Corcoran sbuffò.
— Bell'utopia! La vostra epoca ha creato l'utopia, e adesso si è chiusa su se stessa. Mi chiedo se non sia proprio l'utopia, il vostro male peggiore.
— Forse sì — disse David, tranquillamente. — Ma più che l'utopia in se stessa, il fatto di averla accettata.
— Vi riferite alla convinzione — disse Corcoran — di avere ormai raggiunto tutte le mete e di non avere più nulla a cui aspirare?
— Forse. Ma non ne sono del tutto sicuro.
Continuarono per qualche tempo a passeggiare tra le rovine, e infine Corcoran domandò: — E gli altri? Pensate di poterli raggiungere?
— Voi e io non possiamo fare molto, ma Horace ha l'apparecchio di Martin, che contiene il sistema di comunicazione. Potrebbe fare delle ricerche, anche se dovrebbe usare molta attenzione. Senza dubbio c'è un certo numero di gruppi come il nostro, dispersi un po' dappertutto, lungo la corrente del tempo. Ma nessuno di questi gruppi è in una situazione migliore della nostra. Chi ha mandato contro di noi il mostro assassino può averne mandati altri contro gli altri gruppi. Se qualcuno degli altri gruppi è ancora vivo, probabilmente cercherà di evitare le comunicazioni.
— Credete che siano stati gli Infiniti a inviare quei mostri?
— Sospetto di sì. Non so chi altri potrebbe averlo fatto.
— Ma per quale motivo? Gli Infiniti vi hanno cacciato via, armi e bagagli, nella corrente del tempo. Non potete costituire una grave minaccia per loro.
— È possibile — disse David — o può sembrare possibile agli Infiniti, che ci raggruppiamo tra noi e che facciamo ritorno per costruire una nuova società. Per farlo, però, dobbiamo aspettare la scomparsa degli Infiniti, e questo, per loro, è un grave pericolo. Se rimanesse qualcuno di noi, ci sarebbe sempre la possibilità, almeno nella loro mente, di un nostro ritorno per distruggere quello che loro hanno fatto.
— Ma il loro lavoro è già terminato — disse Corcoran.
— No. Sarà terminato soltanto quando tutti gli uomini saranno morti, o avranno raggiunto uno stato di smaterializzazione.
Camminando, avevano ormai raggiunto la parte più alta delle rovine senza incontrare niente di particolarmente interessante. Il terreno era pieno di pietre cadute, e tra l'una e l'altra erano cresciuti cespugli e alberelli. Nelle piccole zone sgombre spuntavano fiori selvatici. Alcuni erano comuni fiori di campo, altri provenivano dai giardini di qualche antica città: qua e là una viola del pensiero, alcuni tulipani nell'angolo formato da due muri ancora in piedi, un lillà nodoso carico di fiori profumati…
Corcoran si fermò accanto ai lillà. Ne strappò un rametto e lo annusò con profonda soddisfazione.
Era come una volta, pensò. Non c'erano stati molti cambiamenti in quel mondo di un milione di anni nel futuro. La regione era come quella di una volta. C'erano ancora fiori e alberi, e appartenevano alle specie a lui note. La gente non era cambiata. Anche se poteva sembrare lunghissimo, un milione di anni era un periodo troppo breve perché si potesse riscontrare un'evoluzione fisica. Ma doveva esserci qualche cambiamento intellettuale, pensò poi. Lui non aveva visto molti uomini dell'epoca: soltanto David, la sua famiglia e il vecchio accanto alla porta.
Si allontanò dal cespuglio di lillà e proseguì costeggiando un breve tratto di muro. Quando il muro s'interruppe, si accorse che era giunto sulla vetta dell'altura. Ma in quella vetta c'era qualcosa di strano: una sorta di nebbia che s'innalzava dalla fila di rovine. Si fermò a guardare la nebbia, e vide che assumeva la forma di una scala a chiocciola che saliva verso il cielo.
Dapprima gli parve che la scala fosse priva di sostegni, ma presto si accorse che al centro c'era un albero. E che albero!
La nebbia si diradava sempre più, e Corcoran riuscì a vederlo chiaramente. L'albero spuntava dalla vetta della collina e saliva al cielo, senza aprirsi in rami e fronde, ma continuando a montare a perdita d'occhio, sempre circondato dalla scala a chiocciola. Fino a perdersi nel cielo, fino a diventare un'unica linea sottile e a svanire nello sfondo turchino.
David gli domandò: — C'è qualcosa, lassù?
Corcoran ritornò bruscamente alla realtà. Si era dimenticato dell'esistenza di David.
— Come? — gli domandò. — Mi dispiace, mi ero distratto per un attimo. Non vi ho sentito.
— Chiedevo se c'era qualcosa lassù in alto. Ho visto che guardavate nel cielo.
— Niente d'importante — disse Corcoran. — Mi era parso di vedere un falco. Ma poi è passato davanti al sole e l'ho perso.
Guardò di nuovo la vetta. L'albero era ancora lì. La scala era ancora avvolta attorno al tronco.
— Potremmo tornare indietro, a questo punto — disse David. — Qui non c'è niente da vedere.
— Avete ragione — disse Corcoran. — Venire quassù è stato uno spreco di tempo.
Pur avendo osservato al pari di lui la cima della collina, David non aveva visto l'albero e la scala. E io, pensò Corcoran, non gli ho detto niente. Per quale motivo? Perché temevo che non mi credesse? O perché non c'era bisogno di dirglielo? Era il vecchio gioco di non dare mai niente per niente, di tenere per sé le informazioni, in attesa del giorno in cui utilizzarle.
Comunque, era un ulteriore esempio della strana capacità di Corcoran di vedere le cose in modo diverso dagli altri: la capacità che gli aveva permesso di individuare il viaggiatore di Martin invisibile a tutti. Il viaggiatore era là, e anche l'albero era là, ma erano informazioni che aveva soltanto lui, e per questo se le era tenute per sé.
David si era avviato lungo la discesa che portava ai piedi della collina. Dopo un'ultima occhiata per accertarsi che l'albero fosse ancora lì, Corcoran si affrettò a seguirlo. Quando giunsero alla porta, il vecchio non c'era più. Proseguirono fino a raggiungere il prato su cui era fermo il viaggiatore.
— Cosa facciamo? — domandò David. — Dobbiamo cercare quel villaggio di cui parlava il vecchio?
— Sì — disse Corcoran. — Dobbiamo capire la situazione locale. Ora come ora, lavoriamo nel vuoto.
— A me — disse David — interessa soprattutto sapere se gli Infiniti sono già comparsi. Il loro arrivo risale pressappoco a quest'epoca, ma la data esatta non la so.
— Credete che gli abitanti di un piccolo villaggio possono darvi informazioni utili? Questa zona sembra alquanto isolata.
— Qualche voce sarà arrivata. Ci basta sapere se gli Infiniti sono già arrivati. Basta un minimo accenno per saperlo.
Dal prato partiva un sentiero che portava verso la valle, fino a un allegro torrentello. David, che era in testa, seguì la direzione del corso d'acqua. Il percorso era agevole. La valle era aperta, e lungo la sponda del fiume correva un sentiero ben tracciato.
— Potete darmi un'idea del tipo di insediamento che troveremo? — domandò Corcoran. — Per esempio, com'è l'organizzazione economica?
David rise. — Rimarrete sorpreso. Per prima cosa, non esiste un'economia. I robot fanno tutto il lavoro, e non c'è denaro. Suppongo che dal vostro punto di vista, equivale a dire che l'economia è completamente nelle mani dei robot. Si occupano di tutto e comandano tutto. Nessun umano deve preoccuparsi di come vivere.
— In un sistema come questo — domandò Corcoran — che cosa fanno gli esseri umani?
— Pensano — disse David. — Pensano a lungo e bene, e quando occorre parlare, parlano con grande eloquenza.
— Alla mia epoca — disse Corcoran — i contadini si recavano in città e andavano in un bar a bere un caffè. Laggiù trovavano qualche piccolo commerciante, e si sedevano con lui a un tavolo per discutere i destini del mondo; ciascuno era sicuro delle proprie idee. Naturalmente, parlavano tutti a vanvera, e la cosa faceva poca differenza. Nella propria nicchia, ciascuno può essere un filosofo… Ma la vostra famiglia, invece…
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