Jack Finney - Un mondo di ombre

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Un mondo di ombre: краткое содержание, описание и аннотация

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Può ritornare il passato? E una donna può attraversare lo schermo invisibile che separa il suo tempo dal nostro? Nell’anno del centenario del cinema, questo affascinante romanzo di Finney costituisce l’omaggio di URANIA (e della fantascienza in generale) al mondo della settima arte. Un mondo di sguardi allucinati, di visioni terrificanti e sogni impossibili; un mondo di mostri e magie che diventano sotto i nostri occhi tangibili e vivi. Come gli spettri di Marion, come le ombre della nera villa adagiata in collina di questo romanzo, come il mondo del passato — anzi, il mondo senza tempo che s’infiltra nel nostro lasciando una traccia enigmatica e indelebile.

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Alla fine rimisi giù la pellicola e cominciai a risistemarla nel suo contenitore, ma Ted stava tremando d’eccitazione. — Farò io! Lasci stare! — Immagino che in vita sua non avesse mai lasciato un solo metro di pellicola fuori del portabobine, ma adesso era troppo eccitato per perdere tempo. — Venga qui. Trovi quello che vuole vedere. Lo trovi !

Non ci riuscivo. E nemmeno Marion. “Film perduti” era un’espressione priva di significato per lei; li aveva visti quasi tutti quando erano nuovi. Le sue esclamazioni erano riservate ai film che non aveva mai visto: un Charlie Chaplin, un Dolores Costello, roba che si può comperare dalla Blackhawk. Una volta la sentii dire a Ted: — Questo l’ho visto girare!

Io trovai Il patriota , un Ernst Lubitsch perduto, e lo portai al tavolo. Srotolai la pellicola quel tanto da avere il piacere di leggere i titoli di testa. Ma non era quello il film, il film, e Ted quasi letteralmente mi trascinò alla cella frigorifera perché trovassi la pellicola da proiettare.

Guardai nell’incredibile collezione di tutti i lungometraggi di D. W. Griffith, cercando di decidermi. Finii per scegliere La cosa più grande della vita perché Lillian Gish aveva sempre sostenuto che era il massimo capolavoro del maestro. — Credo che mi piacerebbe vedere un po’ di questo — dissi, passando la prima bobina a Ted. Lui annuì e si avviò al tavolo. Ma quando aprì il contenitore, io dissi all’improvviso: — No, aspetti! Non è la scelta migliore — e tornai di corsa nella cella frigorifera.

Mettete un bambino affamato in un negozio di dolciumi, ditegli che può scegliere quello che vuole, però una sola cosa e nient’altro… Be’, era la mia situazione. Non riuscivo a decidere perché, sempre, poteva esserci qualcosa di meglio che non avevo visto.

Trovai L’uomo dei miracoli , diretto nel 1919 dal misterioso George Loane Tucker, perduto da decenni. E Peg del mio cuore , con Laurette Taylor. Film interpretati da Marie Doro, Marguerite Clark ed Elsie Ferguson, attrici delle quali sono andati persi tutti i film.

E poi lo trovai. Passando davanti al secondo cassetto con la scritta ERNST LUBITSCH, intravidi un titolo con la coda dell’occhio, e fu da lì che presi il film che sapevo di dover vedere, la versione muta di Il grande Gatsby perduta da tanto tempo. Per lo meno, pensai che di quello si trattasse, e portai la prima bobina al tavolo per controllare i titoli di testa. Sul tavolo erano ammucchiate le pellicole delle quali avevamo aperto i contenitori, e la cosa mi turbava; ero certo che non fosse mai accaduto a quella collezione. Ma se anche il tavolo dava l’impressione di una grande confusione, con metri di pellicola che uscivano dai portabobine aperti, in realtà non era così. Nessun film si aggrovigliava con gli altri; tutti occupavano un loro spazio ben definito. Dovevo fare spazio per Il grande Gatsby , e spostai le altre pellicole con estrema cura, scavando un angolino. Poi cominciai a srotolare la pellicola, trovai i titoli di testa, e li alzai alla luce.

E su ognuno dei fotogrammi che stringevo nelle due mani, a minuscole lettere bianche su fondo nero, c’era l’incredibile cast: Rodolfo Valentino nella parte di Gatsby… Gloria Swanson in quella di Daisy Buchanan… Greta Garbo nel ruolo di Jordan Baker… John Gilbert in quello di Carraway… Mae West nel ruolo di Myrtle, la sua unica interpretazione muta, ne ero quasi certo… George O’Brien nella parte di Tom Buchanan… Harry Langdon nel suo unico ruolo serio, del quale fino a quel momento ero all’oscuro, quello del marito di Myrtle…

Ted, al mio fianco, scrutava la pellicola. Gli chiesi: — Non è il film con la sequenza del party nella villa di Gatsby?

— Sì, con Gilda Gray, Chaplin, e Francis Scott Fitzgerald stesso tra gli ospiti.

Abbassai la pellicola e fissai per un attimo lo schermo vuoto. Quell’incredibile film non solo era perduto da decenni, ma non era mai stato proiettato. A quanto si diceva, lo aveva fatto seppellire Gloria Swanson perché Lubitsch aveva concesso troppo spazio alla Garbo e alla West. Mi girai verso Ted. — Questo — gli dissi. — È questo che voglio vedere. — E dall’interno della cella frigorifera Marion emise un mezzo urlo.

Era davanti a un cassetto chiuso, con l’indice puntato sull’etichetta. Quando le arrivammo a fianco, lesse ad alta voce: — Le figlie del jazz… Oh, accidenti , Ted, perché lo hai tenuto? Voglio vederlo e non voglio vederlo ! — Si voltò verso me. — È questo, Nickie. Mi hanno sostituita con la Crawford… Io sarei stata la rivelazione di questo film, non lei, se solo… — Scosse la testa. — No, porca miseria! Non lo voglio vedere!

Ma Ted aveva aperto il cassetto. Dentro c’erano due soli portabobine. — Marion… lei non c’è.

— Sì, non ha… Cosa vuoi dire?

— Ho salvato le riprese girate con te. — Ted sollevò di scatto il mento e guardò Marion. I suoi occhi antichi erano perplessi. — Credevamo fossi morta! Sì… Ne eravamo convinti. E io ho fatto stampare i positivi delle tue scene prima che buttassero i negativi. Quando il film è finito, con la Crawford al tuo posto, ho tolto le sue scene dalla mia copia. E le ho sostituite con le tue.

Era fermo davanti al cassetto aperto, la mano immobile sul bordo di metallo. Dopo un istante, Marion mise la propria destra su quella di Ted. — Ted, perché?

Lui guardò da un’altra parte. — Lo sai perché, no?

— Sì. Credo di sì.

— Perché ti amavo. Ti ho sempre amata.

Guardando, ascoltando, capii finalmente, sino in fondo, perché i vecchi, vecchi film fossero un tempo stati così popolari. Perché, con una popolazione che era solo la metà della nostra, negli anni Venti sessanta milioni di persone andassero al cinema tutte le settimane. Noi ridiamo dei loro film e delle storie che loro prendevano sul serio. Ma quelle persone erano in sintonia coi film, e i film con loro; la gente era fatta così , o per lo meno pensava di voler essere così. Ted e Marion si stavano comportando come personaggi dei loro film, e ciò che dicevano somigliava ai vecchi sottotitoli. Ted ritirò lentamente la mano da sotto quella di Marion; se io fossi stato alla macchina da presa, avrei fatto un primo piano delle mani. La destra grande, avvizzita, percorsa da vene di Ted carezzò dolcemente la destra di Marion. Poi Marion intrecciò l’una all’altra le palme, le divise. — Ma sapevo che era impossibile — disse Ted. — Io ero più vecchio. Tanto più vecchio. — Sorrise. — E poi ero un mostriciattolo così buffo!

— No, non è vero. — Lei alzò con estrema lentezza una mano e sfiorò la mascella di Ted nella pantomima di un pugno. — Brutto testone…

— Andiamo! — Ted raccolse i due portabobine. — È questo che vogliamo vedere! È solo il primo terzo, solo la tua parte di film. Il tuo film, Marion ! — Dissolvenza.

Era quello che volevamo vedere. Lo voleva Marion, e nonostante tutto ciò che quell’incredibile cella conteneva, lo volevo anch’io. Mentre il vecchio riportava in vita l’imponente proiettore, io spensi la luce della cella frigorifera. Marion mi fece strada sino alla prima fila, dove sedemmo su un divanetto imbottito per due.

Marion si mise a fissare lo schermo, ansiosa come un bambino. Girato a metà sul divano, guardai Ted inserire la pellicola nel proiettore. Lavorava sorprendentemente in fretta. Fece passare la linguetta iniziale nella sua finestrella, la agganciò alla ruota dentata, sistemò l’estremità sulla grande bobina di avvolgimento. Chiuse lo sportellino di metallo, ne aprì un altro sul retro del proiettore, posizionò gli elettrodi di carbone, chiuse lo sportello, accese la lampada ad arco, e fece scorrere una parte della linguetta. Le luci nel piccolo cinematografo erano ancora accese. Poi Ted aprì uno sportello, guardò la pellicola all’interno del proiettore, lasciò scorrere un altro po’ di linguetta, chiuse lo sportello, spense le luci in sala, e corse a lato di poltrone e divani.

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