, e un senso di pace si diffuse in Alder, che scivolò nel sonno senza paura. Il contatto con la mano del guaritore lo teneva lontano dal colle tenebroso e dal muro di pietra.

Si svegliò per mangiare un po’, e poco dopo il maestro erborista gli fu di nuovo accanto con l’infuso tiepido insipido e il fumo che sapeva di terra, la cantilena monotona e il tocco della propria mano; così Alder poté riposare.

Il guaritore aveva delle mansioni da svolgere alla scuola, quindi poteva essere lì solo alcune ore durante la notte. In tre notti, Alder riposò abbastanza da riuscire a mangiare e passeggiare un po’ in città di giorno, e pensare e parlare in modo lucido. Il quarto mattino si presentarono nella sua stanza i tre maestri: l’erborista, il portinaio e l’evocatore.

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