Nick la guardò con aria fra lo stupito e l’interrogativo. Era al sole, e gli faceva male la testa. «Ma Troy…» cominciò.
«So cosa stai per dire» lo interruppe lei. «Che non ha molta esperienza e che quindi un’immersione con lui potrebbe essere pericolosa.» Fissandolo dritto in faccia, continuò: «Ma a me non importa. Ho abbastanza esperienza per tutt’e due, e preferisco scendere giù con lui». Qualche secondo di silenzio, poi: «Ora, se tu non sei d’accordo…».
«Ma no, ma no, va bene» la interruppe, stavolta, lui, sorpreso di scoprirsi offeso e adirato a un tempo. Questa qui è ancona incazzata nera , si disse. E io che pensavo che magari… Si spostò dall’altra parte del tendaletto per terminare l’allestimento della piccola gru da recupero, presa a prestito e installata da lui e Troy durante la notte. L’installazione non aveva presentato grandi problemi, perché quel vecchio materiale era stato da loro già adoperato diverse volte in altre uscite.
Carol montò a bordo e posò la sua copia di foto sulla plancia a lato del timone. «Il tridente, dove sta?» diede la voce a Nick. «Gli vorrei dare un’altra occhiata.»
«Ultimo cassetto a sinistra, sotto gli attrezzi» giunse immediata e secca la risposta. Carol estrasse la sacca grigia, la aprì, e tirò fuori il tridente d’oro, prendendolo per la lunga bacchetta mediana. Strano… Lo reinfilò nella sacca e lo tirò fuori di nuovo, riprendendolo in mano. Ma sì… aveva proprio qualcosa di strano. Lei ricordava quando l’aveva afferrato sotto la sporgenza sottomarina, avvolgendo lentamente la mano attorno alla bacchetta centrale. Ma sì, ci sono , si disse. È più grosso!
Rigirò l’oggetto fra le mani. Ma che mi succede? , pensò. Mi ha dato di volta il cervello? Come può essere più grosso? Lo esaminò accuratamente ancora una volta. Ora le pareva che i denti del tridente si fossero allungati e che fosse aumentato il peso totale. Oddio, ma come può essere? , si domandò.
Estrasse le foto che aveva portato con sé. Quelle del tridente erano state scattate tutte sott’acqua, e… sì, a guardar bene, due piccolissime differenze c’erano proprio: la bacchetta-asse sembrava più grossa e i denti più lunghi!
«Nick!» chiamò vivamente. «Nick, puoi venire un attimo?»
«Sono occupato» rispose una voce seccata dall’altra parte del tendaletto. «È importante?»
«No. Anzi, sì» rispose Carol. «Ma può aspettare finché non avrai finito.»
La sua mente, intanto, era in subbuglio. Ci sono solo due possibilità: è o cambiato o non lo è. Se non lo è, sono io che vedo i fantasmi: perché, più grosso, sembra proprio. Ma se è cambiato, come ha fatto? O c’è riuscito da solo o è stato qualcuno. Ma chi? Nick? Ma come avrebbe potuto lui…?
Arrivò Nick. «Be’?» disse, distante, quasi ostile, chiaramente seccato.
«Be’?» fece Carol con un sorriso, porgendogli il tridente e guardandolo con aria di attesa.
«Be’ cosa?» rispose lui, totalmente confuso da ciò che stava accadendo e ancora in collera per lo scambio di poco prima.
«La vedi la differenza?» continuò Carol, accennando al tridente che lui teneva in mano.
Nick lo rivoltò su e giù come aveva fatto lei in precedenza. Il riflesso del sole sulla superficie dorata gli ferì gli occhi, costringendolo a socchiuderli. Spostato l’oggetto da una mano all’altra ed esaminatolo da angoli diversi, finì per dire: «Credo proprio di non capire. Vuoi forse dirmi che questo coso ha qualcosa di diverso?».
«Precisamente» rispose lei, mentre lui teneva alzato il tridente. «Non lo senti? La bacchetta centrale è più grossa di giovedì, e i denti o elementi della forchetta sono, a una estremità, un po’ più lunghi. E non trovi che sia anche più pesante, nel complesso?»
La testa martellante di dolore, Nick guardò dal tridente a Carol e viceversa. Per lui, l’oggetto non era affatto cambiato. «Ma no,» rispose «a me, ’sto coso, sembra sempre lo stesso.»
«Tu dici così per dispetto» insisté lei, riprendendogli brusca l’oggetto. «Qua, guarda un po’ le foto: controlla la lunghezza della forchetta, qui, rispetto a quella della bacchetta intera, e vedi com’è ora, dal vero. È diversa.»
Nell’atteggiamento generale di Carol c’era qualcosa di decisamente irritante: sembrava dar sempre per scontato che ad aver ragione fosse lei e ad aver torto gli altri! «Ma è assurdo,» gridò quasi Nick «e con tutto il daffare che ho…» Dopo un istante di silenzio, continuò: «E poi, come diavolo potrebbe cambiare? È fatto di metallo, diamine! Sarebbe dunque cresciuto , secondo te? Oh, cazzo…».
Scuotendo la testa, fece per andarsene, ma dopo un paio di passi, si girò, «In ogni caso, non puoi fare affidamento sulle foto» disse in tono più misurato. «Perché quelle sott’acqua distorcono sempre gli oggetti…»
Stava arrivando Troy, col carretto e l’attrezzatura di Carol. Anche senza sentire le parole, capì dall’atteggiamento dei corpi che i suoi due compagni di barca erano di nuovo ai ferri corti.
«Ahiiàhiiàhi,» fece, avvicinandosi «non vi si può lasciar soli un minuto! E qual è il motivo del contendere, stamane, professore?»
«Questa tua amica giornalista dal cervello fino,» rispose Nick, guardando Carol con aria di condiscendenza «persiste nel sostenere che il nostro tridente ha cambiato forma. Da un giorno all’altro, evidentemente, sebbene finora non mi abbia saputo spiegare come. Ti spiacerebbe — visto che non mi crede — spiegarle l’indice di rifrazione o come altro si chiama ciò che confonde le riprese sott’acqua?»
«Ma è cambiato, davvero!» esclamò Carol, appellandosi a Troy. «Ricordo chiaramente come sembrava al tatto quando l’ho trovato, e adesso sembra diverso.»
Troy stava scaricando il carretto e piazzando sulla Florida Queen l’apparato del telescopio oceanico. «Be’, angelo,» disse, dopo essersi fermato per controllare il tridente che lei gli porgeva a due mani «io non saprei dire se è cambiato o no, però posso dirti una cosa. Quando l’hai trovato, eri molto agitata e stavi sott’acqua: e io, tenendo conto di una combinazione del genere, non mi fiderei, a distanza, delle sensazioni tattili suggeritemi dalla memoria.»
Carol guardò i due uomini, e stava per riprendere la discussione, quando Nick cambiò bruscamente argomento. «Lo sapeva, signor Jefferson, che la nostra cliente signorina Dawson ha richiesto i suoi servigi come compagno d’immersione per oggi?» E concluse, asprigno: «Oggi, infatti, la signorina non gradisce immergersi con me».
Troy guardò Carol con sorpresa. «Molto gentile, angelo,» disse piano «ma il vero esperto è Nick. Io sono soltanto poco più di un principiante.»
«Lo so» rispose brusca Carol, ancora furente per l’esito della conversazione precedente. «Ma voglio scendere con qualcuno di cui possa fidarmi. Con qualcuno capace di comportarsi responsabilmente. E, d’immersioni, m’intendo abbastanza per tutt’e due.»
Nick le lanciò un’occhiataccia, si voltò e, allontanandosi — incazzato nero, come avrebbe detto lui — disse: «Forza, Jefferson, ho già detto a Miss Arroganza che può fare come le garba. Per stavolta. Prepariamo dunque la barca e finiamo di ripiazzare quel suo coso telescopesco».
«Mio padre ha finito per divorziare da mia madre quando avevo dieci anni» stava dicendo Carol a Troy. Sedevano insieme nelle sdraio a prua. Dopo aver ripassato un paio di volte le procedure d’immersione, Carol aveva tirato in ballo la sua prima esperienza di uscite in barca, un compleanno passato a sei anni col padre a bordo di un peschereccio, e così, molto naturalmente, era venuta a discutere con Troy delle rispettive infanzie. «Quella rottura è stata tremenda» continuò Carol, passando a Troy la lattina di Coca-Cola. «Secondo me, in un certo senso sei stato forse più fortunato tu a non aver mai conosciuto tuo padre.»
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