Si chinò ad aprire i lucchetti. Il coperchio si spalancò di scatto e ne uscì una sorta di farina bianca, che si gonfiò fino a formare una nube e che poi cadde al suolo, tutt'intorno al baule. La sostanza bianca continuò a uscire dal baule, come se fosse stata compressa e ora avesse voglia di allargarsi.
La farina coprì l'area su cui erano collocati i tavoli e le seggiole, e cominciò ad avvolgere anche l'edificio cubico. Il robot uscì dalla porta per combattere contro l'invasione della farina. Boone afferrò Enid per il braccio e la spinse lontano. Lupo scappò a rifugiarsi dietro di loro.
Muso di Cavallo pareva scomparso all'interno della nube di farina. La rete si stava allontanando lentamente, a poche decine di centimetri dal terreno: percorse qualche centinaio di metri, e poi tornò a posarsi a terra. Il fronte avanzante della farina si avvicinò alla vettura tramviaria, che si mise in moto e si allontanò accelerando.
Adesso però la farina cambiava aspetto. Invece di continuare a estendersi come un'unica massa compatta diventava porosa e nel suo interno si aprivano grandi fori. Ma continuava ad allargarsi. Si arrampicava sul terreno e si gonfiava nell'aria. Aumentò prodigiosamente di dimensione. Nel suo interno si accesero scintillanti punti di fiamma, grandi aree oscure e turbini nebbiosi punteggiati di luce. Alcuni dei punti luminosi divennero ancora più luminosi, altri si allontanarono e divennero progressivamente sempre più opachi. L'intera massa dava un'impressione di movimento, di scorrimento e di trasformazione.
— Sapete che cos'è? — domandò Enid.
Boone scosse la testa.
— Avete visto Muso di Cavallo? È ancora là dentro?
— Penso di sì — disse Boone. — Quello sciocco si è lasciato prendere alla sprovvista.
Ormai la forma del baule non era più visibile. Era sepolto nella massa bianca, che si trasformava in una nebbia trasparente e che diventava sempre più larga, anche se più lentamente di prima. Adesso pareva una scintillante bolla di sapone.
— Eccolo che arriva — disse Enid, a bassa voce, indicando col dito. Guardando nella direzione indicata, Boone scorse Muso di Cavallo, minuscolo ed esile all'interno di quella immensa bolla, ma diretto caparbiamente verso di loro.
Infine, Muso di Cavallo ne uscì, come un uomo uscito da una massa di ragnatele, e li raggiunse.
— È la galassia — comunicò loro. — Una carta della galassia. Avevo sentito parlare di queste carte, ma non ne avevo mai vista una.
Li fissò con i suoi numerosi occhi, poi indicò la bolla con una mano simile a un tubo di gomma.
— Guardate le stelle — disse. — Alcune splendono fiammeggianti, altre sono talmente minuscole che non si riesce a scorgerle. Notate le nubi di polvere, i veli delle nebulose. E, più avanti, la linea retta che si dirige verso il cuore della galassia: la vostra Strada dell'Eternità.
— Impossibile — disse Enid.
— Lo avete sotto gli occhi e dite che è impossibile? Non vedete la gloria e l'immensità della nostra galassia?
— È una galassia, certo — disse Boone. — E vedo la linea bianca, anche se non avevo idea che fosse la strada dove siamo noi.
— Lo è, ve lo dico io — insistette Muso di Cavallo. — Nelle leggende della mia razza si parlava di una strada che corre tra le stelle. Anche se le leggende non dicevano mai perché esisteva la strada, o dove conducesse. Ma ora dobbiamo seguirla. Dobbiamo andare a vedere. È arrivato il momento di farlo.
Boone diede un'altra lunga occhiata alla “bolla di sapone” e non ebbe più dubbi: rappresentava effettivamente una galassia a spirale. Aveva forma approssimativamente ovale, era più spessa al centro che ai bordi, anche se non era così regolare come le foto di galassie che aveva visto in passato. Comunque, era chiaramente una galassia di forma aperta, con bracci nebbiosi che si allargavano all'esterno e che erano più sottili e turbolenti dell'area centrale. Uno dei bracci della spirale circondava il punto dove c'erano in precedenza i tavoli e le sedie: vagamente, la forma dei tavoli era ancora visibile.
Muso di Cavallo si recò accanto alla carta stellare e si curvò a osservarne alcune parti.
Lupo non si staccava da Boone e tremava. Niente di strano, si disse Boone. Era una cosa da far accapponare la pelle a chiunque. Abbassò il braccio per accarezzare il lupo sulla testa. — Buono, buono — gli disse. — Va tutto bene. Non c'è nessun pericolo. — Lupo si strinse a lui ancora di più, e Boone si domandò se le proprie parole corrispondevano al vero. Era lui il primo a dubitare che andasse tutto bene e che non ci fosse pericolo.
Disse a Enid: — Ha parlato con voi di carte e mappe celesti?
— Ha parlato di un mucchio di cose — disse Enid. — E gran parte di quel che ha detto era privo di senso. Ma soprattutto ha parlato di carte genetiche, inserite nella sua memoria razziale.
Muso di Cavallo si accostò a loro. — Andiamo a dare un'occhiata? — domandò.
— Là dentro, volete dire? — chiese Enid. — Volete dire che dobbiamo entrarci?
— Ma certamente! — esclamò Muso di Cavallo. — Altrimenti, come potremo apprendere ciò che ci occorre? Quella linea bianca porta in qualche luogo. Andiamo a cercare dove porta. L'hanno messa apposta.
— Là dentro — disse Enid — corriamo il rischio di perderci. Rischiamo di starci dentro per giorni interi.
— No, se seguiamo la linea bianca. La seguiamo all'andata, e poi ci regoliamo su di essa per il ritorno.
— Se dobbiamo entrare in quella cosa — disse Enid — prima devo prendere un certo oggetto.
Dette queste parole, si avviò di corsa verso la rete.
Entrare in quel vortice di nebbia era una cosa di cui Boone avrebbe fatto volentieri a meno. A una prima occhiata pareva abbastanza semplice: una rappresentazione costruita da una tecnologia e da un'arte che alla sua epoca erano inconcepibili. Ma nella carta stellare c'era qualcosa di allarmante, di alieno, che lui non riusciva ad accettare. Gli pareva che un uomo potesse perdersi al suo interno e non trovare più la via d'uscita. Seguire la linea bianca, diceva Muso di Cavallo, e questo andava bene se la linea rimaneva al suo posto. Ma se quella linea non era altro che l'esca per attirare la preda in una trappola?
Enid fece ritorto, con una piccola scatola sotto il braccio. La sollevò per mostrarla a Boone. — È il televisore che ho trovato dove gli alieni facevano il picnic. Penso che ci convenga averlo con noi, se entriamo nella carta.
— È una sciocchezza — disse Muso di Cavallo.
— No. Mi ha mostrato dov'era Boone e ci ha indicato come raggiungerlo. È come avere un altro paio di occhi, e là dentro ci occorreranno tutti gli occhi di cui possiamo disporre. Ci mostra quello che desideriamo vedere.
Il riferimento a un “altro paio di occhi”, pensò Boone, non era molto centrato, perché, mentre loro due ne avevano solo un paio, Muso di Cavallo ne aveva molti di più: due gruppi, che probabilmente erano assai più perfezionati dell'equivalente umano.
Lupo piagnucolò piano, e Boone lo guardò. L'animale aveva paura, pensò, e anche lui, se avesse avuto un po' di sale in zucca, avrebbe dovuto piagnucolare come Lupo.
— Venite? — gli domandò Enid.
— Che cosa c'è, da vedere? Muso di Cavallo dice che la Strada dell'Eternità porta dove vogliamo andare e che non abbiamo bisogno di sapere altro. Saliamo sul tram e seguiamola.
— Ridicolo — disse Enid. — Con quella vetturetta, ci vorrebbe un'eternità per arrivare. Quando partiremo, useremo la rete, e per la rete non contano né il tempo né la distanza.
— Certo, certo — disse lui, cercando di guadagnare tempo prima di entrare in quella folle carta stellare. — Ma quando siamo partiti da Hopkins Acre, che cosa ci siamo ripromessi di cercare?
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