Arthur Clarke - Culla

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Un missile top secret che svanisce in volo. Un tridente d’oro che cambia sorprendentemente forma. Una caverna subacquea custodita da balene... Qualcosa si nasconde nel fondo marino al largo di Key West, un mistero in parte umano ma nello stesso tempo terribilmente alieno. Il suo potere è immenso e terrificante e potrebbe distruggere ogni forma di vita sulla Terra. Ma qualcuno ha deciso di scoprire il terribile segreto. E da quel momento non esiste più alcuna certezza, nessun luogo sicuro in cui nascondersi, nessuna alleanza su cui poter contare. Intorno a una giornalista bella e ambiziosa, disposta a correre qualsiasi rischio pur di arrivare alla verità, si stringe la rete di una cospirazione implacabile: spie militari, killer spietati, ma soprattutto una forza estranea e sconosciuta, le cui mosse nessuna mente umana potrebbe comprendere e prevedere... L’inesauribile immaginazione di Arthur C. Clarke spazia in questo nuovo romanzo dagli enigmi irrisolti del passato alle soglie indecifrabili del futuro, dagli infiniti oceani di stelle all’imperscrutabile fondo del mare. In un appassionante viaggio ai confini della realtà, Culla esplora i percorsi dell’avventura e dell’ignoto.

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«Ne dubito» replicò serio lui. «Perché, fin da piccolissimo, ho sofferto del fatto che alcuni bambini avessero due genitori. Mio fratello Jamie ha fatto del suo meglio, si capisce, ma, più di tanto, non poteva fare, e io ho sempre scelto per amici dei ragazzi che avessero un padre. Apposta.» Ridendo, continuò: «Ricordo un ragazzino nero nero che si chiamava Willie Adams. Il padre lui ce l’aveva sì, ma per la famiglia era piuttosto un imbarazzo, perché era anziano, sui sessanta, e, invece di lavorare, passava le giornate seduto sulla sedia a dondolo della veranda a bere birra.

«Ogni volta che andavo a casa di Willie per giocare, trovavo qualche scusa per sedere un po’ di tempo sulla veranda accanto al signor Adams. Willie, allora, cincischiava nervoso, incapace di capire perché mai volessi ascoltare le vecchie storie, secondo lui barbose, che raccontava suo padre. Il signor Adam, infatti aveva partecipato alla guerra di Corea e amava raccontare dei suoi amici, delle battaglie e, soprattutto, delle coreane e dei loro “trucchetti”, come li chiamava.

«E si capiva subito quando stava per raccontare una delle sue storie, perché cominciava a fissare nel vuoto, come in contemplazione di qualcosa di assai remoto, e poi diceva, più che altro a se stesso: “Giaggiaggiaggià, la verità è questa qua”. Dopodiché si metteva a recitare la storia come se la leggesse su un libro. “Avevamo ricacciato i coreani fino allo Yalu, e il nostro comandante di battaglione ci disse che erano pronti ad arrendersi” diceva, per esempio. “Noi, tutti contenti, parlavamo di quello che ciascuno avrebbe fatto non appena tornato negli Stati. Ma poi la grande orda gialla calò dalla Cina…”»

Troy si arrestò, lo sguardo rivolto all’oceano. A Carol riusciva facile vederlo ragazzino, seduto sulla veranda col suo imbarazzato amico Willie ad ascoltare i racconti di un uomo che viveva irrimediabilmente nel passato, ma che, per Troy, rappresentava il padre da lui mai avuto. Si chinò a sfiorargli il braccio. «È un bel quadretto» disse. «E forse, tu non ti sei mai reso conto di quanto rendessi felice quell’uomo con lo stare ad ascoltarne i racconti.»

Dall’altra parte del tendaletto, Nick Williams sedeva per conto proprio in un’altra sdraio, intento alla lettura di Madame Bovary e cercando invano di ignorare sia i postumi della sbronza sia i brani di conversazione che non poteva fare a meno di udire. Avendo programmato il sistema di navigazione a tornare automaticamente al luogo d’immersione del giovedì, era in pratica libero da ogni attività di pilotaggio. Quasi certamente, avrebbe anche gradito partecipare alla conversazione, ma, dopo lo scontro con Carol, in cui aveva avuto l’impressione che lei non volesse aver niente a che fare con lui, non gli pareva proprio il caso di farsi avanti. Ora s’imponeva che lui la ignorasse, o lei l’avrebbe giudicato un perdiballe come tanti.

Per giunta, il libro gli piaceva. Era arrivato al punto in cui Emma Bovary si dà anima e corpo alla relazione con Rudolph Boulanger. Ah, come la vedeva sgattaiolare dalla sua casa del paesino provinciale francese e slanciarsi per la campagna verso le braccia dell’amante! In passato, ogni volta che aveva letto un romanzo con una bella e tenebrosa eroina, il più delle volte aveva immaginato Monique nella parte. Ora invece, stranamente, Emma Bovary la vedeva come Carol Dawson… E più di una volta, leggendo le descrizioni flaubertiane delle passioni di Emma e Rudolph, nella parte dello scapolo della nobiltà terriera francese amoreggiante con Emma/Carol aveva immaginato se stesso…

Il pilota automatico che guidava la barca mentre lui leggeva era costituito semplicemente da una ricetrasmittente e da un piccolo microprocessore, il quale, sfruttando una rete mondiale di satelliti geostazionari, era in grado di stabilire con grande esattezza la posizione della barca e di condurla al punto prefissato grazie a un algoritmo di guida preprogrammato. Durante il tragitto, il collegamento a due vie col satellite sovrastante forniva le informazioni necessarie all’aggiornamento della rotta.

Quando la Florida Queen fu a un miglio dal punto d’immersione, il pilota automatico emise un trillo. Nick andò ai comandi e passò al pilotaggio manuale. Carol e Troy si alzarono dalle sdraio. «Ricorda,» disse lei «lo scopo primario dell’immersione è quello di fotografare e recuperare ciò che abbiamo visto in quella fessura giovedì. Se poi ci resterà tempo, torneremo anche alla sporgenza del tridente.»

Andò quindi ad accendere il monitor collegato al telescopio oceanico. Era a pochi passi da Nick, col quale non aveva scambiato una sola parola dalla partenza da Key West. «Buona fortuna» disse piano lui.

Lei lo guardò per vedere se parlasse seriamente o per fare del sarcasmo. Non avrebbe saputo dire… «Grazie» rispose senza scomporsi.

Raggiunta al monitor da Troy, tolse le foto dalla busta per poter stabilire il punto preciso in cui gettare l’àncora. Per un paio di minuti, osservando col telescopio, impartì istruzioni a Nick perché effettuasse minuti aggiustamenti nella posizione della barca. Finalmente, il fondale sottostante apparve quasi esattamente identico a quello del giovedì in cui avevano visto le balene. Con una sola, ma grande differenza.

«E il foro della fessura, dove sta?» chiese innocentemente Troy. «Qui, sul monitor, non riesco proprio a vederlo.»

Il cuore in tumulto, Carol continuava a guardare dallo schermo alle foto. Ma dov’è quella fessura? Mica può esser sparita? , pensava intanto. La barca derivava, e Nick la riportò in posizione. Stavolta Troy gettò l’àncora. Ma Carol continuava a non veder segno della fessura, e a non capire perché.

«Nick,» finì per dire «potresti darci una mano? Siamo andati laggiù insieme e, il foro, l’abbiamo visto tutt’e due. Può essere che ci confondiamo sia Troy che io?»

Nick lasciò il timone e venne a guardare lo schermo, rimanendo interdetto a sua volta. A quanto gli pareva di vedere, sul fondale c’erano anche altre cose che sembravano diverse. «Il foro non lo vedo nemmeno io,» disse «ma forse è solo questione di luce. L’altra volta siamo stati qui di pomeriggio, mentre ora sono le dieci del mattino.»

«Forse è meglio che sia Nick a scendere con te» disse Troy a Carol. «È già stato giù, ha visto la fessura e sa come trovare la sporgenza, mentre io, tutto quello che so, lo so dalle fotografie.»

«No,» disse frettolosamente Carol «voglio che ci venga tu. Nick ha probabilmente ragione; quello che ci impedisce di vedere la fessura è la diversità di luce.» E, raccolta la macchina fotografica subacquea, si diresse a poppa lungo la fiancata del tendaletto. «Su, andiamo,» disse «vedrai che andrà tutto bene.»

Troy guardò Nick in silenzio facendo spallucce, come a dire «Io ci ho provato» poi, dopo qualche istante, la seguì.

3

«Ma Richard,» disse Ramirez «potremmo finire in guai grossi!»

«Non vedo come» ribatté il tenente Todd. «Né vedo perché qualcuno dovrebbe venirlo a sapere. In fin dei conti, la Marina ha costruito il sistema anzitutto per le sue navi, e gli altri lo usano solo perché siamo noi a concederglielo. Quindi, tutto quello che dobbiamo fare è di interrogare il registro navale e procurarci il doppler e i dati telemetrici relativi al loro codice d’identificazione. Dopodiché calcoleremo da noi dove si trovano. È facile: è quello che facciamo continuamente con le nostre imbarcazioni.»

«Ma abbiamo firmato una convenzione marittima che limita il nostro accesso ai registri privati ai soli casi di vita o di morte, di pericolo per la sicurezza nazionale» continuò Ramirez. «E dunque non posso inserirmi nella banca-dati dei satelliti solo perché tu e io nutriamo il sospetto che una certa barca stia compiendo un’operazione illegale. Ci serve un permesso dall’alto.»

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