Clifford Simak - Il cubo azzurro

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Tutto ha inizio quando il professor Edward Lansing decide di scoprire chi ha realmente scritto un magnifico saggio su Shakespeare consegnatogli da un suo studente e viene a sapere che l’alunno l’ha comprato, pensate un po’!, da una slot machine. Una rapida investigazione ed ecco che il professor Lansing si trova di fronte alla macchinetta: questa gli dà due chiavi e lo manda alla ricerca di un’altra slot machine. La terza slot machine infine si prende il suo denaro e lo trasporta in un nuovo mondo. Qui Lansing incontra uno strano assortimento di compagni di viaggio, tra cui un prepotente brigadiere, un prete pomposo, una donna ingegnere, una poetessa e un simpatico robot, tutti ignari e perplessi come lui. Allontanati dalle loro linee temporali e scaraventati in questo nuovo mondo, sono tutti giocatori in un gioco senza regole e apparentemente anche senza scopo. Comincia così un viaggio straordinario che porterà i nostri forzati avventurieri prima a un immenso cubo azzurro e poi a un’antica e misteriosa città: scopriranno allora di dover risolvere un enigma fondamentale, la cui soluzione garantirà loro un ruolo di rilievo nello sviluppo della società galattica.

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Correy indicò il campo con un gesto. — Non è un gran che, ma lo curiamo bene, e ad ogni stagione produce quanto ci basta per tirare avanti durante l’inverno. Abbiamo anche un orto piuttosto grande. Mrs. Mason ci ha fornito le sementi necessarie.

— Mrs. Mason? — chiese Melissa.

— L’ostessa della locanda — disse Correy. — È molto avida, ma ha collaborato con noi. A volte ci manda qualche recluta, altri come noi che non sanno dove andare e finiscono per tornare alla locanda. Lei non li vuole intorno, se non hanno denaro da spendere. Ma quelli che ne hanno sono pochi, e così se ne libera mandandoli da noi. Comunque, la nostra popolazione non aumenta molto. Alcuni muoiono, soprattutto nei mesi invernali. Fra la altre cose, abbiamo un cimitero sempre più esteso.

— Non c’è modo di tornare indietro? — chiese Jorgenson. — Di tornare nei mondi dai quali siete venuti?

— Se c’è, non l’abbiamo trovato — disse Correy. — Ma non abbiamo cercato molto. Qualcuno l’ha fatto. Ma in generale ci accontentiamo di star qui.

Il pasto serale era pronto per essere distribuito, quando arrivarono al campo. Sedettero tutti e tre in cerchio, con gli altri, intorno al fuoco centrale, e ricevettero scodelle di spezzatino di coniglio e altre verdure miste bollite e piatti di pesce fritto. Non c’era caffè né tè, ma soltanto acqua. E non c’era l’insalata che Correy aveva preannunciato.

Molti abitanti dell’accampamento, forse tutti (Lansing cercò di contarli, ma non ci riuscì), vennero a stringer loro la mano e a dare il benvenuto. Parlavano quasi tutti lingue straniere; qualcuno si arrangiava con un inglese smozzicato. C’erano altri due, oltre Correy, che lo parlavano correntemente. Erano due donne, e subito si accovacciarono accanto a Melissa e incominciarono a chiacchierare fitto fitto con lei.

Nonostante la mancanza di sale, il vitto era buono.

— Hai detto che non avete sale — disse Lansing a Correy, — e probabilmente vi mancano parecchie altre cose. Eppure poco fa hai precisato che Mrs. Mason vi ha fornito le sementi per l’orto e il campo di granoturco. Non potrebbe vendervi anche il sale e le altre cose indispensabili?

— Oh, lo farebbe volentieri — disse Correy. — Ma non abbiamo denaro. La nostra cassa si è esaurita. Forse, in passato, abbiamo speso con larghezza eccessiva.

— A me è rimasto un po’ di denaro — disse Lansing. — Una donazione sarebbe ben accetta?

— Non voglio sollecitare un’offerta — disse Correy. — Ma se lo facessi di tua volontà…

— Vi lascerò una piccola somma.

— Non rimarrai con noi? Saresti il benvenuto, sai?

— Te l’ho detto. Raggiungerò la città.

— Sì, lo ricordo.

— Sarò lieto di passare qui la notte — disse Lansing. — Domattina ripartirò.

— Forse tornerai.

— Vuoi dire se non troverò Mary?

— Anche se la troverai. Torna quando vuoi. E lei sarà egualmente la benvenuta, se verrà con te.

Lansing girò lo sguardo sul campo. Non era un posto dove gli sarebbe piaciuto mettere le radici. Lì la vita doveva essere dura. Senza dubbio c’era da faticare parecchio… tagliare la legna e trasportarla, curare l’orto e il campo di granoturco, cercare continuamente viveri. E c’erano senza dubbio piccole rivalità rabbiose, scatti di collera, litigi incessanti.

— Ci siamo organizzati in un modo di vita primitivo — disse Correy. — E ci destreggiamo piuttosto bene. Nel fiume i pesci abbondano, e c’è selvaggina nelle valli e sulle colline. Alcuni di noi sono diventati esperti nel posare le trappole… c’è una quantità di conigli. Certi anni sono più numerosi. Un paio d’anni fa, quando ci fu la siccità, abbiamo lavorato tutti senza risparmiarci, per portare l’acqua dal fiume e innaffiare l’orto e il granoturco. Ma ce l’abbiamo fatta: abbiamo avuto un ottimo raccolto.

— È sorprendente — disse Lansing, — un assortimento di gente tanto diversa. Almeno, credo che sia diversa.

— Sì, lo è davvero — disse Correy. — Nell’altra vita, facevo parte del corpo diplomatico. Tra gli altri abbiamo un geologo, un agricoltore che dirigeva una tenuta di migliaia di ettari, un contabile pubblico, un’attrice nota e un tempo viziata, una donna che era un’eminente studiosa di storia, un’assistente sociale, un banchiere. E potrei continuare per un pezzo.

— In tutto il tempo che avete avuto a disposizione per pensarci, siete pervenuti a qualche conclusione circa il motivo per il quale siamo stati portati tutti qui?

— No, non proprio. Ci sono molte ipotesi, come puoi immaginare, ma niente di concreto. Certuni sono convinti di saperlo, ma sono sicuro che non lo sappiano. Ci sono quelli, devi capire, che trovano una certa stabilità convincendosi di aver ragione anche a proposito delle teorie più fantastiche. Così hanno qualcosa cui aggrapparsi, la certezza di sapere cosa sta succedendo mentre tutti gli altri brancolano nel buio.

— E tu?

— Io sono uno di quelli che, per loro disgrazia, riescono a vedere i vari aspetti d’una questione. Come diplomatico, era necessario che lo facessi. Mi sento in dovere d’essere rigorosamente sincero con me stesso: non posso permettermi d’illudermi.

— Quindi non hai una convinzione precisa?

— Neppure una. Per me è tutto un mistero come il giorno in cui sono arrivato.

— Cosa sai del territorio che attraverseremo per raggiungere la città? E delle maleterre?

— È una zona accidentata e collinosa — disse Correy. — Almeno, fino dove ci siamo avventurati noi. È quasi tutta foresta. Ma il cammino non è faticoso. Non so niente delle maleterre. Non le abbiamo mai viste. Debbono trovarsi più a est.

— E vi accontentate di stare qui? Non vi siete mai spinti più lontano? Non avete cercato?

— Non è che siamo contenti — disse Correy. — Ma cosa possiamo fare? Alcuni di noi sono andati a nord, fino al Caos. Ci sei stato?

— Sì. E ho perduto un buon amico.

— Il nord è chiuso dal Caos — disse Correy. — È impossibile passare. Non so che cosa sia, ma blocca la strada. Per centocinquanta chilometri o più, oltre la torre, non c’è altro che un deserto terribile. A sud, fin dove ci siamo spinti, non c’è nulla di promettente. Dunque, ora tu ritorni alla città, sperando di trovare qualcosa che prima ti era sfuggito.

— No — disse Lansing. — Vado a cercare Mary. Devo ritrovarla. Io e lei siamo gli unici rimasti del nostro gruppo. Gli altri quattro li abbiamo perduti.

— E i due che sono con te?

— All’inizio non erano con noi. Facevano parte di un gruppo diverso. Li abbiamo incontrati alla locanda.

— Sembrano due tipi simpatici — disse Correy. — Eccoli, stanno arrivando.

Lansing alzò la testa e vide Jorgenson e Melissa che si avvicinavano, girando intorno al fuoco. Jorgenson si accosciò davanti a lui. Melissa rimase in piedi. — Io e Melissa vogliamo dirti una cosa — annunciò Jorgenson. — Ci dispiace, ma non proseguiremo con te. Abbiamo deciso di restare.

XXIX

Era meglio così, si disse Lansing. Da solo avrebbe potuto viaggiare più facilmente e rapidamente. Dalla mattina aveva percorso parecchia strada… molto più, ne era sicuro, che se avesse avuto con lui gli altri due. E soprattutto, non aveva nessuna simpatia per loro. Melissa era una piagnucolona, e Jorgenson un maleducato.

Se c’era qualcuno che gli dispiaceva aver lasciato, quello era Correy. Sebbene avesse trascorso soltanto poche ore in sua compagnia, l’aveva trovato simpatico. Gli aveva dato un po’ più della metà delle monete che gli rimanevano e gli aveva stretto la mano. Quando aveva accettato il dono, Correy s’era mostrato molto cortese, e l’aveva ringraziato a nome dell’intero gruppo.

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