— Be'… gli Infiniti — disse lei. — Il pianeta d'origine degli Infiniti. È per questo che siamo partiti.
Finché Enid non aveva pronunciato la parola, Boone non si era più ricordato degli Infiniti. Molto tempo, molti luoghi diversi erano passati da quando ne avevano parlato l'ultima volta. Ma Enid se ne ricordava, perché era vissuta per secoli nel timore della loro minaccia.
— È la prima volta che sento parlare di cercare gli Infiniti — disse Boone. — Vi siete nascosti agli Infiniti per decine di anni, ed entrambi abbiamo dovuto scappare per salvarci dal loro robot assassino.
— Ci ho pensato bene — gli disse Enid — e mi sembra che non possiamo continuare a nasconderci. Dobbiamo andare a cercarli. Abbiamo la rete e Muso di Cavallo, e possiamo trovare altri che ci aiuteranno contro di loro.
— Non avrei mai pensato — disse Boone — che foste così combattiva.
— Venite o no? — domandò Muso di Cavallo, impaziente. — Se vogliamo usare la rete, dobbiamo avere un'idea della destinazione. La carta dovrebbe darci qualche suggerimento.
— Siete certo dell'esattezza della carta stellare? — domandò Boone. — Come fate a esserlo?
Un tempo, pensava Boone, sulla Terra, i cartografi mettevano sulle carte alcune caratteristiche che erano soltanto miti, o prodotti della loro immaginazione.
— Sul mio onore — disse Muso di Cavallo. — Questo manufatto è stato fabbricato da una razza competente, che sapeva ciò che faceva.
— Voi l'avete conosciuta?
— Ne ho sentito parlare. Me ne hanno parlato sul ginocchio di mio nonno e ne ho avuto altre descrizioni dai saggi della mia gente.
Boone cercò Lupo, ma Lupo non c'era più. Guardando dietro di sé, vide che Lupo era andato a sedersi a una certa distanza da lui, sulla strada. Aveva trovato il Cappello e se lo masticava. Lupo non aveva intenzione di entrare nella carta stellare, e, d'altronde non c'era motivo di portarlo in quella confusione.
— D'accordo Lupo — disse — Tu aspettami qui.
Gli altri due erano entrati nella carta stellare, Muso di Cavallo per primo ed Enid dietro di lui. Boone si affrettò a raggiungerli.
Sembrava uno spazio pieno di ragnatele, ma non c'erano ragnatele. Quando entrò, Boone non sentì più la terra sotto i piedi. Gli pareva di camminare nel vuoto, che i piedi gli fossero diventati insensibili: non sentiva niente quando li appoggiava.
Accanto a lui ardeva un grosso globo rosso, e Boone si chinò per non urtarlo, ma così facendo giunse faccia a faccia con un altro gioiello luminoso, intensamente azzurro. Prima che si potesse spostare dall'altra parte, finì per urtarlo. Ma non portò alcuna sensazione di calore, niente che indicasse la presenza di una stella. Sorrise. Aveva evitato una gigante rossa ed era finito in pieno in una stella azzurra, molto più calda. Che quella carta contenesse la rappresentazione di ogni stella, ogni nuvola di gas, ogni spira di polvere della galassia? La cosa sembrava impossibile. Ricordava di avere letto che nella Via Lattea c'erano più di cento miliardi di stelle. Nella carta non potevano essere rappresentate tutte. Se ce ne fossero state così tante, anche riducendo le stelle più piccole a semplici particelle di polvere, l'intera area sarebbe stata così piena che non si sarebbe potuto camminare. Con buona pace dell'accuratezza decantata da Muso di Cavallo.
— Attenzione alla linea bianca, perché è il nostro segno di riferimento — disse Muso di Cavallo. — È all'altezza del vostro fianco, alla vostra destra. — Boone abbassò lo sguardo e la vide: un filo bianco, una corda di salvataggio che lo collegava al mondo grigio dove lo aspettava un lupo che teneva in bocca la forma inerte del Cappello, come una bambola di stracci. Dove c'era l'edificio a forma di cubo, e accanto a esso il robot che preparava altro cibo, in attesa del loro ritorno.
Non ci credo, disse a se stesso. Non credo neppure una parola. Niente di simile sta accadendo veramente.
Invece era tutto vero. Camminava in un luogo dove non si sentiva la terra quando si posava il piede; attraversava un'area che non era soltanto illusoria, ma anche immaginaria, dove c'erano stelle, nubi di gas e di polvere, che si potevano vedere, ma che non si potevano toccare. E ora c'era anche qualcos'altro: un suono, un canto. Le stelle cantavano per lui la musica delle sfere: il fischio dell'idrogeno, il ritmo della radiazione, la sinfonia del tempo, il cantico dello spazio, il ronzio della polvere e la canzone del vuoto. La parte spaventosa di tutto questo stava nel fatto che laggiù non c'era niente. Non era realtà; era tutt'al più la magia di una rappresentazione, di un manufatto che era totalmente illusorio.
Si accorse di essere rimasto indietro rispetto ai compagni. In mezzo alla foschia, poteva a malapena distinguere Enid; Muso di Cavallo era scomparso. Stiamo camminando da ore, pensò, e questo era ridicolo, perché la carta stellare in cui erano entrati non poteva essere larga più di un centinaio di metri.
Accelerò il passo per raggiungere gli altri, senza cercare di evitare le stelle e le nubi di gas, perché ora capiva che non c'erano; ma anche se non c'era niente, pareva esserci una sorta di sostanza che cercava di respingerlo. Era come passare a guado un torrente impetuoso.
Davanti a lui si stendeva una nube di polvere più spessa del normale. Anche se sapeva che quella polvere era solo un'immagine, abbassò la testa, ma la nube era più profonda di quanto credesse e lo accecò. Le stelle non si vedevano più: Boone si curvò su se stesso, nell'oscurità, come se avesse dovuto sfondare un muro. Le gambe lo spingevano avanti; la pressione della corrente invisibile lo frenava.
Uscì dalla nube di polvere e trovò di nuovo la luce; una luce più intensa di quella incontrata prima. L'origine era una stella ardente alla sua destra, dai contorni nebbiosi.
Accanto a lui, Enid disse: — Una nova. Forse una supernova. Ma così oscurata dalla nube di polvere cosmica da risultare invisibile a noi della Terra.
Mentre ascoltava Enid, Boone vide un'altra stella, talmente vicina a lui che gli sembrava di poterla toccare con la mano. Non aveva niente di appariscente; era una stella minuscola e gialla, ma l'aveva notata perché qualcuno (qualcuno?) aveva scritto accanto a essa una piccola X, come per distinguerla da tutte le altre stelle della galassia, per ricordarsi che era una stella particolare.
— Boone, mi sentite? — domandò Enid. — Che cosa vi succede?
Non rispose. Fece un passo di lato, per vedere la stella sotto un altro angolo d'osservazione. Mentre si muoveva, la X si mosse insieme con lui. Cambiò posizione, e anche la X la cambiò. Da qualsiasi angolo si guardasse la stella, la X era sempre visibile. Era impossibile, si disse. Era un'altra illusione…
Enid lo prese per il braccio. — Muso di Cavallo è andato avanti. E Boone, dov'è finita la linea? Non vedo più la linea bianca. L'ho persa di vista.
Sentendosi prendere per il braccio, Boone si voltò. Vide che Enid era allarmata. Si guardava attorno, cercava dappertutto la linea bianca.
— Non è qui — disse Enid. — Con la nostra fretta di muoverci, e di fronte a tutte le meraviglie di questo luogo… Adesso, cosa facciamo?
Boone alzò le spalle. — Torniamo indietro a cercarla — disse. — La troveremo certamente.
Ma non ne era del tutto sicuro. Era una linea così piccola, così insignificante, che correvano il rischio di non vederla.
A poca distanza da loro si scorgeva una grande stella bianca che ruotava follemente sul proprio asse, mentre accanto a essa girava una stella molto più piccola, bianca e luminosa, ma la cui luce impallidiva al confronto del fulgore della compagna. La piccola stella ruotava sul proprio asse con una tale velocità che il suo moto era solo un tremolio, e tra le due stelle si stendeva un lucente cordone di energia fiammeggiante, che si dirigeva dal corpo astronomico più grande a quello più piccolo. Una stella di tipo B, pensò Boone, in sistema binario con una nana bianca.
Читать дальше