John Christopher - Morte dell'erba

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Il romanzo tratta dell’imbarbarimento della società in seguito al diffondersi del virus Chung-Li, il quale colpisce e distrugge irrimediabilmente tutti i tipi di quella che sinteticamente e definita “erba”, in dettaglio tutte le piante erbacee appartenenti alla famiglia delle
, tra cui il comune foraggio erbaceo da graminacee, il mais, il miglio, il sorgo, la segale, l’orzo, il riso ed il grano, causando così la lotta globale per l’accaparramento delle scorte alimentari. Il protagonista del romanzo combatte per raggiungere la valle del fratello che rappresenta la salvezza, dove contro l’ottimismo delle autorità mondiali e la distruzione folle delle risorse, si sono isolate e difese le rimanenti piante alimentari, non appartenenti alla famiglia in argomento.
Il romanzo esce per la prima volta in Italia nel 1958 nella collana
(n° 43) con il titolo
(traduttore Sergio Uglioni). Il presente traduzione di Mario Galli era pubblicato nel 1967 nel collana
(n° 476).

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— E tu lo farai, vero? Il mondo sulle tue spalle.

— Fino a questo momento siamo stati fortunati — disse lui. — Può non sembrare vero, ma è così. Fortunati di essere potuti uscire da Londra, e fortunati di essere arrivati tanto a nord prima che scoppiassero guai peggiori. Questi posti sembrano deserti perché gli abitanti si sono ritirati dietro le difese, e la massa dei fuggiaschi non è ancora arrivata. Ma abbiamo al massimo un giorno di vantaggio, forse anche meno. E quando loro arriveranno…

Guardò le acque dell’Ure. Il paesaggio estivo era strano soltanto per la mancanza del verde tanto familiare. John non voleva credere a ciò che aveva detto, tuttavia sapeva che era la verità.

— … noi saremo già a Blind Gill — concluse Ann.

— Vorrei essere già arrivato.

— Sono stanca — disse Ann, — e non voglio più parlare, né di questo né di altro. Lasciami riposare, John.

Rimase a osservarla per un momento, poi si allontanò. E nell’andarsene vide Millicent che guardava nella sua direzione da sotto un gruppo d’alberi. I loro occhi s’incontrarono, e lei gli sorrise.

La valle si restringeva in direzione di Hawes, mentre ai suoi fianchi le colline si ergevano ripide, e i muriccioli di confine si fermavano molto prima di raggiungerne le cime. Hawes non sembrava difesa come le altre città. Comunque la evitarono aggirandola a sud, guadando alcuni tributari dell’Ure, che fortunatamente avevano poca acqua in quel periodo dell’anno.

Si accamparono, per la notte, all’imbocco della Widdale Gill, in un punto tra la ferrovia e la sponda del fiume. Nelle vicinanze trovarono un campo di patate, e subito si misero a scavare per farne una buona provvista. Olivia le fece bollire con la carne salata che avevano. Jane la aiutò, mentre Millicent diede un mezzo contributo svogliato.

Il sole era calato dietro le colline, ma c’era ancora una discreta luce. John guardò l’orologio. Non erano ancora le otto. Ora legale, non quella di Greenwich. Sorrise alla sottile e assurda distinzione.

Era ancora presto, e i ragazzi non sembravano affaticati. Avrebbe voluto dire di riprendere il cammino, ma era stupido cominciare la scalata alle alture del Mossdale nelle prime ore della sera. Sarebbero potuti invece ripartire il mattino alle prime luci dell’alba. Guardò le donne che preparavano la cena. Pirrie si era messo di guardia lungo la linea ferroviaria.

I ragazzi gli vennero vicino. Fu Davey a parlare. Gli si rivolse con un tono di deferenza, molto diverso dal modo di parlare del figlio al padre. — Papà, possiamo fare dei turni di guardia anche noi?

John studiò la faccia sveglia del figlio, la figura allampanata di Spooks, e la figuretta di Steve. Erano ancora soltanto dei ragazzi che si divertivano a fare qualcosa di diverso dalla vita normale.

Scosse la testa. — Vi ringrazio per l’offerta, ma possiamo fare da soli.

— Abbiamo studiato come fare, papà. Non ha importanza che non sappiamo sparare. Basta restare svegli e gridare non appena si vede qualcuno. Questo lo possiamo fare.

— Per voi la cosa migliore è quella di mettervi a dormire subito dopo cena. Domani mattina ci alzeremo presto. Abbiamo i monti da scalare.

Aveva parlato con calma, e Davey ai vecchi tempi avrebbe cercato con ostinazione di convincere il padre. Adesso si limitò a scuotere la testa rassegnato verso i compagni, poi i tre ragazzi si avviarono alla riva del fiume.

Mangiarono tutti insieme, dato che Pirrie era sceso dalla scarpata e aveva affermato che non si vedeva il minimo movimento. Alla fine della cena, John stabilì i turni di guardia per la notte.

— Non includi anche Jane? — domandò Roger.

In un primo momento John pensò che Roger stesse scherzando, e scoppiò a ridere. Poi si accorse, con sorpresa, che l’amico gli aveva rivolto la domanda con serietà.

— No — disse allora — non questa notte.

Jane sedeva accanto a Olivia. Non si era mossa dal suo fianco per tutta la giornata. John le aveva viste parlare insieme, e a un certo punto aveva anche sentito Jane ridere. Ora la ragazza si era girata e osservava i due uomini senza comprendere.

— Non vuoi ucciderci mentre dormiamo, vero, Jane? — le chiese Roger.

Lei scosse solennemente la testa.

— Comunque, meglio non dartene occasione — disse John.

La ragazza si voltò di scatto. Ma per imbarazzo, non per odio.

— Ann farà il primo turno — disse John. — Tutti gli altri possono andare a dormire. Voi ragazzi spegnete bene il fuoco.

Roger lo svegliò e gli passò il fucile da caccia. John si alzò in piedi, irrigidito, e si massaggiò le gambe. La luna accendeva di riflessi le acque del fiume e disegnava le ombre delle persone distese sul terreno.

— Fa abbastanza caldo, grazie al cielo — fece Roger.

— Qualcosa da riferire?

— E cos’altro, a parte i fantasmi?

— Fantasmi? — domandò John.

— Sì, una breve traccia, e del tipo più banale. Un treno fantasma. Mi è sembrato di sentirlo fischiare in lontananza, poi, per circa dieci minuti, giurerei di averlo sentito sferragliare.

— Potrebbe esser stato veramente un treno — disse John. — Un macchinista avrebbe potuto rubare una locomotiva per tentare la fuga per ferrovia. Comunque, tutto sommato, mi sembra abbastanza impossibile.

— Preferisco pensare che si tratti di un treno fantasma. Stracarico di tutti i fantasmi degli uomini del Dale che vanno al mercato, oppure vagoni merci fantasma che trasportano il carbone estratto dalle colline. Mi chiedevo, per quanto tempo le linee ferroviarie resteranno ancora riconoscibili come linee ferroviarie? Vent’anni, trenta? E per quanto tempo gli uomini ricorderanno che una volta esistevano dei mezzi di trasporto che si chiamavano treni? Racconteremo ai nostri nipoti delle favole in cui si parla di mostri di metallo che mangiano carbone e soffiano il fumo?

— Va’ a riposare — disse John. — C’è tempo per pensare ai pronipoti.

— Fantasmi — disse Roger. — Ho visto fantasmi che mi stavano attorno. Tutti i fantasmi dei miei discendenti, tutti blu e viola…

John non rispose e si avviò su per la scarpata. Quando raggiunse il suo posto di guardia e abbassò gli occhi, Roger si era sdraiato per terra, e con tutta probabilità stava già dormendo.

Dalla sua posizione doveva controllare tutti e due i lati della linea ferroviaria, ma il lato rivolto verso nord era il più importante, dato che da quella parte c’era la strada statale. John si mise a sedere, accese una sigaretta, e cominciò a fumare tenendo la brace nascosta nel palmo della mano, in modo che nessuno potesse notare il barlume rosso. Veniva naturale ricorrere ai vecchi trucchi della vita militare in una situazione che presentava tanti punti analoghi.

Guardò il piccolo cilindro bianco che stringeva tra le dita. Quella del fumo era un’abitudine che sarebbe scomparsa, ma era inutile rinunciare prima di esserci costretto. Quanto tempo sarebbe trascorso prima che spedizioni americane raggiungessero i porti dimenticati per spingersi verso l’interno, distribuendo carne in scatola e sigarette, e seminare un tipo di vegetazione immune dal virus? Nei piccoli capisaldi come Blind Gill, in quei posti dove avrebbero trovato rifugio i superstiti della nazione inglese, questa attesa sarebbe diventata il sogno di tutti, una favola. Una leggenda, che avrebbe magari spinto i nuovi barbari ad affrontare l’oceano, e scoprire una terra bruciata e arida quanto la loro.

Non credeva che all’umanità restasse la possibilità di salvarsi all’ultimo minuto. Prima la Cina, poi l’Asia, e alla fine l’Europa. Il resto del mondo avrebbe subìto la stessa sorte, per quanto incredibile potesse sembrare. La natura stava passando lo straccio sulla lavagna della storia umana, lasciandola a disposizione dei patetici scarabocchi di pochi individui sopravvissuti sparpagliati qua e là per il globo.

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