Lo stupì sentire fame, poi si ricordò che aveva mangiato per l’ultima volta con Audrey, in un’altra esistenza. L’idea di mangiare qualcosa di caldo in un ristorante lo attirava, ma non aveva tempo da perdere. Si procurò una borsa di plastica, la riempì con sei barattoli di vernice aerosol nera per auto e di una bottiglia di solvente. Comperò il tutto in tre negozi diversi, perché nessuno sospettasse che voleva ridipingere tutta una macchina. Appoggiò sul pacco dei panini avvolti nel cellophane e alcuni barattoli di birra scura, poi riprese un autobus diretto alla periferia che passava per la strada di prima.
Una volta sceso si avvicinò alla macchina con attenzione. Aveva impiegato poco più di un’ora, ma c’era il rischio che, nel frattempo, qualcuno avesse notato l’auto. Quando fu sicuro che non c’era pericolo nella zona, salì in macchina e si diresse a est, verso le colline, cercando un angolo tranquillo dove poter lavorare senza attirare l’attenzione. Passò una mezz’oretta, prima che riuscisse a trovare una strada poco frequentata. Portava verso una cascina disabitata ed era nascosta da una siepe di biancospini. Fermò la macchina in modo da non essere visto dalla strada principale e si mise immediatamente all’opera con l’aerosol, spruzzando la vernice. Per fare un buon lavoro, avrebbe dovuto proteggere, prima di cominciare, i vetri e le parti cromate, ma si accontentò di pulire i baffi di vernice con un fazzoletto imbevuto di solvente. Spruzzando a ondate leggere e senza insistere troppo sui particolari, cambiò, nel giro di venti minuti, la sua macchina azzurra in una nera. Buttò nel fosso i barattoli vuoti, prese un cacciavite dagli attrezzi e cambiò il numero di targa, mettendo quelle vecchie nel portabagagli.
Quando ebbe finito, aveva di nuovo fame. Consumò i panini alla svelta, innaffiandoli abbondantemente di birra, poi invertì la marcia ritornando sulla statale. Resistendo all’impulso di correre, tenne una velocità moderata, senza mai superare i cento all’ora. Attraversò paesi e cittadine e, al tramonto, il paesaggio era già cambiato. Le case, in questa zona, erano costruite con una pietra più scura, la vegetazione di un verde più intenso, velata di nebbia e carica della fuliggine che esisteva in passato nel nord industriale e che aveva lasciato come eredità un suolo più ricco. Hutchman si fermava di tanto in tanto nei centri più importanti, imbucando alla posta centrale fasci di lettere. Arrivò a Stockport la sera, imbucò l’ultimo plico e, in quel momento, scoprì che la sua missione, con tutta la serie di mete a breve termine, era l’unica cosa che gli aveva impedito di crollare. Adesso non aveva più niente da fare, fino al momento di tornare ad Hastings per il suo appuntamento con la macchina ammazza-bombe. In quella pausa fu travolto da un’ondata di tristezza e di autocompassione. Il tempo era ancora freddo e asciutto. Lui scese fino al Mersey, che scorreva tutto nero, e cercò di mettere un po’ d’ordine nei suoi pensieri.
Sedette su una panchina di legno ai margini di un giardino e si prese la testa tra le mani. Vicky , pensò, e un fiotto di immagini della vita passata irruppe nella sua mente: il sorriso di Vicky quando lui accettava di far l’amore come voleva lei, il profumo degli aghi di pino, a Natale, il fresco di una camicia appena stirata. Andare in giro per commissioni con lei, in una mattina d’estate, e tutt’e due, prima di mezzogiorno, ritrovarsi mezzi brilli senza aver comperato niente. I libri che lo tenevano sveglio fino a tardi e il mattino quando era uscito per osservare del suo tiro all’arco, e la rugiada copriva il prato rendendolo visivamente inerte, come se lo si guardasse attraverso lenti polarizzate…
Alla fine, Hutchman si alzò con gli occhi aridi e tornò alla macchina passando per vie buie, spazzate da folate di aria gelida. L’odore familiare della macchina gli diede un conforto momentaneo. Fece il pieno a una stazione self-service e si sforzò di essere più costruttivo nei suoi pensieri, dato che il momento di abbandono in riva al fiume era stato perfettamente inutile, oltre che deprimente. Aveva spedito le ultime buste, comprese quelle dirette in Gran Bretagna, e da domani chi sedeva in posti importanti le avrebbe lette. Poi ci sarebbe stato un breve intervallo, mentre gli studiosi qualificati controllavano i dati matematici, e i fisici confermavano che era possibile ottenere un laser cestron. Comunque, entro domani, la notizia sarebbe corsa. Il messaggio, da quel momento, sarebbe stato semplicissimo: Trovate Lucas Hutchman, e se è in possesso di un esemplare della macchina eliminate sia lui sia la sua opera.
Nelle poche ore di sicurezza che gli restavano, Hutchman doveva trovare un buon nascondiglio per rintanarsi. Prima di tutto era un errore fermarsi a Stockport, che era il punto più scottante della pista che s’era lasciato alle spalle. I cacciatori sapevano sicuramente che una macchina anti-bombe non è facile da trasportare e avrebbe stabilito che, se esisteva realmente, molto probabilmente era nascosta in qualche località a sud, non molto lontana dalla casa di Hutchman. Un’altra ipotesi era che, dopo una puntata a nord, la loro preda tornasse verso sud, sia per far perdere le tracce sia per avvicinarsi alla macchina. In base a questi dati, Hutchman decise di proseguire verso nord.
Si diresse a Manchester, prese la tangenziale per evitare la città e continuò in direzione ovest, attraverso il Lancashire, con la vaga idea di raggiungere la regione dei laghi del Cumberland la notte stessa. Ma altre considerazioni vennero in mente. La regione dei laghi era molto lontana da Hastings, e soprattutto in quel periodo dell’anno, era molto controllabile nelle sue vie d’accesso. Era meglio scegliere un centro popoloso e, possibilmente, vicino. Lasciò la statale e consultò una carta. La città più vicina, di una certa importanza, era Bolton che, secondo lui, era un concentrato della tipica vita monotona dell’Inghilterra provinciale. Il suo nome non suscitava impressioni freudiane associate alla fantasia di una spia tipica di Crombie-Carson e, di conseguenza, dal punto di vista di Hutchman era una buona scelta. Inoltre, a quanto ricordava, non conosceva assolutamente nessuno del posto, mentre, con ogni probabilità, i cacciatori avrebbero concentrato le ricerche in un’area dove sapevano che Hutchman aveva degli amici a cui rivolgersi per aiuto.
Una volta presa questa decisione imboccò la strada Salford-Bolton e guidò prestando la massima attenzione a quello che aveva intorno, come ormai era diventata un’abitudine. La soluzione più semplice era di andare in un albergo, ma forse era anche la più pericolosa. Meglio se restava fuori tiro. Arrivando a Bolton, attraversò la città lentamente, finché si ritrovò in un quartiere squallido, come ci sono in tutte le città e nei grossi centri, dove grandi edifici cadenti combattono una battaglia ormai persa contro il deterioramento, ricevendo aiuti minimi dai proprietari che affittano camere singole. Parcheggiò in una strada di olmi nodosi, color ruggine, prese la valigia vuota e camminò finché vide una casa col cartello: Si affittano camere , appeso a una finestra del piano terreno. La donna che rispose alla scampanellata era sulla cinquantina, con un petto imponente, e portava una maglietta rosa, traforata, che copriva un complicato groviglio di nastri di seta. I capelli biondi erano raccolti in una pettinatura elaborata su di una faccia dal mento abbondante. Un ragazzino pallido di sette o otto anni, che indossava un pigiama a righe, si teneva stretto a lei, con le braccia avvolte attorno alle sue gambe.
«Buona sera» disse Hutchman, incerto. «Sto cercando alloggio e ho visto il cartello.»
«Ah sì?» la donna sembrava sorpresa di sentire che c’era un cartello. Il ragazzo osservò Hutchman, guardingo, dietro le pieghe della sottana.
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